di Raffaele K. Salinari
L'intervista di Massimo Rossi su il manifesto di mercoledì 19, attraversa tutte le contraddizioni culturali e politiche dell'area che vorrebbe costruire l'alternativa alla linea liberista oggi rappresentata dal sostegno bipartisan al Governo Monti. Il punto centrale della riflessione di Rossi è quello del come portare a sintesi politica le diverse sensibilità che compongono oggi la Federazione della sinistra. Date le scadenze imminenti è bene fare chiarezza sui nodi da sciogliere al suo interno e che, purtroppo, non sono affatto nuovi ma rappresentano drammaticamente il forte ritardo accumulato verso gli obiettivi sui quali era stata fondata quest'aggregazione politica. Quali erano questi obiettivi, e a quali problemi irrisolti oggi corrispondono? Il primo era il creare tra forze politiche di storia comunista, il Prc ed il Pdci, una confluenza che invertisse la tendenza storica alla divisione.
L'intervista di Massimo Rossi su il manifesto di mercoledì 19, attraversa tutte le contraddizioni culturali e politiche dell'area che vorrebbe costruire l'alternativa alla linea liberista oggi rappresentata dal sostegno bipartisan al Governo Monti. Il punto centrale della riflessione di Rossi è quello del come portare a sintesi politica le diverse sensibilità che compongono oggi la Federazione della sinistra. Date le scadenze imminenti è bene fare chiarezza sui nodi da sciogliere al suo interno e che, purtroppo, non sono affatto nuovi ma rappresentano drammaticamente il forte ritardo accumulato verso gli obiettivi sui quali era stata fondata quest'aggregazione politica. Quali erano questi obiettivi, e a quali problemi irrisolti oggi corrispondono? Il primo era il creare tra forze politiche di storia comunista, il Prc ed il Pdci, una confluenza che invertisse la tendenza storica alla divisione.
Una prospettiva decisamente interessante
ma che troppo spesso è stata assunta, da parte di alcuni in entrambi i
partiti, come orizzonte generale ed esaustivo della Fds, sintetizzabile
nella formula «unità dei comunisti», cioè della fusione tra i due
partiti, strumento certo importante, ma decisamente parziale rispetto
alla prospettiva generale. Se può esistere nella realtà odierna italiana
un'unità dei comunisti, certo essa va ricompresa nella Fds e non deve
rappresentare una prospettiva a se stante, escludente. Continuare a
proporre esclusivamente questa strada crea tensioni inutili e false
scorciatoie che eludono il problema centrale di una ricomposizione
necessariamente originale tra forze consonanti. Il secondo obiettivo era
quello di far confluire aree politiche di altra provenienza, a partire
da quelle d'ispirazione sindacale e socialista, che poi si sono fuse
insieme sino a dar vita al Movimento verso il partito del lavoro di
Salvi e Patta. La presenza di questa componente, con una cultura
politica complementare a quella dei due partiti comunisti, «apriva» al
terzo obiettivo, a mio avviso il più importante per allargare
l'orizzonte politico della Fds: chiamare al suo interno, con parità
d'interlocuzione politica e culturale, coloro i quali, provenendo da
storie non necessariamente di partito e non appartenenti alla tradizione
comunista, ma con esperienza nei movimenti, nella costruzione di
esperienze concrete di «altri mondi possibili», si fossero aggregati
all'interno di un progetto federale. In questa prospettiva il termine
«Federazione» indicava dunque non solo una modalità organizzativa, ma la
maniera di stabilire un patto tra componenti e quindi gestire le
dinamiche di un confronto orientato alla necessità della confluenza tra
diversità. A quest'obiettivo, sostenuto da un'analisi antiliberista e
dall'esperienza positiva di tante pratiche locali e di movimento,
propedeutico alla creazione di un campo di forze che attraesse, come un
magnete centrale, la limatura della sinistra diffusa e di alternativa
ancora senza una casa comune, si è voluto, in sede di Congresso
fondativo, per riflessi identitari anacronistici, dare da subito un
recinto più angusto, escludendo dalla costituency della FdS le culture
libertarie, che com'è noto rappresentano grande parte dell'humus
politico dei movimenti altermondialisti, in America latina, e non solo. A
questo primo vulnus si è poi aggiunto lo schema fattuale della
dialettica previa tra le segreterie dei due «azionisti di maggioranza»
Prc e Pdci e solo come risultante di queste discussioni e connaturati
compromessi, il passaggio attraverso il Consiglio nazionale, organo
politico unitario della Fds. Anche il tesseramento diretto, che pure
esiste, e si potrebbe facilmente quantificare ma soprattutto promuovere
se ci fosse la volontà politica di farlo, è stato subordinato ai
tesseramenti alle singole componenti, di fatto lasciando, la «pattuglia
dei senza tessera» cioè degli iscritti direttamente alla FdS, senza un
progetto condiviso dal punto di vista dell'ulteriore aggregazione. Ora
tutti questi nodi interni, e non solo le diverse sensibilità in ordine
all'interlocuzione sui contenuti col Pd, Sel, l'Idv ed i Verdi, che
comunque servono ad aprire ulteriori contraddizioni all'interno dei vari
continuismi di centro sinistra, vengono al pettine e vanno sciolti nel
senso di un'accelerazione delle ragioni originariamente fondative della
Fds, sulla spinta dell'orizzonte politico che ci si prepara per i
prossimi anni condizionati dal patto di stabilità e dalla spending
review. Il fallimento della «convergenza tra le diversità» la scommessa
politica ed organizzativa sulla quale molti hanno gettato, ancora una
volta, coraggiosamente il cuore oltre l'ostacolo delle divisioni, delle
«differenze antropologiche tra comunisti e non» delle gelosie di
apparato, non avrà altre possibilità. Ecco perché la proposta di Massimo
Rossi, di un referendum tra gli iscritti, non solo serve a chiarire la
linea unitaria e le alleanze possibili, ma a fare chiarezza sul
funzionamento interno di una Federazione che deve finalmente essere ciò
per cui è nata.
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