venerdì 2 agosto 2013

Capitalismo all’italiana: bisogna distruggere quello dei magliari di Fabio Marcelli, Il Fatto Quotidiano

Chi mi conosce sa che mi ritengo un vecchio (neanche poi tanto) marxista. Sono cioè convinto che l’umanità possa aspettarsi qualcosa di meglio nel suo futuro di quello che sta vivendo attualmente. E che tale attuale (sotto)sviluppo con i suoi enormi costi sociali, umani ed ambientali, produce contraddizioni che prima o poi porteranno al suo superamento e alla sua sostituzione con qualcosa di meglio.
Assistendo però al triste spettacolo delle nostre classi dominanti, viene a volte di pensare anche a me che magari ci fosse anche in Italia un capitalismo serio, del tipo, diciamo, di quello tedesco o anche statunitense. Siamo del resto un Paese oramai sempre più periferico, all’interno di un’area regionale, quella europea, che per effetto delle sue interne contraddizioni e delle dissennate politiche, in primo luogo made in Germany, che vengono seguite, pare destinata a un declino rapido e inevitabile nel suo complesso.
Un fenomeno come Berlusconi, in effetti, può darsi solo in Italia. E non basterà la magistratura a risolvere il problema, anche se oggi ci rallegriamo tutti del fatto che continui a fare il suo indispensabile mestiere nonostante le pressioni e i tentativi di condizionamento. Si tratta, in buona parte, di difetti di origine, che non riguardano solo Berlusconi, che pure è il caso più tipico e inquietante. E’ proverbiale la mancanza di cultura e di prospettive dei nostri “capitalisti”.
Come pure fenomeni fortemente, anche se non solo italiani, sono la forte presenza delle mafie, della corruzione, dell’evasione fiscale, dell’abusivismo edilizio, delle lobby di ogni genere, dagli alti burocrati ai politicanti (in genere inutili e sempre più tali) ai professionisti d’alto bordo, a quelle più piccole, come i tassisti, sulle quali di solito si appunta l’esecrazione generale dato che con i grossi è meglio non prendersela, il coraggio non fa certo parte delle virtù nazionali riconosciute.
Non esiste del resto, contrariamente a quanto pensano gli idealisti un po’ naif, un Idealtipo di capitalismo cui commisurare quelli concretamente esistenti. Ogni capitalismo, con o senza le virgolette, ha la sua storia, le sue determinanti economiche e culturali. E’ il nostro, ahinoi, è contrassegnato prevalentemente, sia pure con eccezioni importanti, da sconcertante pochezza culturale, scarsa propensione all’innovazione, tendenza a infrangere le regole, caparbia ostinazione nel far tornare i conti mediante lo sfruttamento selvaggio, cui faceva almeno da argine fino a tempo fa la forza dell’organizzazione sindacale, che però, per precise responsabilità politiche di quella che fu la sinistra, vive oramai da più di trent’anni una stagione non certo gloriosa.
Un’altra cosa che gli ingenui fans del capitalismo puro e duro non capiranno mai è che questo nostro capitalismo deteriore non è certo destinato a risanarsi o a migliorare bagnandosi nelle acque limacciose della globalizzazione. Al contrario. L’esaltazione del potere della finanza (anche e soprattutto di quella mafiosa), la soppressione dello Stato sociale e dei servizi sociali, la svendita dei beni pubblici, l’immiserimento dei ceti subalterni sono tutti fenomeni che determinano inevitabilmente l’incancrenimento delle peggiori caratteristiche del capitalismo all’italiana dei magliari semianalfabeti.
La grande intuizione del governo Letta e di Giorgio Napolitano è stata del resto quella di prendere atto di questa situazione, adattandovi, in ottemperanza anche qui a precise richieste della finanza internazionale, il quadro istituzionale. Rafforzare l’esecutivo, depotenziare magistratura e diritti, anzitutto quelli sociali, farla finita con le irraggiungibili chimere dell’eguaglianza e ridurre definitivamente sessanta milioni di persone da cittadini ad individui senza poteri. Cancellare definitivamente il popolo italiano per salvare il “nostro” capitalismo da straccioni. Ecco il sogno di Letta e l’obiettivo reale dell’operazione di snaturamento della Costituzione che è in corso.
Non so se  i partiti che sostengono Letta e il suo disegno di affossamento della Costituzione repubblicana ce la faranno. Sicuramente bisogna fare di tutto per contrastarlo ad esempio firmando l’appello lanciato dal Fatto.
Quello che certo però è che questo capitalismo all’italiana non è riformabile. Non si deve quindi permettere che contagi con la sua nullità gli ordinamenti giuridici dignitosi per i quali i nostri nonni e i nostri padri hanno combattuto, dando a volte la vita. Nei momenti del bisogno, talvolta, il popolo italiano ha dato contezza di sé sorprendendo gli osservatori più imparziali. Occorre augurarsi che un momento del genere si avvicini.

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