venerdì 26 luglio 2013

Tra privatizzazioni e crisi gli Enti Locali al bivio. Che fare? di Matteo Prencipe, Controlacrisi.org




Trovo molto interessante l’articolo di Marco Bersani di Attac Disobbedire alla Troika nei comuni? la cui analisi è largamente condivisibile ma certamente da articolare.
Così come interessante è il punto di vista di Francesco Piobbichi Disobbedire alla Troika nei comuni. Io ci sto.
I contenuti esposti ci interrogano su due punti fondamentali pensando anche alle tante elezioni locali che caratterizzeranno l’anno 2014.
1) Il destino degli enti locali nella condizione data
2) Il che fare per invertire la tendenza
1) Sul primo punto, l’analisi di Bersani è completa, specie dove che indica gli enti locali come i prossimi bersagli della speculazione in cerca di “nuovi e facili asset su cui investire”. Ragionamento coerente anche sulla parte relativa alla vera ragione della “furbesca campagna contro la casta” e relativa riduzione della rappresentanza nelle istituzioni locali. Questultimo punto meriterebbe un approfondimento perchè vi è stato nell’ultimo decennio uno “sfondamento culturale” sopratutto nell’area di sinistra, che un certo “lessico” di pseudo-sinistra continua irresponsabilemente ad alimentare. Secondo l’analisi di Bersani dunque, il destino degli enti locali stante la condizione, è ragionevolmente dato: dovranno a torto o a ragione privatizzare se vorranno mantenere un minimo di sostegno sociale e di servizi alla cittadinanza.E’ un destino a cui ribellarci.
Il processo di spogliazione è certamente in corso e forte sono le spinte a “ridurre il danno”, facendo quadrare i conti con svendite più o meno mascherate. Ma queste “svendite” trovano oggi degli impedimenti paradossali indotti dallo stesso mercato: non esiste la liquidità monetaria necessaria e quindi soggetti economici interessati affinche si avvi un processo generalizzato. Parzialmente diversa è la situazione nelle grandi aree metroplitane dove gli appettiti sono superiori e anche i soggetti economici, ma anche qui si assiste al problema dei problemi “non c’è la liquidità”. In generale per far fronte a questo “paradossale” inconveniente interverrà probabilmente la “Cassa Depositi e Prestiti” operando con le dovute strutture finanziarie, ma certamente principalmente su quello che è veramente interessante sotto il profilo speculativo: le commodity che generano denaro cash come acqua, gas, luce e rifiuti.
Quindi cosa possono fare i sindaci e le maggioranze che decideranno di non accettare la logica del ricatto? Potranno rifutarsi, disobbedire, non apllicare il patto di stabilità? Se non vogliamo qui dare una risposta facile e quindi propogandistica ad un tema difficile dobbiamo provare a fare una riflessione ulteriore.
Partiamo da una domanda? Siamo così certi che basta una proposta di disobbedienza e quindi di “salviamo il soldato Raian Ente Locale”? Per innescare un processo di alternativa? Io penso che questo sia tutto sommato il portato del “pensiero debole” dominante nell’ultimo ventennio, che non fa per nulla i conti con uno scenario che la crisi economica ha determinato: ciò che cera prima non si potrà ricostruire come prima. Questo vale per tutto, società , economia e anche inevitabilmente per le strutture statuali di cui gli Enti Locali sono una parte.
Non penso sia più immaginabile lo scenario dei “mille comuni”, con società proprie, con strutture autonome, con i mille e una lobby locale, con strutture farraginose e decotte, con poteri localissimi della reddita che condizionano lo sviluppo, con PGT irrispettosi dei comuni limitrofi.
Pensiamo per esempio sia possibile nell’era della digitalizzazione spinta, immaginarci 10, 100, 1000 strutture amministrative, 10, 100, 1000 centri di servizio per lo più parassitari, che non possono più erogare servizi decorosi ai cittadini? Pensiamo per altro sia possibile che comuni distanti 1 km possano avere la loro società dei rifiuti e dei trasporti? Non penso che su questo “ritorno al futuro” possa reggersi una proposta di sinistra che punti a rompere il modelo di sviluppo imposto. Non è quindi la difesa in sè che interessa la sinistra di classe. E’ una condizione ma neanche la più importante, perchè a noi deve interessare lo “scardinare” l’esistente, non difenderlo a “prescindere”, perchè che lo si voglia o nò, ciò che c’è oggi è già “morto”.
Penso invece che una proposta che si basi su una proposta nuova di “Comune Solidale e partecipato” debba guardare sopratutto al futuro. Avere il coraggio di immaginare “solidarietà” tra territori, con patti e integrazione di servizi sovracomunali, con banda digitale gratuita che sostituisca il vecchio e logoro sistema di erogazione amministrativa dei servizi, con strutture di servizi sovra comunali in grado di erogare maggiore e non minore servizio.
In sostanza il “Comune solidale” per essere riconosciuto dai propri cittadini dovrà avere un tasso di innovazione e cambiamento straordinario. Quindi per “rompere la gabbia del debito” a cui i comuni sono legati, oltre alla disobbedienza (sempre praticabile) c’è anche quella del “Comune solidale” che propone unità, integrazione, ottimizzazione delle risorse, riduzione degli sprechi, con i 10, 100, 1000 comuni vicini. Questa è la vera sfida e la richiesta da fare ai sindaci che vogliono l’alternativa.
2) Che fare per invertire la tendenza? La proposta della sinistra che vuole rompere gli schemi del modello di sviluppo imposto, del debito imposto, non può limitarsi al NO alla Troika e alla “disobbedienza”. La sinistra di classe che dobbiamo avere la forza di costruire a partire dagli Enti Locali, è una sinistra che propone un nuovo modello di sviluppo solidale alternativo all’esistente, non utopico ma immeditamente spendibile, un modello efficiente e non parassitario e quindi “riconosciuto” dalle larghe masse. Si tratta di uscire dalla gabbia per cui per esempio, la mia diversità dal PD locale è che lui vuole privatizzare e io no, o che lui vuole costruire e io no, io voglio più verde lui no. Un terreno sovrastrutturale importante ma debole. Su questo terreno la sinistra di classe perde e diventa minoritaria perchè il cinico realismo del popolo (ancora più cinico con la crisi e con la mancanza di alcuna coscienza), produce il corto circuito mentale conservatore “meglio così finchè và”. Oppure come molte esperienze locali hanno insegnato si è utili e ricercati nello scenario del sociale, ma rifiutati e respinti nel momento della politica e delle elezioni. Il motivo di tutto è semplice e drammatico nel contempo. Semplice perchè a livello di massa è conosciuto un solo “modello di vita possibile” e non ne è conosciuto altro, drammatico perchè così facendo ci si condanna automaticamente alla giustificazione di tutto in nome della salvezza del sistema. La Grecia insegna.
E’ giunto il momento che la sinistra di classe, solidale e alternativa, si candidi al governo del territorio con un suo modello di sviluppo, con una sua proposta di organizzazione funzionale dei servizi, con una sua proposta di futuro possibile, con una sua innovativa proposta di anti parassitismo. E’ questo il momento della svolta della sinistra di classe, che rompendo gli schemi rompe anche la vecchia concezione delle alleanze, che non possono più essere concepite come dato a sè, ma solo funzionali tatticamente all’avanzamento della “tua proposta” di cambiamento e di rivoluzione civile.
Dobbiamo sforzarci di creare questo nuovo modello di sviluppo e su questo tessere le mille alleanze sociali, culturali e personali, che solo la sinistra sa costruire. Tessere un solidarismo di competenze ed energie in grado di immaginare un’altro mondo possibile, che come diceva il vecchio Gramsci inevitabilmente è una parte del vecchio che muore e del nuovo che nasce. Quindi ritornando agli stimoli dell’analisi di Bersani, possiamo disobbedire alla Troika? Si, ma praticandolo costruendo una nuova soggettività politica che crea l’alternativa oggi qui e subito e che non si limita a contestare l’esistente.

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