sabato 17 dicembre 2011

J'ACCUSE/ Bertinotti: l'operazione-Monti, un "golpe" dell'Europa e della sinistra


J'ACCUSE/ Bertinotti: l'operazione-Monti, un golpe dell'Europa e della sinistra 


Quali sono le condizioni che rendono necessario lo “stato d’eccezione”? Ma soprattutto chi stabilisce che si siano realizzate e ha quindi la facoltà di “sospendere” la democrazia? Sui grandi giornali il dibattito si riaccende mentre il governo Monti si appresta a far approvare dal Parlamento una manovra da 30 miliardi.
Fausto Bertinotti, già leader di Rifondazione Comunista, ha le idee chiare in merito, come spiega nell’ultimo numero della rivista Alternative per il socialismo, dal titolo “Rompere il recinto”.
«Chi definisce e governa lo stato d’eccezione (che tra l’altro tende a diventare regola) è il “sovrano”, oggi rappresentato dal potere tecnocratico. Una sorta di organizzazione neobonapartista europea attraverso la quale la borghesia sta riprendendo in mano il comando della società e dell’organizzazione statuale, nazionale e sovranazionale. Oggi, in pratica, stiamo vivendo la fase costituente di un’Europa post-democratica – dice a IlSussidiario.net l’ex Presidente della Camera –. Un regime neoautoritario che definisce i suoi connotati attraverso la cesura con il ciclo democratico. È comunque la coda di un lungo processo, non un colpo di maglio delle ultime settimane».

Secondo la sua analisi quando avrebbe avuto inizio tutto ciò?

È una tendenza che ha avuto origine a partire dall’ultimo quarto di secolo e che si è aggravata con il successivo sviluppo della crisi del capitalismo finanziario globalizzato che ha interrotto la sua spinta ascensionale per entrare in una nuova fase dominata dall’instabilità e dall’incertezza.
In questo periodo, il processo attraverso cui le costituzioni materiali avevano logorato progressivamente l’eredità delle carte costituzionali europee, ha compiuto un salto di qualità portando alla progressiva riduzione della democrazia a tecnica di governo. Si è affermato così il primato della governabilità, una controrivoluzione culturale e istituzionale che ha dato luogo allo svuotamento della democrazia rappresentativa. Il risultato? Un potere sovranazionale privo di legittimazione democratica che, nel precipitare della crisi, si è attribuito addirittura il carattere di sovrano (o di tiranno), proclamando lo “stato d’eccezione”.

Ed è ciò che è avvenuto nel nostro Paese, secondo lei?

Certo, in questo caso possiamo parlare di “golpe bianco”. D’altronde, se la Bce arriva a definire esplicitamente il confine entro cui si può esercitare l’arte di governo significa che il potere è stato ormai ceduto a “podestà forestiere”, come scriveva lo stesso Mario Monti quando vestiva ancora i panni dell’editorialista.
I premier sono così ridotti al ruolo di “proconsoli”, o di “sacerdoti”, del governo centrale.

Monti sarebbe quindi il console di un’Europa neo-autoritaria?

Sì, al pari degli altri leader europei. Chi infatti ha provato a “ribellarsi”, appellandosi alla democrazia, come George Papandreu, è stato destituito.
L’“operazione Monti”, ad ogni modo, è stata molto raffinata.  Il professore, infatti, ha tutte le caratteristiche per essere parte integrante dell’establishment europeo e non solo uno dei suoi bracci. È uno degli “ottimati” che hanno preso in mano il governo dell’Europa secondo uno schema molto semplice: o la nostra politica o il caos.

In questa fase però ha avuto un ruolo centrale anche il Presidente della Repubblica.
Questo è innegabile. Credo però il Capo dello Stato sia stato mosso da un’ispirazione politica: il “terrore dell’orrore”, o la “paura del vuoto”.
Ha scelto la continuità: la cessione di sovranità al governo europeo, infatti, era già incipiente durante il governo Berlusconi e il Presidente della Repubblica ha soltanto assecondato una tendenza.

Ma ha ragione Piero Sansonetti quando dice che la sinistra italiana, pur di liberarsi di Silvio Berlusconi, ha permesso che si verificasse il suo superamento a destra?

Anche questo processo si può comprendere se si parte da più lontano. Dagli anni Novanta, infatti, la sinistra ha commesso l’errore di adottare la globalizzazione come storia naturale e non come processo politico determinato da rapporti sociali, in cui ci sono interessi colpiti e interessi esaltati. Diciamo che ne è rimasta abbagliata, convinta di essere titolata a governarla sulla base di un’adesione di fondo e di una liberazione dai quei vecchi lacci che la imprigionavano.

Come ad esempio?

Mi riferisco allo smarrimento della lettura di classe della società, all’incapacità di usare termini come “padrone”.
Questo ha fatto sì che quando è arrivata una borghesia politica che ha saputo presentarsi con tutti i crismi e senza più elementi patologici e distorcenti, anzi, con il suo statuto e l’orgoglio di classe dominante, la sinistra si sia ritrovata prigioniera dello stato d’eccezione.
Oggi la lotta di classe continua, ma si è rovesciata. La conduce la borghesia che tenta di espugnare quei terreni che gli erano stati sottratti, dal compromesso sociale europeo al welfare.

Ma cosa intende dire quando invita la sinistra ad abbattere il “recinto”?

Il “recinto” è l’organizzazione di un muro politico e istituzionale che separa ciò che il sistema considera parte della governance da quello che ne viene escluso.
Se il recinto si assesta definitivamente la sinistra è morta. Sia quella che sta al suo interno, uccisa nella sua ispirazione fondamentale, sia quella che resta fuori, condannata a un ruolo ininfluente di protesta.
Il potere, infatti, è sempre più impermeabile alle lotte e tende a costruire decisori che non abbiano più il problema del consenso.

È questa la sfida che, secondo lei, attende le diverse forze della sinistra, dentro e fuori il Parlamento? 
Non voglio entrare nel campo della direzione politica che oggi spetta a chi ha delle responsabilità in tal senso. Dico però che all’interno delle forze politiche della sinistra c’è da sperare che ci sia una mobilitazione di energia. L’obiettivo che ho indicato si può conseguire al di là del partito in cui si milita, a patto però che vengano scelti i movimenti come baricentro politico.
La centralità dei partiti infatti è finita, come hanno dimostrato i referendum sull’acqua e sul nucleare, sindacati come la Fiom o gli Indignados. Sono questi i soggetti essenziali della costituente democratica, che possono opporsi a quella neoautoritaria.

E se l’obiettivo fosse raggiunto ne gioverebbe anche la democrazia?

Certamente. La democrazia, la politica e la sinistra sono morte insieme. Simul stabunt, simul cadent vale anche quando c’è da ricostruire...
 
Carlo Melato, http://www.ilsussidiario.net

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