Provate voi a farlo un Partito così. Quando in quel lontano 1921 viene fondato, sembra più una scommessa di orgoglio e passione, una scissione che si basa su 58 mila voti o poco più. E subito dopo, con il fascismo al governo, deve inabissarsi nella clandestinità; e successivamente impegnarsi con tutte le sue forze - furono i comunisti i primi e i più generosi - nella cruenta lotta di resistenza contro il nazifascismo.
I suoi primi 25 anni, il Pci infatti li passa così, con le armi in pugno, se non in galera, o al confino o transfugo all'estero. Ma 25 anni dopo - 1921-1971 - i numeri del suo altisonante Cinquantennio sono già belli grandi: è diventato il secondo partito politico italiano e il più importante partito comunista dell'Occidente, alla faccia della guerra fredda, del maccartismo e della Chiesa scomunicante. Alle elezioni politiche del 1968 si porta a casa 8 milioni e mezzo di voti, il doppio che nel 1946; e quattro anni dopo, 1972, supera i 9 milioni. Già arrivano le "regioni rosse", Emilia Romagna, Toscana, Umbria, il Pci al 40 e anche al 50 per cento (e la Lombardia che da sola fa un milione di voti).
Provate voi. "Comunisti immaginari" è un libro a suo modo nostalgico (e pieno di ammirazione anche se fa finta di no) che Francesco Cundari ha scritto nel 2009, con prefazione di Giuseppe Vacca, e a pagina 106 si legge quanto segue. «La risoluzione del VII congresso per esempio recitava: "Gli iscritti al partito, compresi i giovani, sono aumentati da 2 milioni 252 mila 446 a 2 milioni 585 mila 765, i collettori da 63mila 637 a 100mila 516, le cellule di fabbrica da 8mila747 a 11mila 272, le cellule femminili da 9 mila 278 a 12 mila 226"». Nel frattempo, proseguiva il meticoloso resoconto, «circa 60 mila dirigenti di vario grado sono passati da scuole o corsi di partito dal 1945 in poi» (diventeranno 300 mila nei prossimi tre anni, per esempio).
VII congresso, è il 1951. Un anno prima, esattamente il 2 aprile 1950 e nello stesso teatro Goldoni di Livorno dove il Pci nasce, è stata ricostituita la Federazione giovanile comunista italiana, la Fgci, primo segretario Enrico Berlinguer: arriva subito a toccare i 488 mila iscritti, con almeno tre giornali all'attivo e un'infinità di iniziative che battono il territorio in lungo e in largo, «solo nel primo anno sorgono 112 filodrammatiche, 54 balletti, 44 cori, 4 orchestrine, 12 complessi ginnici, un circolo di damisti, 3 di arte varia, squadre sportive a centinaia».No no, non è la "Fgci dei biliardini", come qualche dispregiatore ha voluto chiamarla. Una delle sue specialità è, per esempio, la infaticabile battaglia per la pace, contro le armi nucleari: è sua, ad esempio, proprio della Fgci, l'invenzione della bandiera arcobaleno, quella che sventola ancora oggi, ormai simbolo internazionale.
Già, la pace. A proposito, vi ricordate i Partigiani della Pace, il movimento nato a Parigi nel 1949, in piena guerra fredda, contro il riarmo, contro la Nato e il Patto Atlantico? In Italia si mobilitarono le questure e i celerini, si promulgò il divieto di firma. Ma il Pci riuscì a mettere in piedi una tale mobilitazione che in soli due mesi le firme proibite furono 6 milioni e 300 mila.
Dite che i numeri non sono tutto? Allora beccatevi pure questi. Li ricorda Diego Novelli, in un evocativo libro - "Com'era bello il mio Pci", (Melampo) - scritto a babbo morto, nel 2006, cioè quando quel suo bel picì è ormai sparito (ucciso a freddo) da alcuni anni. «La diffusione militante dell'Unità, il grande rito domenicale del Pci, fu importato dalla Francia, dall'esperienza del quotidiano comunista l'Umanité. Alla diffusione militante dell'Unità partecipavano tutti, dagli operai agli intellettuali. La domenica mattina era la nostra Messa ( a proposito, andavamo anche davanti alle chiese, con rispetto e senza ostentare). Si andava a coppie e c'era un forte spirito di emulazione. Mi è successo di andare in giro con Italo Calvino, con medici, professori, avvocati, deputati. Negli anni Cinquanta e Sessanta si arrivò a diffondere un milione di copie ogni domenica».
I numeri non saranno tutto ma non guastano. Il quotidiano del Pci arrivò ad e essere il terzo giornale italiano, una formidabile "bocca di fuoco" che teneva validamente testa ai colossi borghesi, Stampa e Corriere della Sera, e lasciava molto indietro il Popolo della potente Dc. Organizzazione organizzazione, le copie mica cadevano dal cielo, anzi. E così, tra le tante altre cosette, il Pci mette su anche una specifica associazione chiamata "Amici dell'Unità": pochissimi e malissimo pagati funzionari e moltissimi volontari, i quali mandarono avanti per anni e anni una macchina di sostegno al giornale, che spaziava dalla diffusione ad una gamma di iniziative collaterali - gite, convegni, mostre, incontri - che funzionavano da collante e formazione politica sul territorio. Gli Amici dell'Unità li trovavi in ogni città, c'era anche l'apposita "tessera d'onore". Macché Soru e Angelucci (e le sparute copie vendute dell'Unità di oggi), i manifesti agit-prop dei begli anni recitavano "Sottoscrivete un miliardo per la stampa comunista". E il fantastico era che il miliardo veniva sottoscritto per davvero.
Tanto per continuare sul tema, non si possono certo passare sotto silenzio le feste dell'Unità, le mitiche Feste, componente fissa del panorama italiano del dopoguerra, dalle città sino ai più piccoli paesi. Prima Festa nel settembre 1945 a Mariano Comense; l'anno dopo si replica a Modena e Tradate, le presenze sono 500mila; nel 1947 la "moda" è già in voga su scala nazionale, se ne contano 900 in un solo anno.Ancora qualche numero (scusate). «Al di là delle impressionanti cifre, dei milioni e dei miliardi raccolti, delle migliaia e poi milioni di visitatori, delle centinaia e poi migliaia di metri quadri, delle decine e poi migliaia di stand, sin dai primi anni la festa è svago, divertimento, politica, autofinanziamento, cultura, sport, militanza, cucina, musica e tante altre cose ancora» (Edoardo Novelli, C'era una volta il Pci). Le Feste tenute in piedi e fatte vivere alla grande da migliaia e migliaia di militanti, il leggendario popolo dei "volontari delle Feste", appunto (che poi D'Alema ebbe a etichettare come "quelli delle salsicce", e mal gliene incolse...).
Elezioni del 1963? Il Pci aumenta di un milione secco e si attesta oltre il 25%; elezioni del 1968? Il Pci è al 27%; elezioni del 1976? Il Pci è al 33,4%.E nel 1975 la grande avanzata nelle elezioni amministrative pone il Pci alla guida di molte regioni e città, fra cui Roma, Torino, Napoli (nasce qui l'epopea delle giunte rosse, amarcord?).Una sezione per ogni campanile (oltre 8mila), 2milioni di iscritti e un vasto apparato di funzionari - un tempo anche detti "rivoluzionari di professione"... - tutti pagati con il corrispettivo (e anche meno) del salario di un metalmeccanico (circa un milione al mese). «Nel mio Pci si stava attentissimi alle spese - scrive sempre Diego Novelli - Quando sono stato eletto deputato, alla prima riunione del gruppo dovemmo tutti firmare una carta che delegava il segretario amministrativo a riscuotere la metà degli emolumenti che prendevamo. Non avevamo neanche il fastidio di versarli, venivano trattenuti alla fonte».Ma la grande forza, la grande anima del Pci sono loro, i militanti, i compagni, gli uomini e le donne, i giovani e gli anziani che lavorano "per il Partito" con incredibile abnegazione e spirito di sacrificio a titolo assolutamente gratuito: solo per fede, per ideale, per senso del progresso umano, per quello che si chiamava il riscatto di classe. Per quella Bandiera rossa. Per "il Partito", che era arma politica ma anche etica, visione del mondo, antropologia, morale. Avanti popolo, ci credevano in milioni e milioni...
Dicono che avevamo dei difetti, che eravamo conformisti, illiberali, stalinisti, trinariciuti...
Dicono che, dopo l'incredibile '89, il Pci non serviva più, che doveva essere dismesso e butttato al macero.
E così fecero.
Scemi.
di Maria R. Calderoni, Liberazione
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