Ha ragione Mario Tronti: avevamo detto, ormai alcuni decenni fa, «Siate realisti, chiedete l'impossibile; l'impossibile è diventato reale. E l'immaginazione al potere ce la siamo ritrovata nei festini di casa Berlusconi». Condivido l'amaro sarcasmo di Tronti. Un sarcasmo che è anche autocritica per avere troppo spesso sottovalutato che la Seconda Repubblica era la protesi sistemica del liberismo; per avere abbandonato il terreno della cultura politica che ci avrebbe aiutato a capire per tempo che mediatizzazione e populismo presidenzialista spossessavano dei poteri decisionali la cittadinanza; per avere sottovalutato che la difesa della Costituzione sta nella democrazia organizzata e conflittuale come paradigma formativo della formazione sociale e che ogni personalizzazione (anche quando sembra rigogliosamente fiorire a sinistra) è la catastrofe dell'alternativa politica.
La Seconda Repubblica è nata sull'antipolitica (che è cosa ben diversa dalla sacrosanta critica del potere e dei partiti corrotti); ha distrutto partiti, sindacati, senza riformarmarli né rivoluzionarli; ha portato alla degenerazione di gran parte del senso comune, ha corrotto costumi individuali e di massa.
Paolo Flores D'Arcais, direttore di Micromega, scriveva ieri: «Continuare a discutere se Berlusconi possa ancora governare è privo di senso. L'Italia è, grazie alla disinformazione mediatica e alla mancanza di una vera opposizione, completamente immersa nella sindrome»; e propone una nuova «sala della Pallacorda», come il famoso Terzo Stato nel 1789.
Dal sarcasmo si passa, dunque, alla preoccupazione, all'angoscia. Decenni di antipolitica ci restituiscono un Paese incapace di uno scatto democratico, di un sommovimento profondo delle coscienze. Esso sembra sfibrato sul piano della coscienza democratica e della difesa dei diritti. Sessismo patriarcale che mercifica il corpo, con la politica che entra nel corpo delle donne; razzismo di Stato; ferocia repressiva e carceraria; tutto viene metabolizzato dentro lo spettacolo abominevole del presidenzialismo libertino e porcone.
Sarei preoccupato se in questi giorni non prendesse corpo, contro questo potere dominante repressivo e immorale (che non è una patologia, ma una fisiologia sovversiva) un processo di rigenerazione che abbia come punto di riferimento la Costituzione, la difesa dello stato sociale e dell'autonomia dei poteri costituzionali. E' impressionante che, di fronte allo "scandalo" (nella versione evangelica), non ci siano sussulti nella maggioranza; ricordo a noi stessi che, dopo il delitto Matteotti, lo stesso Mussolini dovette subire nelle sue fila sbandamenti individuali e collettivi. Quando Berlusconi, ieri, nel solito videomessaggio, ripetendo grottescamente la storia della nipote di Mubarak, ha gridato, con occhi feroci, «Bisogna punire quei giudici», ha dato il segno del passaggio definitivo dalla democrazia alla satrapia; ha pronunciato parole indicibili degne di un despotismo autoritario.
Ora siamo ad un bivio: o Berlusconi verrà spazzato via o sarà lui a spazzare via il simulacro di Parlamento che ci resta, il controllo giurisdizionale, insediandosi nel futuro al Quirinale. «Punire quei giudici»: Berlusconi come in un incubo ossessivo ha in mente l'ultima scena de Il Caimano (film profetico), in cui la plebe rancorosa e festante osanna il Caimano e dà fuoco al palazzo di Giustizia che aveva osato condannarlo.
Ma mi chiedo: hanno compreso le sinistre che siamo di fronte ad un bivio drammatico? Che non è il tempo di arrovellarsi attorno a governi di unità nazionale o di giochini tattici correntizi, ma di guidare uniti una sollevazione popolare e di andare alle elezioni? Possiamo prendere esempio dalla dignità e dalla cultura del popolo tunisino che ha organizzato i comitati popolari pretendendo «Se ne vada Ben Ali, se ne vadano tutti i predoni?».
Ieri Paolo Ferrero ha proposto a tutte le forze di opposizione una manifestazione nazionale contro il regime, una mobilitazione permanente: è possibile evitare che la conflittualità sociale, non trovando sbocchi né rappresentanza, venga neutralizzata dall'orgia del potere ed indirizzata verso processi di alienazione politica? Siamo giunti al punto massimo, io credo, della sfida; come a Pomigliano, come a Mirafiori; se riusciremo a costruire un processo di assunzione di responsabilità civile e democratica potrà anche improvvisamente cambiare il terreno. Non viviamo, infatti, fasi di gradualismo, di lente accumulazioni di forze; siamo nel terremoto. L'abbattimento dei diritti, in fabbrica, come nella scuola, come nell'autonomia dei poteri costituzionali, ha la stessa matrice: la società autoritaria pretende una organizzazione del lavoro autoritaria. I diritti costituzionali non vengono devastati per la cattiveria di Berlusconi e per il cinismo di Marchionne, ma perché essi rappresentano il capitalismo autoritario in crisi che ha bisogno, per sopravvivere, di distruggere tutte le soggettività organizzate e tutte le autonomie.
La speranza della rinascita democratica non è, allora, altra cosa rispetto al conflitto sociale; viene da lì, dalla splendida e intelligente difesa della dignità delle lavoratrici e dei lavoratori, degli studenti, dei ricercatori, dei precari, degli occupanti di case. Questa volta, sul serio, nessuno si salverà da solo.
Giovanni Russo Spena, Liberazione
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