Le elezioni sono da sempre un
momento di impazzimento per tutti i soggetti politici. Specie “a
sinistra”, qualunque cosa voglia ormai dire.
Quelle di aprile 2013 non possono ovviamente perdere questo potere mefitico, ma avvengono in un mondo del tutto nuovo.
Non
c'è più infatti un “governo da conquistare e comporre”, mettendo
insieme pezzi sparsi di partiti, frazioni, movimenti, associazioni in
alternativa a un centrodestra dominato dal “mostro” Berlusconi.
Quest'ultimo è un uomo finito, che ha contrattato un salavacondotto per
sé e le sue aziende; gestisce un'area in via di dissoluzione ed è quel
che gli è stato chiesto.
Non
c'è più neppure il problema del “programma di governo”. Il pareggio di
bilancio in Costituzione, il Fiscal Compact che obbligherà l'Italia per
20 anni a manovre finanziarie sanguinose pur di raggiungere l'obiettivo
di Maastricht (un debito ridotto dal 125 al 60% del Pil), l'andamento
dello spread e altri accordi infraeuropei sono chiavistelli solidi che
inchiodano qualsiasi governo futuro all'obbedienza cieca nei confrnti
della troika (Fmi, Ue, Bce).
O alla ribellione aperta.
Lo
spazio di autonomia di una “regione” europea – non più uno Stato, non
ancora una provincia – è ridotto a poca cosa: qualche diritto civile più
o meno estensibile nell'ambito delle “raccomandazioni” europee, qualche
infrastruttura in project financing pubblico-privato, affari locali,
varie ed eventuali.
Sotto
questo giogo parlare di “alleanze” è un esercizio illuminante. Si deve
rispondere a una sola domanda: ti allei con il Pd o no? Che implica
anche la domanda conseguente: ma il Pd ti vuole o no?
Se
il programma è già scritto a Bruxelles, l'”alleanza” con il Pd
significa – per qualsiasi formazione alla sinistra di quel partito –
l'accettazione piena, subordinata, ininfluente di quel che lì è
previsto. Senza se e senza ma.
Se
il Pd non ti vuole è perché sa o immagina che nell'eventuale coalizione
di governo ti vuoi candidare a fare la parte del rompicoglioni (pieno
di “se” e “ma”, per l'appunto). Quindi resti fuori. È accaduto a Di
Pietro, può ancora accadere a Vendola (anche se lui non vuole) “reo” di
aver subito il fascino del referendum sull'art. 18.
In
questo scenario sorprende un po' il dibattito interno alla Federazione
della Sinistra. Da una parte Rifondazione, che sembra orientata in modo
abbastanza omogeneo verso una prospettiva di cartello elettorale
“modello Syriza”: quindi fuori da ogni possibile compatibilità con
“l'agenda Monti” del prossimo governo. Dall'altra Diliberto, Patta e
Salvi ancora orientati a proporsi come “alleati” del Pd; e quindi – se
la logica ha un senso - “oggettivamente” disponibili a mettere la faccia
su un programma esplicitamente antioperaio. Ci risparmiamo le citazioni
di altri frammenti sparsi, in un senso o nell'altro, perché non
modificano in nulla gli equilibri quantitativi.
Abbiamo
da tempo spiegato che per noi è interessante soltanto l'ipotesi di
costruzione di un soggetto politico antagonista, completamente autonomo e
indipendente dal Pd. E ci sembra che la realtà spinga proprio tutti a
dover decidere se “subordinarsi” (nella alleanze contano i numeri: se
pesi l'1%, devi ringraziare se ti prendono a bordo e ti danno due
deputati) o provare a far correre il cavallo dell'alternativa nelle
praterie lasciate libere. Magari prima che i populismi montanti brucino
tutta l'erba.
Ci
permettiamo di far notare che se il grillismo (in parte anche il
consenso per Di Pietro) raccoglie favori popolari, è per l'estraneità
totale che mostra rispetto alla classe politica ordinaria. Segno che il
solco tra la compagnia di giro dei “rappresentanti professionali” e
l'universo dei presunti rappresentati è diventato un fossato.
Che
a qualcuno piaccia cadere nel fossato, è possibile. Questione di gusti e
non ci impegneremo certo a tirarli fuori. Ma a quanti sembrano aver
deciso di percorrere la via dell'indipendenza e dell'antagonismo
rispetto all'”agenda Monti” ci sembra di poter dare un suggerimento: non
aspettate che la “riforma della legge elettorale” vi metta di fronte
alla dura realtà. Non sarà previsto spazio per “i cespugli” sotto una
certa – e consistente – soglia; non saranno previste “alleanze”
furbesche per guadagnare un “diritto di tribuna” da giocare in libertà.
C'è
una rappresentanza politica da riconquistare battendosi apertamente,
subito, a livello di massa e nella comunicazione politica. Non è facile e
non si farà in un attimo. Di certo non è un compito che possa assumere
la scadenza elettorale come orizzonte totalizzante. Uscite dalla attese
tatticiste, tornate alla piazza e all'organizzazione del conflitto
sociale. Abbandonate al suo destino quella triste parodia del comunismo
militante che riduce i princìpi a semplici dichiarazioni e permette alla
tattica qualsiasi porcata.
Non
torneremo alla situazione precedente sul piano economico e sociale.
Sarebbe ridicolo pensare di tornarci come scenario politico. Si tratta
solo di prenderne atto.
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