“Mirafiori è uno spartiacque. Ci sarà un prima e un dopo. Le relazioni sindacali in questo Paese sono destinate inevitabilmente a cambiare”.
Parte da questo convincimento Vasco Cajarelli, segretario regionale della Cgil dell’Umbria ed esponente dell’area programmatica “La Cgil che vogliamo”, la minoranza del sindacato più schierata al fianco delle tutte blu nelle battaglie degli ultimi anni, che si sta preparando allo sciopero generale indetto dalla Fiom per il 28 gennaio e che torna alla carica anche sulla mancanza di una politica industriale regionale. E’ una minoranza che vuol far sentire la sua voce e soprattutto scuotere i compagni della maggioranza che rigettano il metodo Marchionne, ma sono lontani dalla Fiom.
Segretario, perché considera l’accordo di Mirafiori uno spartiacque?
Perché è il tentativo di strumentalizzare la crisi per ridurre i diritti di chi lavora e ridisegnare i rapporti di forza nella società italiana. E questo nonostante già oggi la crisi la stiano pagando soprattutto i lavoratori dipendenti, i pensionati e i giovani, come dimostrano i movimenti studenteschi che vanno ben oltre le questioni meramente legate alla terribile riforma Gelmini.
Quali sono i diritti che lei vede a rischio?
Intanto è la condizione generale dei lavoratori che peggiora nettamente, perché vengono attaccati diritti costituzionali, come quello di sciopero e diritti di rappresentanza, facendo un salto indietro di trent’anni almeno. Tutti devono sapere che con l’accordo di Mirafiori si escludono i sindacati che dissentono. Questa, indipendentemente dal merito dell’accordo, è la negazione della democrazia. Ma Marchionne sostiene che per stare al passo con i tempi e con le regole del mercato, Fiat si deve liberare dei condizionamenti che le vecchie regole del contratto nazionale le impongono. La ricetta di ridurre diritti e salari per aumentare la competitività è già stata abbondantemente praticata in questo Paese e non ha portato alcun risultato, anzi, ha fatto sì che le imprese, negli ultimi 20 anni, abbiano tirato i remi in barca sul vero terreno della competizione, ovvero l’innovazione di prodotto e di processo, la tecnologia, la ricerca. La Fiat è l’esempio lampante di questo: se produci macchine come la Duna o la Palio c’è poco da aumentare la produttività, perderai sempre. Ma anche l’Umbria, dove abbiamo i salari ben sotto la media nazionale, dimostra che il gioco non funziona, perché qui la crisi è ancora più pesante.
In questo momento però è innegabile che la Fiom appare isolata su queste posizioni, in parte anche dentro alla Cgil.
Intanto, un sindacato è isolato quando non è rappresentantivo dei lavoratori. Mentre la Fiom in 250 elezioni di Rsu in medie e grandi imprese del Paese nel 2010 ha aumentato fortemente la propria rappresentanza. E’ un sindacato in ascesa. Poi, la grande manifestazione del 16 ottobre ha dimostrato che anche nella società civile e non solo nelle fabbriche, le posizioni della Fiom sono largamente condivise. E persino nel frastagliato universo della Sinistra la nascita di un’associazione come “Lavoro e Libertà”, testimonia l’esistenza di una sponda politica e culturale alle ragioni sindacali della Fiom.
E dentro la Cgil?
La dico così: la Cgil deve capire che non esiste una terza via, o si sta con la Fiat o si sta con i lavoratori e con la Fiom. In questo momento c’è invece ambiguità, per una ricerca disperata di una terza posizione che possa favorire la mediazione. Ma di fatto con Fiat non si è mai aperta una trattativa, perché il modello è “prendere o lasciare”, come Marchionne ripete quotidianamente. E in Umbria che ripercussioni può avere questa vicenda?
Intanto nella nostra regione ci sono moltissime imprese che lavorano per Fiat. In Italia sono 1,5 milioni i lavoratori coinvolti in maniera diretta o indiretta nell’indotto Fiat. In Umbria saranno oltre 2000. E molte imprese locali, già dopo Pomigliano, hanno chiesto di seguire quella strada. La falla è aperta e pensare che non ci riguardi è folle. Al contrario, se la linea Marchionne passerà anche a Mirafiori, fare sindacato come fa la Cgil, in modo diverso dal modello aziendale all’americana, non sarà più possibile.
Restando in Umbria, quale è il giudizio della minoranza Cgil sull’apertura della nuova stagione di concertazione chiamata “Allenza per l’Umbria”
La drammaticità crescente della crisi in atto impone un salto di qualità vero. A partire dal Piano per il Lavoro, difendendo in primo luogo l’occupazione che esiste, nel privato come nella pubblica amministrazione, nei servizi e nei trasporti, sia come quantità che come qualità. Per questo è assolutamente necessario un tavolo permanente che affronti le crisi azienda per azienda, perché non possiamo perdere pezzi fondamentali del nostro apparato produttivo, come è accaduto ad esempio con le Grafiche Benucci, la Tibergraf, il Magazzino Limoni, etc. Invece, gli strumenti e la capacità di intervento dimostrati fino ad oggi in queste situazioni si sono rivelati assolutamente insufficienti. Per di più sentiamo troppo spesso, anche le istituzioni locali, parlare di riduzione di personale, di razionalizzazioni e semplificazioni che rischiano di tradursi semplicemente in perdita di posti di lavoro. E’ evidente che serve una politica industriale vera in questa regione, cosa che manca da anni. Quali sono le scelte per il tessuto produttivo? Come si spendono i soldi pubblici (che sono sempre meno)? Quali i campi di intervento e le priorità? Questi i nodi da sciogliere all’interno di una strategia di resistenza, ma anche di programmazione economica.
Per concludere, quale è il suo auspicio per l’anno che si è appena aperto?
Vale per il sindacato, per le istituzioni e per le forze politiche: bisogna mettersi davvero nei panni di chi questa crisi la vive in prima persona, probabilmente una minoranza della società, il cui destino però sarà determinante nella costruzione del modello sociale di domani. Per questo non bastano più i riti e le belle parole di circostanza. Bisogna una volta per tutte decidere da che parte stare e agire di conseguenza.
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