“Marchionne
pensa di imboccare una strada troppo facile”. Luciano Gallino,
sociologo tra i più autorevoli in Italia, commenta così la nemesi di
Sergio Marchionne. Da imprenditore sciolto da ogni laccio e lacciuolo,
al solito manager che va a chiedere assistenza allo stato italiano.
Professore, oggi Marchionne incontra Monti. Probabilmente chiederà aiuto al governo.
Dare soldi, detassare l’auto, non è la soluzione. Questo potrebbe
aiutare la produzione automobilistica per qualche tempo. Non risolve
problema di fondo. La Fiat non fa più investimenti in ricerca e
sviluppo. Gli investimenti che hanno portato la Volkswagen a essere il
primo produttore mondiale di automobili.
Marchionne dice che non investe perché la domanda di auto in Europa è calata a picco.
Questa idea contraddice qualsiasi elementare buonsenso. Basta vedere a
cosa stanno facendo i suoi concorrenti. I nuovi modelli si fanno per
stimolare il consumatore. Non per assecondarlo.
Si è scoperto che il progetto di investimenti Fabbrica Italia
non c’è più. Sulla base di quel piano Marchionne ha chiesto e ottenuto
una riduzione delle garanzie dei lavoratori. Siamo stati truffati?
Truffa è un termine un po’ pesante. Sicuramente è stato chiesto un
allineamento verso il basso delle relazioni industriali, sul modello
americano (che, a mio parere, incide sulla produttività solo in minima
parte). A me sembra che il gioco di Marchionne sia stato quello di
alzare troppo il tiro per poi poter dire: “Voi non mi date quello che
chiedo, allora lascio l’Italia”. È molto difficile trovare un nesso tra
le sue richieste sul lavoro e la produttività.
Il problema è che quelle richieste sono state soddisfatte.
Infatti non abbiamo né investimenti né le stesse garanzie del lavoro.
Per alcuni commentatori italiani, Marchionne è stato una
sorta di uomo nuovo. Il manager italiano che finalmente fa capitalismo
mettendoci il capitale. Ora, invece, siamo alle solite. La Fiat chiede
aiuto allo stato.
Mi permetto di dire che le cose sono drasticamente mutate in peggio.
Nei vent’anni della ricostruzione in Italia ci furono aziende fortemente
innovatrici che non chiesero proprio nessun aiuto allo stato. Pensi
alla Piaggio che inventa la Vespa. Una delle più grandi innovazioni
economiche, industriali e sociali del secondo novecento. Il tutto senza,
o solo con un minimo aiuto dello stato.
È peggiorata anche la classe dirigente industriale?
Sì. In Italia ci sono stati degli imprenditori capaci, innovativi,
che sapevano rischiare e inventare cose nuove. Anche nel settore
pubblico. Ci sono stati dei grandissimi dirigenti. Penso a Oscar
Sinigaglia che ha creato l’industria dell’acciaio. Poi c’è stata una
cesura. I capitalisti italiani sono diventati dei nipoti che non sanno
più fare il mestiere dei nonni.
Marchionne si presenta come l’uomo che il suo mestiere lo sa fare fin troppo bene…
Secondo me, il piano Fabbrica Italia non è mai esistito. Così come è
stato presentato manca di un pezzo fondamentale. Non dice come viene
prodotta l’auto? Gli stabilimenti italiani si occupano della lavorazione
finale. E il restante 80% dove si fa? Non c’era scritto. Da qui si
poteva capire che era tutta fuffa.
Perché nessuno se ne è accorto?
Molti di quelli che scrivono di automobili non sono mai entrati in uno stabilimento. Non sanno niente.
I sindacalisti però sì. A eccezione della Fiom, nessuno ha
avuto da ridire. Secondo lei, Cgil Cisl e Uil dovrebbero chiedere scusa
alla Fiom?
È un po’ forte, come espressione. Credo che anche i sindacati pro
azienda abbiano agito pensando di fare gli interessi dei lavoratori. Si
sono sbagliati. Ma credo che fossero in buona fede.
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