domenica 23 settembre 2012

Fiat chiude ma Fabbrica Italia continuerà ad ammazzare i diritti di Fabio Sebastiani



Cinque ore di colloquio per non portare a casa niente. L’incontro di ieri tra il Governo e la coppia Sergio Marchionne e Lapo Elkann, vera e propria triste parodia di “Attenti a quei due”, è stato un autentico disastro. Un disastro per il Bel Paese, ma soprattutto per i lavoratori della Fiat. Bene che vada si andrà avanti a quote crescenti di cassa integrazione. In più, rottamazione di qualche linea di produzione e aiuti sui mercati stranieri. Nessuno che abbia chiesto il conto a Marchionne, ovviamente. Di investimenti, poi, non c’è nemmeno l’ombra. Per Melfi e Pomigliano ci si attacca addirittura ai fondi europei. Così siamo rassegnati al declino. Solo che prima delle elezioni non si può dire. “Bisogna lavorare per l’export” ripete stancamente l’Ad di Fiat, rimettendo in campo un vecchio leit motiv il cui obiettivo è in realtà il costo del lavoro. Il Governo da parte sua non ha il becco di un quattrino. E non lo nasconde. Si chiude quindi? La prospettiva è quella del congelamento, per ora. Si tira a campare. A pagare saranno sempre i soliti, che non solo si ritroveranno senza una busta paga degna di questo nome e con la prospettiva del licenziamento, ma dovranno sopportare un regime normativo da “stato di polizia”. E intanto si pensa a come spolpare il cadavere. Non è proprio tutto da buttar via in fondo. Intanto, nessuno ha detto che Fabbrica Italia, ovvero tutto l’apparato di regole contrattuali e “relazioni sindacali” viene messo da parte. Anzi, a quanto sembra Mario Monti è pronto a farne la base per il cosiddetto “Patto per la produttività”. Alcuni passaggi raggiunti nel nuovo accordo dei chimici, per esempio, sono molto illuminanti: congelamento degli aumenti retributivi e part time imposto ai senior vicini alla pensione in cambio di una estensione della precarietà per chi verrà assunto; nonché, deroghe a non finire al contratto nazionale. La Cgil per il momento ha sospeso il giudizio e il segretario della Filctem-Cgil si è addirittura dimesso dopo la firma. Insomma, siamo all’applicazione dell’accordo del 28 giugno, articolo 8 (quello dettato dalla Fiat al ministro Sacconi) compreso.
Monti si frega le mani, ovviamente. Non gli pare vero poter “addottare” in pieno il modello Fabbrica Italia senza dover portare in giro l’odiatissima faccia di Sergio Marchionne. Ora si apre una partita interessante che vede al centro ancora una volta il sindacato, e la Cgil in particolare, da una parte; e dall’altra alcune grosse crepe che si stanno aprendo nel fronte imprenditoriale. Per il momento siamo alla rissa generale (come scrive Ettore Livini su Repubblica). Monti l’ha capito ed è pronto a fare il punto di riferimento per la ricerca di un nuovo equilibrio. La Cgil dovrà invece ancora fare i conti con un fronte unitario letteralmente a pezzi. A lei decidere se il quadro si può ricomporre inseguendo la Cisl sul suo terreno oppure se occorre cambiare passo. In fin dei conti l’occasione c’è. Nei lunghi mesi che ci separano dalle elezioni si potrebbero tornare ad agitare elementi di contenuto che farebbero impallidire il nulla pneumatico delle segreterie dei partiti. Quegli elementi concreti che riguardano la condizione materiale delle persone che nessuno ha nai voluto prendere seriamente in considerazione.

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