lunedì 15 luglio 2013

Il cammino di Umbria Terra Sociale, intervista a Sanni Mezzasoma


Siamo con Sanni Mezzasoma Direttore del centro Panta Rei di Passignano sul Trasimeno e promotore del progetto “Umbria Terra Sociale” per ragionare su crisi e agricoltura, andiamo con la prima domanda, cos'è Panta rei (www.pantarei-cea.it)?
É il nome di una delle strutture di proprietà di una cooperativa agricola in cui abbiamo sperimentato la diversificazione del reddito agricolo, cioè accanto alle attività tradizionali svolte secondo modalità a misura d'uomo e sostenibili abbiamo sperimentato attività collaterali a carattere agrisociale. Testimonianza ne è la nascita in quanto nasce dalla ristrutturazione di una vecchia stalla in disuso costruita negli anni 70 che aveva ospitato una dei greggi più popolosi del centro Italia e l'abbiamo trasformata in una struttura residenziale d'avanguardia seguendo i criteri del basso costo e basso livello di tecnologia. Siamo conosciuti per le costruzioni in terra e paglia, ma abbiamo sperimentato a diversi livelli le possibilità di autocostruzione e di autoformazione cercando di costruirci sopra attività reddituali e che avessero utilità sociale, in 15 anni siamo convinti di aver raggiunto migliaia di persone e di aver aumentato le loro possibilità di scelta, di aver innalzato il livello di conoscenza e competenza di un territorio.
Sempre in riferimento alla presentazione cos'è Umbria Terra Sociale?
Una buona idea che stiamo tentando di trasformare in progetto partecipato, dentro lo schema di una crisi che manifesta un carattere strutturale e che non accenna ad allentare il proprio morso, abbiamo ragionato su quali soggetti la crisi scarica i suoi effetti e come questi soggetti possono combatterla in una dimensione sia reddituale, che di utilità sociale, che di recupero di mezzi di produzione.
Cioè?
La crisi produce disoccupazione, impoverimento delle fasce deboli, tagli allo stato sociale, c'è difficoltà ad arrivare al giorno dopo, non ci sono sostegni al reddito se non la cassa integrazione che seppur importantissima non prevede per i lavoratori percorsi reali di reinserimento professionale e formazione. Contemporaneamente si modificano i livelli di consumo, molte persone non riescono ad avere alloggio e cibo, non riescono a soddisfare bisogni primari. Molte proprietà pubbliche sono abbandonate, inutilmente esterne ai processi di produzione, sono terreni agricoli, boschi, casali. Si debbono mettere insieme le due cose e invece di privatizzare ulteriormente le campagne producendo latifondi attraverso la svendita a privati si possono utilizzare queste terre per il reinserimento dei sottooccupati con utilizzo della terra a finalità sociale. Un patrimonio pubblico che sia di pubblica utilità. Si tratta di mettere insieme mondo agricolo, ambientalismo, sociale e per certi versi anche turismo e cultura. In prima battuta queste terre dovrebbero andare a disoccupati che si mettono insieme per coltivare terre demaniali spesso incolte e che sviluppino progetti di utilità sociale, utilizzando i casali sfitti, conservando o meglio manutenendo un patrimonio a rischio d'abbandono, riqualificandolo in parte garantendo quel presidio indispensabile a contenere catastrofi naturali (altro effetto della crisi è il taglio di fondi per la manutenzione del territorio) e a rimettere a reddito le terre incolte e abbandonate.
Questo vale solo per l'Umbria?
L'idea è di costruire una matrice che possa trovare diverse modalità di applicazione sui diversi territori, c'è fermento attorno all'assegnazione delle terre demaniali, in Umbria abbiamo provato a costruire un modello specifico che abbia carattere locale, ma che si presta ad essere rimodulato e sintonizzato con le esigenze diversi dei territori, è un progetto che parla di filiere corte, ma che è caratterizzato da tre assi: gradualità, integrazione, modularità. Un buon indice è dato dall'eterogeneità dai partecipanti, si va da Associazioni come Legambiente, tra i promotori, fino ad alcuni contadini del movimento genuino clandestino, fino alle reti dei gas e anche produttori non associati od associati, insomma un “cartello” variegato di promotori che cercano di portare a sintesi utile le loro esigenze convinti che non sia impossibile.
Fermento dicevi, i principali ostacoli?
Si ci sono in giro diverse proposte, alcuni accelerano in direzione sbagliata anche in Umbria, tutte debbono confrontarsi con problemi strutturali, il primo è il più banale e cioè non è un caso se le terre sono incolte, da una parte si è favorito il latifondo, ma dall'altra l'agricoltura è in prima battuta fatica e basso reddito, tra gli adagi degli allevatori non troppo meccanizzati c'è quello che per loro non esistono le feste comandate, le bestie vogliono mangiare ogni giorno e ogni giorno vanno accudite, nelle campagne la parola ferie non era così diffusa. Oggi abbiamo il ritorno al latifondo, la trasmissione familiare e l'alto costo della terra che limitano l'accesso alla terra ai giovani e in generale a coloro che vorrebbero lavorarla. La seconda questione è che per chi oggi li ha i soldi, la terra è un investimento più redditizio dei titoli, quindi cosa ci può essere di meglio che grandi appezzamenti di terre pubbliche svendute per 4 soldi con lo Stato che propaganda queste scelte come necessarie a evitare ulteriori tagli allo stato sociale?
I problemi e gli interessi in gioco sono molteplici, passare dall'idea al progetto significa confrontarsi coi problemi e sceglier soluzioni, dico scegliere perché qui entra la politica l'idea di modello di sviluppo, l'idea di agricoltura, a volte le accelerazioni servono a evitare alcune discussioni.
Cioè?
Alcuni sono convinti che il problema in agricoltura (in termini di basso reddito) sia la dimensione d'azienda, noi pensiamo che sia il modello di agricoltura potremmo dire contemporaneamente estensivo (latifondo per risparmiare) ed intensivo (concimazione chimica per avere più produzione con conseguente impoverimento del suolo i problema. Noi pensiamo ad un modello diverso che determini un commercio su scala locale, può sembrare ingenuo, ma perché non legare le produzioni di queste terre, delle terre diciamo destinabili ad ortive, al consumo degli ortaggi nelle mense pubbliche? Non credo ci sia ingenuità, ma come al solito interessi, direi interessi di classe.
Ci hai parlato di alcuni problemi, i punti di forza?
Una delle cose a cui teniamo di più è la partecipazione, fare la migliore legge possibile in termini accademici, ma non determinare interesse nei soggetti coinvolti, interesse dovuto alla partecipazione diretta alla costruzione del progetto sarebbe sbagliato, il nostro percorso ha scelto di confrontarsi con la complessità della progettazione partecipata. Se dovessi scegliere preferisco una legge più imprecisa, ma costruita coi soggetti interessati che una legge perfetta, ma che nessuno userà mai e che nessuno conosce, che viene sentita come estranea e per questo alla fine sfruttata a proprio vantaggio proprio dai grandi investitori, c'è bisogno di basi solide, noi siamo partiti da qui. Altro elemento interessante è la relazione tra Regione e Comuni la regione legifera e dunque da indirizzi e programmazione con elementi di controllo, i Comuni attraverso bandi di evidenza pubblica assegnano le terre, come detto per uso agrisociale. Non si tratta semplicemente di coltivare, ma di offrire anche servizi sociali, di ricostruire un welfare municipale, con i Comuni che tornano a fornire servizi, aprono mercati, in collaborazione con l'Università certificano le produzioni, costruiscono strutture a servizio di questi progetti e in cambio ne ricevono servizi. Parlavo anche di gradualità e modularità, questo progetto deve necessariamente portare ad una legge regionale che ridisegni le regole del commercio per i piccoli produttori, costringere un allevatore con 20 vacche ad avere le stesse regole che un soggetto che ne ha 4000 mila in termini di produzione di formaggi ad esempio è evidentemente un problema di classe, di mercato drogato, di concorrenza sleale, questo modello agricolo, prevede anche che per piccoli produttori sia possibile commercializzare i propri prodotti in modo da garantirne la salubrità senza essere impossibilitato a produrre, quindi con regole adatte alla dimensione d'azienda.
In conclusione?
Un progetto che propone di usare le proprietà del demanio a fini reddituali, ma anche sociali, che combatta gli effetti della crisi in termini occupazionali e di servizi alla popolazione, che ridisegni un ruolo da non semplici esattori per i municipi e che si fondi sul principio che queste terre debbano rimanere pubbliche e agricole e che i soggetti che le prendono in carico debbono essere agricoli con vocazione alla fatica. Occupazione, inclusione sociale ed integrazione sono anche le parole d'ordine della nuova programmazione europea in agricoltura e noi le riempiamo di significato, la prossima programmazione identifica tra le funzioni dell'agricoltore quella di produrre bene pubblico. Noi diamo le gambe alle loro teorie. Chi prende le terre assume una responsabilità ed è predisposto alla fatica, ma questi sono due presupposti rivoluzionari. L'orizzonte più lontano rimane la trasformazione della società, noi ripartiamo dal chi, dal perchè e dal come produce.

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