Rifondazione e Liberazione stanno dalla stessa parte. Chi soffia sul fuoco? Cui prodest
Il
taglio secco del Fondo per l’editoria, deciso da Berlusconi e di cui
Monti – confermandolo – si è reso pienamente corresposabile, è l’unica e
sola ragione che ha costretto l’editore a sospendere la pubblicazione
di Liberazione. Immaginare o, peggio, sostenere che l’intervento del
governo non sia altro che un alibi che nasconderebbe l’intento di
Rifondazione di disfarsi del proprio unico e fondamentale strumento di
controinformazione e lotta politica è una tesi che non ha alcun
fondamento.
In questi anni il giornale ha ricostruito una propria precisa identità politica ed ha riscosso l’apprezzamento dei lettori, dei militanti e di tante soggettività collettive che hanno trovato in questo spazio l’eco robusta delle proprie battaglie e delle proprie pratiche sociali.
Le testimonianze che senza soluzione di continuità affluiscono da giorni presso la redazione non fanno che confermare quanto questo sentimento sia radicato fra la nostra gente.
La sospensione dell’edizione cartacea è dunque un danno gravissimo – e come tale vissuto – per l’intera comunità politica del Prc. E non solo per essa. Ma annullare ogni percezione della cruda realtà dei conti, mischiare e rovesciare le responsabilità, significa offrire al governo e alla eterogenea compagnia di giro che lo sostiene, il pretesto per affermare che le ragioni vere della sospensione non stanno nell’impressionante dimensione dei tagli, ma in una occulta propensione suicidiaria del Prc. Alimentare questa tesi nel mentre la direzione del giornale, con il pieno coinvolgimento del partito, sta lanciando una grande sottoscrizione popolare proprio per dare una speranza ed un futuro possibile al giornale, significa praticare un atto di puro autolesionismo.
E sorprende che anche i nostri amici e compagni de il manifesto, vittime sacrificali, al pari di noi, di una furibonda offensiva contro la stampa libera e indipendente, con i quali stiamo conducendo una dura battaglia per ottenere il reintegro dei finanziamenti pubblici, diano l’impressione di accreditare l’idea di un retropensiero di Rifondazione, di un suo recesso dalle proprie responsabilità, di una decisione aprioristicamente coltivata.
Francamente, a chi come me ha vissuto questi anni in trincea, riuscendo – grazie ai sacrifici di tutti e ad un impegno senza soste – a riportare il bilancio in sostanziale equilibrio, riesce molto difficile capire su cosa si fondi la reiterazione di un sospetto pesante quanto privo di consistenza. Ne sia prova ulteriore, benché non necessaria, che ove il fondo fosse reintegrato non ci troveremmo sotto questa incudine e promuoveremmo, come stiamo in ogni caso facendo, la sottoscrizione di massa per assicurarci la liquidità necessaria a pagare – “sull’unghia”, come ci viene imposto dalla situazione presente – carta, tipografie, distribuzione, considerato che le banche non ci concedono un centesimo di credito.
Leggo poi che la disponibilità offerta da il manifesto e da l’Unità ad ospitare temporaneamente la “prima” di Liberazione, viene contestata dal nostro Cdr sino a chiederne la revoca, poiché in questo modo quei fogli si renderebbero complici della chiusura di Liberazione. Di più: si afferma che quella «miniLiberazione» assomiglierebbe ad un «volantino», piuttosto che ad un «prodotto giornalistico». Anche qui, veniamo in chiaro: la “prima” di Liberazione non è un volantino. Foto, titolo, sommario ed editoriale politico sono stati, in questi anni, la vetrina, il tratto identitario del giornale, immediatamente percepibile, qualificato ed apprezzato. Da dove viene, allora, questo giudizio liquidatorio che coinvolge, direttamente, la direzione del giornale?
Un modesto suggerimento a quanti – redattori, poligrafici, lettori, amici, compagni, militanti – tengono alla sorte di questo giornale: studiamole tutte, proviamole tutte, sondiamo sino in fondo ogni possibilità, senza preclusioni pregiudiziali. Facciamolo insieme, con tutta la determinazione necessaria. Senza evocare fantasmi e con l’onestà intellettuale che aiuta sempre, in particolare chi si ingaggia in imprese complicate.
So, per diretta esperienza e convinzione profonda, che quando sono in gioco i posti di lavoro è sempre necessario combattere. E il direttore di Liberazione è a fianco di chi combatte. Altrettanto decisivo è individuare con precisione alleati ed avversari, essendo deleterio confondere gli uni con gli altri. Occupy Liberazione serve a tutti se è chiara la consapevolezza che l’avversario sta a palazzo Chigi. E che Rifondazione non sta a Wall Street.
In questi anni il giornale ha ricostruito una propria precisa identità politica ed ha riscosso l’apprezzamento dei lettori, dei militanti e di tante soggettività collettive che hanno trovato in questo spazio l’eco robusta delle proprie battaglie e delle proprie pratiche sociali.
Le testimonianze che senza soluzione di continuità affluiscono da giorni presso la redazione non fanno che confermare quanto questo sentimento sia radicato fra la nostra gente.
La sospensione dell’edizione cartacea è dunque un danno gravissimo – e come tale vissuto – per l’intera comunità politica del Prc. E non solo per essa. Ma annullare ogni percezione della cruda realtà dei conti, mischiare e rovesciare le responsabilità, significa offrire al governo e alla eterogenea compagnia di giro che lo sostiene, il pretesto per affermare che le ragioni vere della sospensione non stanno nell’impressionante dimensione dei tagli, ma in una occulta propensione suicidiaria del Prc. Alimentare questa tesi nel mentre la direzione del giornale, con il pieno coinvolgimento del partito, sta lanciando una grande sottoscrizione popolare proprio per dare una speranza ed un futuro possibile al giornale, significa praticare un atto di puro autolesionismo.
E sorprende che anche i nostri amici e compagni de il manifesto, vittime sacrificali, al pari di noi, di una furibonda offensiva contro la stampa libera e indipendente, con i quali stiamo conducendo una dura battaglia per ottenere il reintegro dei finanziamenti pubblici, diano l’impressione di accreditare l’idea di un retropensiero di Rifondazione, di un suo recesso dalle proprie responsabilità, di una decisione aprioristicamente coltivata.
Francamente, a chi come me ha vissuto questi anni in trincea, riuscendo – grazie ai sacrifici di tutti e ad un impegno senza soste – a riportare il bilancio in sostanziale equilibrio, riesce molto difficile capire su cosa si fondi la reiterazione di un sospetto pesante quanto privo di consistenza. Ne sia prova ulteriore, benché non necessaria, che ove il fondo fosse reintegrato non ci troveremmo sotto questa incudine e promuoveremmo, come stiamo in ogni caso facendo, la sottoscrizione di massa per assicurarci la liquidità necessaria a pagare – “sull’unghia”, come ci viene imposto dalla situazione presente – carta, tipografie, distribuzione, considerato che le banche non ci concedono un centesimo di credito.
Leggo poi che la disponibilità offerta da il manifesto e da l’Unità ad ospitare temporaneamente la “prima” di Liberazione, viene contestata dal nostro Cdr sino a chiederne la revoca, poiché in questo modo quei fogli si renderebbero complici della chiusura di Liberazione. Di più: si afferma che quella «miniLiberazione» assomiglierebbe ad un «volantino», piuttosto che ad un «prodotto giornalistico». Anche qui, veniamo in chiaro: la “prima” di Liberazione non è un volantino. Foto, titolo, sommario ed editoriale politico sono stati, in questi anni, la vetrina, il tratto identitario del giornale, immediatamente percepibile, qualificato ed apprezzato. Da dove viene, allora, questo giudizio liquidatorio che coinvolge, direttamente, la direzione del giornale?
Un modesto suggerimento a quanti – redattori, poligrafici, lettori, amici, compagni, militanti – tengono alla sorte di questo giornale: studiamole tutte, proviamole tutte, sondiamo sino in fondo ogni possibilità, senza preclusioni pregiudiziali. Facciamolo insieme, con tutta la determinazione necessaria. Senza evocare fantasmi e con l’onestà intellettuale che aiuta sempre, in particolare chi si ingaggia in imprese complicate.
So, per diretta esperienza e convinzione profonda, che quando sono in gioco i posti di lavoro è sempre necessario combattere. E il direttore di Liberazione è a fianco di chi combatte. Altrettanto decisivo è individuare con precisione alleati ed avversari, essendo deleterio confondere gli uni con gli altri. Occupy Liberazione serve a tutti se è chiara la consapevolezza che l’avversario sta a palazzo Chigi. E che Rifondazione non sta a Wall Street.
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