Pomigliano d’Arco. La proposta delle più note famiglie camorristiche di un ridisegno delle condizioni di lavoro di picciotti, affiliati, collaboratori, compari, fiancheggiatori e indotto, segnano una nuova fase nella dialettica tra maestranze e datori di lavoro.
La bozza di accordo prevede turni continui – straordinari, notti, sabati e domeniche – per tutti gli affiliati, revoca del diritto di sciopero e dell’indennità di malattia. Se un picciotto si rifiuterà di bruciare un negozio o di sparare a un rivale anche fuori dall’orario stabilito, sarà immediatamente eliminato. Se gli affiliati delle famiglie non accetteranno queste condizioni, la camorra si vedrà costretta ad andare a chiedere il pizzo in Polonia. In questo caso, la ricaduta sul territorio sarà spaventosa: migliaia di uomini saranno costretti, per mancanza di alternative, ad andare a lavorare alla Fiat.
Cisl e Uil hanno già firmato. Veltroni consiglia di firmare. Marcegaglia dice che è pazzesco non firmare. Colaninno Junior caldeggia la firma. Gino o’Zoppo detto Malacarne sostiene che è meglio firmare, scemi, cornuti, è per il vostro bene. Anche Carmine Sparaspara, detto Ditamozze è intervenuto nel dibattito sostenendo serenamente nel corso di una tavola rotonda che chi non firma sarà sciolto nell’acido. In poche settimane l’opinione pubblica, indirizzata dai grandi giornali, dalle televisioni, dai commentatori di tendenza liberale, dalla sinistra istituzionale e da alcuni strani episodi di autocombustione di case e negozi, si è fatta l’idea che bisogna firmare l’accordo. “Parlare di ricatto è semplicemente offensivo – ha detto in un comunicato Gaspare Chittemmuorto, detto o’ Scannatore -. Ma quale ricatto e ricatto, semplicemente ci spariamo int’a capa!”.
In questo clima di concordia e serenità, i guaglioni andranno a votare sì al referendum indetto per ratificare l’accordo: basterà qualche goccia di sangue sulla scheda.
Alessandro Robecchi, Il Manifesto 20.06.2010
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