Renata Polverini ha annunciato le sue dimissioni. Non poteva far altro
dopo che anche l'Udc casiniana, sotto la sferza del cardinal
Bagnasco, aveva a malincuore accettato di allungare la lista dei gruppi
disposti a dimettersi dal Consiglio regionale pur di andare a nuove
elezioni.
Non soffriremo la sua mancanza. Né ci dilungheremo qui sulle trivialità che tanto appassionano i media mainstream, sempre a metà strada tra il moralismo del giorno dopo – quanti editorialisti avevano cantato le lodi della sindacalista (!?) di destra “che piaceva anche alla sinistra”? - e un pizzico di malcelata invidia per la crapula senza vergogna esibita dai protagonisti dello scandalo laziale.
Chi ama i dettagli scabrosi e le immagini forti, in questi giorni ha potuto fare il pieno, alimentando a dismisura quell'”antipolitica” che tutti dicono di voler contrastare. E in effetti il bisogno di fare piazza pulita del marciume è ora sentimento forte, specie tra quanti faticano a sopravvivere e vedono peggiorare di mese in mese le proprie condizioni di vita. È carburante per un movimento che deve saper cogliere al volo il vento di tempesta che va montando contro “il palazzo” e le sue cantine postribolari. Il 27 ottobre con il No Monti Day è solo una prima scadenza, che appare persino troppo lontana rispetto al vuoto che si è aperto in questi giorni.
Qui, però, ci interessa soprattutto sottolineare il dato di cambiamento strutturale che avevamo in qualche misura colto fin dalla nomina del “governo tecnico”. Il “programma di risanamento” piovuto dai cieli di Bruxelles, infatti, riguarda in primo luogo l'universo del lavoro dipendente. Qui la mannaia si è abbattuta subito, colpendo con chirurgica precisione il welfare in senso lato (pensioni, sanità, istruzione, ecc) e le relazioni industriali (mercato del lavoro, articolo 18, contratti).
Ma fin dal novembre dello scorso anno, prendendo atto dell'”agenda di Monti”, era chiaro che lo tsunami sui conti pubblici avrebbe travolto anche larga parte del blocco sociale per comodità definito “berlusconiano”. Quella valanga di mezze figure sociali che si nutre di appalti, subappalti, micro e mega corruzione, evasione, elusione, favori e clientele a puri fini elettorali. Quell'Italia perenne, opaca, lurida nella mente e nei comportamenti, di vista così corta da non superare i confini del girovita. Quell'Italia che consuma più Pil di quanto non ne produca, che indirizza i propri investimenti verso l'immobiliare e i propri consumi verso il kitsch, seppure di lusso. E che gonfia a dismisura la spesa pubblica peggiore.
Di quest'Italia il centrodestra degli ultimi 20 anni è stato il rappresentante più autentico. Qui la “discesa in politica della società civile” è diventata una caduta a capofitto nell'inciviltà più assoluta. “Er Batman” è un archetipo, non un incidente di percorso. E i toga-party sono un'imitazione delle serate di Arcore, accomunate dallo stesso immaginario.
Qui la scopa della Storia ha iniziato a lavorare. Ma è bene tener d'occhio chi la impugna, piuttosto che la spazzatura (su cui vorrebbero inchiodarci i media di regime).
Giustamente Alberto Burgio, nel suo editoriale di oggi su il manifesto, lega la “scadente qualità della classe politica” italiana a “cause oggettive”. La prima delle quali è la “perdita della sovranità”. Fuor di retorica, “esercitare la sovranità politica” significa prendere decisioni laceranti, sciogliere nodi intricati, deviare il corso della società in una direzione piuttosto che in altre, annientare o promuovere figure sociali. Se queste scelte vengono prese altrove – dai “mercati” o dal “Senato virtuale dei detentori di capitali finanziari e dalle imprese transnazionali” - alla classe politica non resta null'altro da fare che occuparsi della propria sopravvivenza. Individuale, ognun per sé.
La perdita di sovranità è stata costruita passo dopo passo nel corso degli ultimi 20 anni. Da quando – con la caduta del Muro e la quasi contemporanea esplosione di Tangentopoli – è apparso chiaro che “la politica” cessava di avere centralità decisionale. Il mondo “diviso in due” tornava unito sotto il modo di produzione capitalistico; il pensiero, oltre che il mondo, diventava “unico”; il mercato diveniva il solo dio e centro decisionale. Non c'era più nulla da “cambiare”, nessuna “civiltà da difendere”. Solo un business da amministrare per incrementare il business.
Naturale, in questo nuovo mondo, che l'”eccellenza” prodotta dalle università - sempre più spesso da quelle private, già fornite delle “chiavi di lettura” più coerenti con il nuovo ordine – venisse attratta dalle carriere multinazionali, finanziarie, imprenditoriali. E che alla “politica” guardassero con cupidigia soprattutto le seconde e terze file, i furbetti con poca o nulla cultura, i leader di gruppi di interesse inutili. E' stata l'epoca in cui i capi della curva “scendevano in campo”, forti di qualche centinaio di preferenze da spendere in liste elettorali “aperte” a tutti pur di capitalizzare consensi in calo. L'epoca in cui il “perché no?” precedeva di un attimo la disponibilità alla corruzione.
Quanti “compagni di lotta” abbiamo visto perdersi in questa notte della coscienza? Centinaia, prima; migliaia, nel corso degli anni. La “militanza politica” a un certo punto era diventata – lo è ancora, per molti che non hanno capito il cambiamento d'aria – una sorta di “apprendistato” noioso che immetteva direttamente nella mangiatoia dei “costi della politica”. Vuoi come “consigliere”, vuoi come assessore. Nel peggiore dei casi come portaborse, ufficio stampa, segreteria particolare, consulente, amante, ecc.
Una marea di “manipoli” - senza troppe distinzioni tra destra e “sinistra” - parcheggiati in stanze “sorde e grige”, al riparo dagli sguardi del pubblico e al centro dei flussi di finanziamento.
Tutto ciò sta finendo. I Fiorito e le Polverini non se n'erano dati per inteso. Come Berlusconi, pensavano che il governo della troika fosse solo una parentesi, peraltro condizionabile con il proprio voto in Parlamento; poi si sarebbe tornati ai fasti di sempre.
Anzi. I Fiorito e le Polverini sono ora l'icona perfetta di tutto quello che va spazzato via. La tecnocrazia li sbandiera per procedere senza intoppi alla demolizione degli ostacoli sociali e costituzionali residui.
Il problema è il dito e la luna. L'idiota guarda sempre il primo Fiorito che passa.
Non soffriremo la sua mancanza. Né ci dilungheremo qui sulle trivialità che tanto appassionano i media mainstream, sempre a metà strada tra il moralismo del giorno dopo – quanti editorialisti avevano cantato le lodi della sindacalista (!?) di destra “che piaceva anche alla sinistra”? - e un pizzico di malcelata invidia per la crapula senza vergogna esibita dai protagonisti dello scandalo laziale.
Chi ama i dettagli scabrosi e le immagini forti, in questi giorni ha potuto fare il pieno, alimentando a dismisura quell'”antipolitica” che tutti dicono di voler contrastare. E in effetti il bisogno di fare piazza pulita del marciume è ora sentimento forte, specie tra quanti faticano a sopravvivere e vedono peggiorare di mese in mese le proprie condizioni di vita. È carburante per un movimento che deve saper cogliere al volo il vento di tempesta che va montando contro “il palazzo” e le sue cantine postribolari. Il 27 ottobre con il No Monti Day è solo una prima scadenza, che appare persino troppo lontana rispetto al vuoto che si è aperto in questi giorni.
Qui, però, ci interessa soprattutto sottolineare il dato di cambiamento strutturale che avevamo in qualche misura colto fin dalla nomina del “governo tecnico”. Il “programma di risanamento” piovuto dai cieli di Bruxelles, infatti, riguarda in primo luogo l'universo del lavoro dipendente. Qui la mannaia si è abbattuta subito, colpendo con chirurgica precisione il welfare in senso lato (pensioni, sanità, istruzione, ecc) e le relazioni industriali (mercato del lavoro, articolo 18, contratti).
Ma fin dal novembre dello scorso anno, prendendo atto dell'”agenda di Monti”, era chiaro che lo tsunami sui conti pubblici avrebbe travolto anche larga parte del blocco sociale per comodità definito “berlusconiano”. Quella valanga di mezze figure sociali che si nutre di appalti, subappalti, micro e mega corruzione, evasione, elusione, favori e clientele a puri fini elettorali. Quell'Italia perenne, opaca, lurida nella mente e nei comportamenti, di vista così corta da non superare i confini del girovita. Quell'Italia che consuma più Pil di quanto non ne produca, che indirizza i propri investimenti verso l'immobiliare e i propri consumi verso il kitsch, seppure di lusso. E che gonfia a dismisura la spesa pubblica peggiore.
Di quest'Italia il centrodestra degli ultimi 20 anni è stato il rappresentante più autentico. Qui la “discesa in politica della società civile” è diventata una caduta a capofitto nell'inciviltà più assoluta. “Er Batman” è un archetipo, non un incidente di percorso. E i toga-party sono un'imitazione delle serate di Arcore, accomunate dallo stesso immaginario.
Qui la scopa della Storia ha iniziato a lavorare. Ma è bene tener d'occhio chi la impugna, piuttosto che la spazzatura (su cui vorrebbero inchiodarci i media di regime).
Giustamente Alberto Burgio, nel suo editoriale di oggi su il manifesto, lega la “scadente qualità della classe politica” italiana a “cause oggettive”. La prima delle quali è la “perdita della sovranità”. Fuor di retorica, “esercitare la sovranità politica” significa prendere decisioni laceranti, sciogliere nodi intricati, deviare il corso della società in una direzione piuttosto che in altre, annientare o promuovere figure sociali. Se queste scelte vengono prese altrove – dai “mercati” o dal “Senato virtuale dei detentori di capitali finanziari e dalle imprese transnazionali” - alla classe politica non resta null'altro da fare che occuparsi della propria sopravvivenza. Individuale, ognun per sé.
La perdita di sovranità è stata costruita passo dopo passo nel corso degli ultimi 20 anni. Da quando – con la caduta del Muro e la quasi contemporanea esplosione di Tangentopoli – è apparso chiaro che “la politica” cessava di avere centralità decisionale. Il mondo “diviso in due” tornava unito sotto il modo di produzione capitalistico; il pensiero, oltre che il mondo, diventava “unico”; il mercato diveniva il solo dio e centro decisionale. Non c'era più nulla da “cambiare”, nessuna “civiltà da difendere”. Solo un business da amministrare per incrementare il business.
Naturale, in questo nuovo mondo, che l'”eccellenza” prodotta dalle università - sempre più spesso da quelle private, già fornite delle “chiavi di lettura” più coerenti con il nuovo ordine – venisse attratta dalle carriere multinazionali, finanziarie, imprenditoriali. E che alla “politica” guardassero con cupidigia soprattutto le seconde e terze file, i furbetti con poca o nulla cultura, i leader di gruppi di interesse inutili. E' stata l'epoca in cui i capi della curva “scendevano in campo”, forti di qualche centinaio di preferenze da spendere in liste elettorali “aperte” a tutti pur di capitalizzare consensi in calo. L'epoca in cui il “perché no?” precedeva di un attimo la disponibilità alla corruzione.
Quanti “compagni di lotta” abbiamo visto perdersi in questa notte della coscienza? Centinaia, prima; migliaia, nel corso degli anni. La “militanza politica” a un certo punto era diventata – lo è ancora, per molti che non hanno capito il cambiamento d'aria – una sorta di “apprendistato” noioso che immetteva direttamente nella mangiatoia dei “costi della politica”. Vuoi come “consigliere”, vuoi come assessore. Nel peggiore dei casi come portaborse, ufficio stampa, segreteria particolare, consulente, amante, ecc.
Una marea di “manipoli” - senza troppe distinzioni tra destra e “sinistra” - parcheggiati in stanze “sorde e grige”, al riparo dagli sguardi del pubblico e al centro dei flussi di finanziamento.
Tutto ciò sta finendo. I Fiorito e le Polverini non se n'erano dati per inteso. Come Berlusconi, pensavano che il governo della troika fosse solo una parentesi, peraltro condizionabile con il proprio voto in Parlamento; poi si sarebbe tornati ai fasti di sempre.
Anzi. I Fiorito e le Polverini sono ora l'icona perfetta di tutto quello che va spazzato via. La tecnocrazia li sbandiera per procedere senza intoppi alla demolizione degli ostacoli sociali e costituzionali residui.
Il problema è il dito e la luna. L'idiota guarda sempre il primo Fiorito che passa.
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