giovedì 25 luglio 2013

Una forza di sinistra fuori e contro il Pd di Alfonso Gianni, Il Manifesto


Una forza di sinistra fuori e contro il Pd

L’azione dal basso non basta, troppi cantieri mai aperti, serve un’assunzione di responsabilità. E da Messina, con l’elezione del nuovo sindaco, arriva un segnale
Può succedere persino che un dibattito finora insabbiato nelle speculazioni sulle quotidiane interviste di Matteo Renzi o le facete proposte di congressi paralleli e convergenti fra grandi e piccole forze di una coalizione che dopo avere perso di fatto le elezioni si trova divisa fra governo e opposizione – pessimo oltre l’immaginabile il primo quanto inadeguata la seconda, se non altro per mancanza di insediamento sociale, si pensi solo all’astensionismo – riceva improvvisamente una scossa da nuovi fatti e argomenti. Quando succede non bisogna perdere l’occasione per tentare di rivivificare una sinistra d’alternativa che pare anch’essa “in sonno”.
Mi riferisco ad esempio all’esito di un’elezione paradigmatica, quella di Messina, su cui così poco si è ragionato. Ed è un peccato perché non si tratta di una tarda propaggine dei successi elettorali, alcuni già un po’ ingialliti, di Milano, di Genova, di Cagliari o di Napoli, ma di un risultato nuovo e originale, costruito completamente al di fuori del quadro politico dato e fondato sulla capacità di aggregazione dei movimenti, delle loro nuove pratiche di democrazia diretta, o, meglio, deliberativa e delle intelligenze politiche presenti al loro interno.
Sull’altro lato, quello del dibattito vero è proprio, si collocano con evidenza la discussione promossa da un supplemento all’ultimo numero di Micromega e due articoli pubblicati su questo giornale (Marco Revelli e Giorgio Airaudo in coppia con Giulio Marcon). Tutti questi hanno un tratto comune che va valorizzato: l’obiettivo della costruzione di una nuova soggettività politica della sinistra in connessione con lo sviluppo della sinistra diffusa nella società.
Se il tentativo di Micromega si era risolto con un mezzo insuccesso, secondo la severa autoanalisi dello stesso Paolo Flores d’Arcais, non era però trascorso invano, visto che nella sostanza soprattutto l’articolo di Revelli ne riprende i temi. In particolare quello della insufficienza di una azione dal “basso” e della necessità di un ente “catalizzatore”, ovvero «di qualcuno – un gruppo di donne e di uomini – che dall”alto’ dia un segnale con pochi semplici denominatori comuni», dalla difesa intransigente della Costituzione, al primato del lavoro, passando per la difesa dei beni comuni, per imporre all’Europa un cambio radicale della sua politica economica e al nostro paese una bonifica politica e morale.
Un compito tanto più urgente se si registra che anche Casaleggio, il guru di Grillo, prevede rivolte per autunno (c’è solo da stupirsi che non ci siano state finora) e queste rischiano di consumarsi in esplosioni isolate se non incrociano almeno un abbozzo di forza alternativa dotata di un programma e di una ferma determinazione di radicale cambiamento.
Una discussione di questo genere non può venire isolata in un resort, ma tanto meno lasciata all’equivoco delle primarie o delle tante promesse di cantieri della sinistra che mai si aprono e tantomeno si chiudono con un qualcosa di fatto. C’è bisogno di un’assunzione di responsabilità di quel quadro pensante, diffuso e privo di contorni partitici, ma pure esistente e resistente, intrecciato con esperienze di movimento, di ricerca intellettuale, di militanza sindacale, di costruzione di nuovo senso di sinistra nella società.
Non saprei dire quale è il numero delle questioni da porre per dare concretezza ad una simile discussione. Probabilmente più delle quattro cui fanno riferimento Airaudo e Marcon. Ciò che conta è il punto di partenza e la linea di direzione verso un possibile approdo, pur da verificare e rettificare quanto si vuole strada facendo.
La premessa non può non essere che la constatazione della morte dell’attuale centrosinistra. L’operazione è cominciata con il governo Monti, contando già su solide premesse; è stata ispirata, sostanziata e guidata dalle scelte della nuova governance europea; è approdata a «quell’odore marcio del compromesso» di cui ha scritto Barbara Spinelli, che è tale proprio perché a lungo covato. Solo il non esito, questo difficilmente prevedibile, delle ultime elezioni politiche ha fatto sì che Sel, contrariamente alla retorica governista sviluppata negli ultimi tempi, si trovasse all’opposizione e il Pdl per intero al governo.
Ma la Grosse Koalition non è un’invenzione dell’ultima ora. Parafrasando Giulio Bollati – quando parlava del fascismo, che è cosa diversissima, per dire che non era improvviso né imprevedibile – «il fenomeno può essere condensato in una formula: nulla è (nelle larghe intese) quod prius non fuerit nella società, nella cultura, nella politica italiana, tranne che (le larghe intese) stesse» da almeno 25 anni a questa parte. Infatti questa forma di governo a-democratica, prima ancora che tecnocratica, è la più congrua al capitalismo finanziario nel quadro europeo.
Il Pd è diventato il pivot di questa politica. Non ha senso proporsi di modificarlo all’interno (oltretutto tutti lavorano per Renzi) né attenderne la possibile implosione. Il “campo del cambiamento” va organizzato fuori e contro. La caduta del governo Letta è il primo compito di un’opposizione di sinistra che si rispetti e non può essere messo in ombra da calcoli congressuali. Se entro l’anno si giungesse a una grande manifestazione nazionale contro il governo, capace di raccogliere tutte le forze che ad esso si oppongono, questo sarebbe l’unico modo per cambiare tutte le agende politiche.
Coerentemente lo sbocco europeo deve essere ricercato nel campo della sinistra di alternativa su scala continentale. Serve una campagna di massa, capace di unire i temi della concreta sofferenza sociale con le cause che la provocano e che stanno nelle politiche di austerità di Bruxelles, ma a questa non si potrà poi dare una rappresentanza politica scelta nell’ambito di quel socialismo europeo che, a partire dalla Germania, si attrezza a essere garante di quelle politiche.
Le possibilità vanno raccolte da subito senza timidezza o pretese di primogenitura, ma avendo il coraggio di produrre scelte di campo nette e riconoscibili.
La storia di Rifondazione  Comunista è una di quelle che intreccia anni e fatti che sembrano lontanissimi, ma che in realtà sono molto più vicini di quanto sembrino.
1991 - MRC, Movimento per la Rifondazione Comunista, fucina da cui poi l'anno successivo sarebbe nata Rifondazione, dalla volontà di non far morire la storia che ha visto il Partito Comunista più grande d'Europa.
Quel neo parito, dunque, avrebbe preso  il nome dalla mozione che non voleva vedere mutato sciolto  il Pci: "Rifondazione Comunista".
A partire dai primi anni '90, la storia del Prc è stata lastricata di successi ma anche di sconfitte: numeri elettoriali che sfioravano addirittura la doppia cifra e scissioni.
La prima scissione fu quella del gruppo Cossutta-Diliberto che portò alla nascita del PdCI , poi via via tutte le altre minori fino all'ultima che ha assestato l'ultimo colpo alla sinistra a falce e martello in Italia: Nichi Vendola, candidato alla segreteria del partito, dopo aver perso la partita con Paolo Ferrero, decide di interrompere il suo cammino con il Prc e di formare una nuova organizzazione politica.
Dapprima cartello elettorale, poi forza politica vera e propria, Sinistra Ecologia Libertà è stata l'unica scissione da Rifondazione senza "falce e martello" nel simbolo.
Dopo le elezioni del 2008 e dopo la sconfitta de "La Sinistra - L'Arcobaleno" inizia, quindi, il travaglio extraparlamentare che, nonostante tutto, porta prove di unità significative: alle elezioni Europee del giugno 2009 (dopo la scissione di  Sinistra e Libertà nda) PdCI e Prc si coalizzano nella "Lista Anticapitalista", cartello elettorale da fucina per il futuro processo federativo e unitario dei due partiti comunisti d'Italia: la Federazione della Sinistra.
Dal 1998 Prc e PdCI non si erano più alleati, se non in coalizioni comuni e con simboli separati, ora il simbolo era unico.
La FdS prende per mano i militanti di Rifondazione e del PdCI traghettandoli fino al luglio scorso, mese in cui si consuma la rottura dell'unità comunista ritrovata.
Oliviero Diliberto e i Comunisti Italiani dichiarano appoggio a Nichi Vendola per la corsa alle primarie del Partito Democratico e, in caso di sconfitta del governatore pugliese, il sostegno a Pierluigi Bersani.
La Fds si congela, si inclina, si rompe.
Tutto fermo, salvo poi trovarsi insieme nella lista in appoggio ad Antonio Ingroia "Rivoluzione Civile".
Ancora, e per altri 5 anni, i comunisti in Italia sono extraparlamentari.
Di unità e progetto, di Rifondazione e PdCI, di comunismo e capitalismo, di crisi e uscita da essa, di Europa e di trattati europei, ne parla Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione, raggiunto da 'L'indro'.
Quali sono le posizioni e gli umori dopo la sconfitta subita da  "Rivoluzione civile"?
Indubbiamente c'è stato, nell'immediato, un elemento di depressione abbastanza generalizzato: è del tutto comprensibile.
La situazione ad oggi mi pare un po' diversa, con la consapevolezza che sconfitta elettorale non è la sconfitta del progetto politico.
Il nostro progetto politico è centrato sul fornire una strada per uscire da questa crisi e nella campagna elettorale della lista “Rivoluzione Civile” questo tema non si è nemmeno visto.
C'è, dunque, la volontà di ripartire su quel progetto politico, ovvero, quello dell'uscita dalla crisi e su questo stiamo lavorando per proporre: il progetto del piano di lavoro (per due milioni di posti di lavoro nei prossimi 3 anni) e la campagna per la questione del referendum sui trattati europei.
Sono due temi centrali: politiche per l'occupazione e politiche di austerità e, quindi, mettere in discussione l'Europa così com'è oggi perché strutturalmente sbagliata.
Quindi, uscita dall'Europa?
No, ho detto: modifica dei trattati che possa portare ad un percorso di disobbedienza per cui i singoli Stati devono cominciare a non obbedire all'applicazione di essi.
Nei confronti di antonio ingroia c'è qualche rancore, ora che è "passato al" centrosinistra o siete ancora in contatto?
Non c'è mai stato nessun rancore, non ne abbiamo mai espresso.
Anche quando si prende atto di un dissenso politico: non è detto che dobbiamo pensarla tutti allo stesso modo.
Passiamo ai rapporti con le forze politiche a Rifondazione più vicine: il PdCI, in primis.
La Federazione della Sinistra (FdS) non esiste più e ieri i Comunisti Italiani hanno eletto un nuovo segretario. Ritiene sia possibile, stando così le cose, arrivare ad un'unica struttura comunista?
Vedremo nei contenuti: loro hanno detto alcune parole interessanti di distanza dal Partito Democratico, sapendo che la Federazione della Sinistra si è spaccata esattamente su questo.
Perché, ad un certo punto, nel Luglio dello scorso anno il PdCI decise di andare a trattare col Pd invece di continuare la costruzione della FdS per una partecipazione alle elezioni di essa.
Vediamo se si aprirà una discussione nei prossimi mesi, vediamo che tipo di convergenza c'è in merito.
La cosa, che per me deve essere molto chiara, è che fare gli accordi che non siano espliciti sulla prospettiva politica non serve a niente:  serve solo a mettersi insieme un mese e a dividersi tre mesi dopo.
Per me, il punto, è una discussione seria sulle prospettive.
Quindi non ci sarà più il "rimpallo" che c'è stato per cui le due organizzazioni della FdS si accusavano reciprocamente  di non voler realmente fare l'unità?
Questo rimpallo non l'ho mai visto, per quanto ci riguarda.
Noi abbiamo sempre detto di fare la federazione e di farla su un'ipotesi politica chiara: così sembrava - perché i documenti erano chiari in questo senso - ma così poi non è stato.
Per me la discussione è sempre stata sui conntenuti: io sono per costruire una sinistra autonoma al centrosinistra ed alternativa alle sue politiche.
Se c'è una convergenza su questo si può discutere su quali passi per l'unità si fanno, se non c'è convergenza su questo non ha nessun senso discuterne perché sono progetti politici differenti: questa sarà la discussione da fare, senza nessun rimpallo.
Rifondazione Comunista è l'unica organizzazione che, nonstante avesse fatto parte di Rivoluzione Civile, non ha organizzato un congresso straordinario, come mai?
Non è vero: il nostro congresso si terrà alla fine dell'anno ed è un congresso straordinario, semplicemente ci siamo presi il tempo per fare una riflessione di fondo e di non fare un congresso sull'ondata emotiva ma per avere una discussione vera sul 'che fare?'.E, mi sembra,  che questo periodo di discussione e di riflessione sia stato utile.
L'Italia ha ancora bisogno di Rifondazione e di "una rifondazione" ?
Io penso che ne abbia molto più bisogno di prima.
L'Italia sta andando incontro ad un baratro: giovani, disoccupati, precari e anche le persone di mezz'età che pensavano di essere al sicuro stanno male.
La gente sta male, l'Italia sta malissimo.
Le forze politiche che hanno preso voti dalle elezioni si sono dimostrate del tutto incapaci di affrontare qusto problema e vale sia per le attuali forze di governo (Pd, Scelta Civica, Pdl);  sia per il Movimento 5 Stelle che, nonostante avesse preso il 25%, è riuscito nel miracolo negativo di non far servire a nulla quella percentuale.
Quindi di contribuire ad eleggere Giorgio Napolitano a Presidente della Repubblica, avendo prima chiuso ogni discussione su eventuali assetti diversi e a me sembra che nessuna delle forze in campo sia in grado di rispondere al problema principale che c'è in Italia: l'uscita dalla crisi.
Noi abbiamo un'opzione molto chiara che è il rovesciamento delle politiche di austerità, con un convincimento: l'Italia non è un paese povero ma per valorizzare questa ricchezza bisogna: redistribuire il reddito, dei ricchi verso i più poveri; occuparsi del lavoro, praticare e finanziare una riduzione dell'orario di lavoro e quindi anche rimettere in moto dei lavori come quelli nel campo della ricerca; deve ridistribuire il potere, invece che il presidenzialismo e la manomissione della Costituzione deve dare più potere ai cittadini con la possibilità di aumentarre lo spazio dei referendum e deve praticare una riconversione ambientale dell'economia.
Noi pensiamo, dunque, che l'Italia abbia una strada per uscire dalla crisi ed è la strada che indica Rifondazione.
Assieme a questo, è del tutto evidente che l'Europa di Maastricht è fallita – tra l'altro Rifondazione fu l'unico partito a votare contro quel trattato e contro quello successivo di Lisbona, votato da tutti gli altri partiti – e quindi anche essa va smontata, l'Europa dei Capitali e delle Banche per costruirne un'altra.
Per questo io penso sia necessario mettere in campo una proposta politica di sinistra che non sia solo sindacale, ma sia in grado di individuare un modello di sviluppo diverso e che si basi sulla redistribuzione del lavoro e del reddito, sul rispetto dell'ambiente, sull'allargamento della democrazia.
C'è poi un problema più generale che ritengo come questa crisi sia la manifestazione che il capitalismo non sia in grado di riprodursi civilmente una volta che ha costruito un certo livello di benessere.
Questa crisi è la crisi dell'incapacità del capitale di rispondere ad una domanda di miglioramento quando sono stati soddisfatti i bisogni primari delle persone.
In questo senso, il tema del comunismo - cioè del superamento del meccanismo del profitto come unico meccanismo di regolazione sociale e attorno a cui costruire lo sviluppo – è attuale più oggi di cent'anni fa.
Siamo davanti alla dimostrazione che questa crisi caapitalistica non è dovuta a delle lotte operaie, con qualche problema esterno al capitale: è un blocco del meccanismo dell'accumulazione capitalistica, in quanto tale.
Cioè, loro non sono in grado di riprodurre il rapporto di valore, significa che il capitalismo non funziona: non è in grado di mediare la ricchezza che ha prodotto in termini di benessere sociale.
In questo senso c'è un'attualità del comunismo, e , per certi versi, una necessità del comunismo, altrimenti si andrebbe incontro alla barbarie.
Quindi un superamento della società in senso socialista?
Sì, certo: in senso socialista.
Cioè nel senso di allargamento della democrazia e di superamento del mercato della forma merce come unico meccanismo di legame sociale, perché, palesemente, il capitalismo non è in grado di mediare la ricchezza sociale prodotta.
Poi, per me, la questione è quella di riunire la sinistra - ma tutta la sinistra -, che è disponibile a costruirsi su un'idea di uscita dalla crisi, di autonomia e di alternativa al centrosinistra.
Non solo dei comunisti, perché tanti non si definiscono comunisti ma pensano esattamente le stesse cose che diciamo.
E allora, il vero problema politico che abbiamo oggi davanti è di come riuscire a mettere in piedi una forma politica (partecipata, democratica, non verticistica e che parta dal basso), che metta insieme quelle trecento mila persone di sinistra che non fanno parte di alcun partito in larghissima parte, per costruire in Italia una sinistra come quella che c'è in altri paesi europei.
Questo mi sembra il punto politico vero: non è il problema di mettere insieme questo con quel partito, che cambierebbe relativamente poco...
Quindi attualmente l'unione Prc-PdCI, come la Fds ma in un ipotetico partito unico, sarebbe ininfluente?
No, dico che il punto vero, il nodo di fondo, è che tu non è che non hai gente di sinistra a cui rivolgerti, al contrario: ce n'è tanta, c'è una domanda di sinistra molto forte.
C'è una difficoltà, però, nella forma con cui realizzare questo, in questo senso io dico che il tema dell'unità e della costruzione della sinsitra è il tema principale.
Il resto sono cose che possono essere utili ma non decisive: il punto vero è rimettere in pista centinaia di migliaia di persone che, in larghissima parte, sono fuori dai partiti.
Costruire, quindi, concretamente una sinistra che sappia fare propria la crisi della politica per superarla in avanti.
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