È
passato poco più di un mese e già la “foto di Vasto” appare come un
reperto sbiadito della politica che fu. L’asse che doveva tenere insieme
Pd, IdV e SEL, come futuro architrave di governo di un rinnovato centro
sinistra, si è sfaldato sotto il maglio del governo dei banchieri.
Il
Pd – e ne pagherà amaramente le conseguenze – ha scelto la
compartecipazione attiva alle decisioni di Monti, qualche borbottio e
qualche contentino ma nulla di più.
Il partito di Di Pietro,
attraversato da una discussione interna, oscilla fra le pressioni che
arrivano in Italia dal Pd e nel quadro europeo, dal gruppo liberal
democratico a cui è iscritto. Difficile capire se prevarrà la scelta di
opporsi ad una manovra giudicata iniqua e poi continuare ad appoggiare
il governo o se alla fine, di fronte magari ad un voto di fiducia,
prevarranno le pressioni centriste.
Ma la situazione più complessa la
vive il partito di Nichi Vendola che ha tentato e tenta ancora di
coniugare l’impossibile, le tensioni sociali connesse alla crisi con il
progetto del centro sinistra. Ed è un continuo alternarsi di posizioni
critiche verso la manovra, anzi, con proposte di alternativa vera e
propria come la patrimoniale e il taglio alle spese militari, subito
seguite da messaggi rassicuranti verso il Pd. Ma, a differenza degli
altri personaggi della foto, in SEL esiste una forte componente,
probabilmente maggioritaria, composta tanto dalla base quanto da una
parte della dirigenza, presente nei conflitti, che di fatto è interna ai
movimenti sociali poco graditi al centro sinistra o meglio a quello che
ne resta. E se una voce esterna ma certamente autorevole e di richiamo
come l’ex Presidente della Camera Fausto Bertinotti, dichiara
ripetutamente la morte del centro sinistra e la necessità di uscire dal
recinto della politica, in tanti altri e altre chiedono e praticano una
reale opposizione nei territori. Chi sta lavorando con i forum
ambientalisti e per il rispetto dei referendum sull’acqua, chi vede
ormai questo governo come espressione della peggiore destra e condannato
a portare il paese verso una fase recessiva che sarà pagata dalle fasce
sociali più deboli. L’esperienza concreta mostra come lo spazio di
riformabilità all’interno di uno schieramento così moderato e
condizionato dai poteri forti, sia stato una effimera chimera,
inefficace quanto il sogno di poter determinare tutto attraverso la
catarsi delle primarie e l’affermarsi di un leader solo al comando,
magari di sinistra ma capace, in quanto leader, di modificare gli
assetti raggiunti. Ormai dovrebbe essere chiaro anche agli occhi meno
avvezzi che non sarà la narrazione di un leader salvifico a permettere
vie alternative per uscire dalla crisi, non c’è spazio per progetti di
labili riforme, oggi è il tempo del conflitto e della ricostruzione di
una sinistra, capace di superare anche gli spazi angusti dei propri
contenitori. E sono in molte e in molti a fremere, a dichiarare
apertamente una criticità verso Vendola a cui si rimprovera anche di
aver definito un partito scarsamente aperto al dibattito e alla
democrazia interna. C’è voglia di stare nei movimenti e nelle piazze, di
esporre una radicalità nei contenuti, di ridefinire un campo di
alternativa reale, non minoritario ma neanche subalterno alle scelte
delle segreterie dei partiti. Chi è sul territorio percepisce il disagio
verso misure ingiuste, inutili e inique, che colpiscono i diritto dei
lavoratori e dei pensionati, degli studenti e dei precari e contro cui
stanno reagendo i corpi più vivi della società. E sono numerosi i
dirigenti di SEL a chiedere al proprio fondatore di compiere una svolta e
scendere sul terreno delle lotte, riaggregarsi a sinistra e chiudere la
stagione del politicismo. Un dibattito interno a SEL che va rispettato e
in cui bisogna augurarsi che prevalgano le voci di chi sta in piazza
rispetto alle scelte di potere, ma bisogna fare presto. I tempi della
crisi cambiano velocemente gli scenari e ci vuole poco a restare
indietro e a perdere credibilità.
Stefano Galieni, www.controlacrisi.org
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