Probabilmente,
anzi quasi certamente, Nichi Vendola ritirerà la candidatura alle
primarie. Tenendo conto che quella prova era da almeno tre anni il cuore
della strategia impostata da Sel, non si tratta di una scelta
irrilevante. Tra le spiegazioni offerte da Vendola almeno una, i dubbi
derivanti dalle inchieste sul suo conto in corso in Puglia, appare poco
credibile. Le inchieste non sono cominciate ieri: impossibile credere
che il ripensamento sia dovuto a un elemento che era già noto da mesi.
Più corposo il secondo motivo messo in campo da Vendola. Per come si
sono configurate, le primarie saranno non di una coalizione ma di un
partito. Parteciparvi significherebbe pertanto inviare un preciso
segnale di internità al Pd. Giusto, ma non è che lo sgradevole dato di
fatto sia casuale. Succede perché il Pd ha deciso di puntare solo su
stesso, tutt’al più permettendo generosamente a qualche vassallo di
affiancarlo in posizione subalterna e subordinata. Questa è l’unica
interpretazione possibile del decimo punto della carta d’intenti di
Bersani, il solo rilevante in mezzo al consueto mare di parole in
libertà.
Rifiutarsi di partecipare alle primarie di un partito unico o
imperialmente egemone (a seconda di quale legge regolerà le prossime
elezioni) è un passo nella giusta direzione. Evitare di entrare nella
lista unica oppure di svolgere il ruolo vassallo imposto dal vertice
piddino però sarebbe anche meglio. Altrimenti non è che glissare sulle
primarie serva a molto…
A giustificare la retromarcia di Vendola ci sono però altri due
motivi, meno confessabili. Il primo è la valutazione del rischio di
arrivare non secondo ma terzo. Politicamente sarebbe esiziale.
Sacrosanto dunque evitare una roulette russa nella migliore delle
ipotesi e un suicidio politico nella peggiore. Però un partito comme il
faut avrebbe poi l’obbligo di interrogarsi sul come e perché una
candidatura che due anni fa era fortissima sia così rapidamente
precipitata. Discussione da farsi pubblicamente, non in una segreteria e
a porte chiuse.
È infine plausibile che Vendola pensi al ritiro per non danneggiare
il suo principale alleato, il medesimo Bersani. In effetti la sfida
doveva essere tra un centro orientato a sinistra incarnato dal
segretario piddino e la sinistra del leader di Sel. Si è invece
configurata come un confronto fra la destra rottamatrice e montiana di
Renzi e il centrosinistra di Bersani che fa da sponda a Sel.
Effettivamente, in un situazione così rovesciata rispetto alle
previsioni, una candidatura Vendola destinata a indebolire Bersani e
dunque a rafforzare Renzi è ben poco comprensibile. Solo che una
considerazione del genere è di nuovo tutta interna a quella logica del
partito unico che Sel ha inspiegabilmente deciso di accettare. Ed è una
scelta che ogni giorno di più si rivela essere un capolavoro di
autolesionismo politico.
Non si può nascondere, infine, un’altra possibilità, quella che Nichi
Vendola stia solo creando ad arte un po’ di suspense per lanciare la
sua candidatura. Come mossa rientrerebbe perfettamente in una strategia
mediatica della quale nessuno oggi può fare a meno. Ma i problemi
politici posti da un’alleanza che in nessun caso potrà definirsi
“coalizione” resterebbero tutti.
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