Novanta anni fa nasceva a Livorno il Partito Comunista Italiano, una forza politica che nel corso del ‘900 ha avuto una influenza rilevante per la costruzione della democrazia nel nostro Paese, per la sua modernizzazione, per l’integrazione nella storia e nello sviluppo nazionale di una parte importante della società italiana, la classe operaia e contadina.
Il Pci, infatti, ha svolto un ruolo fondamentale nell’organizzazione dell’opposizione al fascismo e, dopo la svolta di Salerno del 1943, è stata la forza politica che ha avuto una parte centrale nella lotta partigiana, pagando un tributo altissimo di caduti per la libertà, nella ricostruzione del sindacato e delle istituzioni dopo la Liberazione, nella costruzione della democrazia nell’immediato dopoguerra.
Il Pci nel trentennio successivo alla Liberazione è riuscito a organizzare stabilmente una parte della società italiana, i ceti sociali subalterni, cioè il movimento contadino e la classe operaia, e nello stesso tempo si è radicato profondamente nella società, giocando un ruolo nazionale, propulsivo e di trasformazione, che ha accompagnato una profonda e importante stagione di riforme.
Pur essendo all’opposizione il Pci ha svolto una funzione dirigente nella società, contribuendo in maniera decisiva alla modernizzazione del Paese. Un processo storico di grande portata, che ha conosciuto una battuta d’arresto alla fine degli anni settanta nel torbido periodo della strategia della tensione, che si è nutrito di una grande capacità di proporre le riforme strutturali del Paese mettendo a frutto i risultati della buona amministrazione dei governi locali in cui partecipava il Pci, fino alla grande affermazione elettorale del 1975.
Di quella stagione, il Pci dell’Umbria, il suo gruppo dirigente e il corpo militante, sono stati grandi protagonisti. La stagione del regionalismo ha cambiato profondamente il volto dell’Umbria, producendo innovazione, benessere, uno sviluppo equo e sostenibile, elementi di cui beneficiamo ancora oggi con il modello sociale solidale che caratterizza i nostri territori, immune ancora dal darwinismo liberista e dal federalismo egoista e xenofobo del nord leghista e berlusconiano.
Il Pci di Berlinguer, quello che ha raggiunto le più forti affermazioni elettorali, è stato anche quello che più ha innovato, sia nella teoria che nella pratica. Il Pci di Berlinguer, solo per fare alcuni esempi, ha rotto definitivamente con l’ortodossia della guida sovietica nella costruzione del socialismo e ha aperto la strada ad un europeismo di sinistra in cui i comunisti, insieme ai socialisti, ai socialdemocratici e alle forze progressiste avrebbero costruito l’alternativa democratica come passaggio fondamentale per l’introduzione di elementi di socialismo nel modello sociale europeo. Una strada che il Pci tentò anche in Italia, ma che dovette scontrarsi con la reazione delle forze conservatrici, con le trame oscure delle destre e della Dc più reazionaria e che fu chiusa dal “compromesso storico” e dal fallimento di quella strategia.
Ma quell’idea profonda di trasformazione democratica e di alternativa, di cui i comunisti erano motore centrale, ma non unici soggetti attivi, perché necessariamente – con un’idea lontanissima dall’autosufficienza o dalla vocazione maggioritaria di troppi esponenti politici odierni del centrosinistra – andava ricercato il concorso delle forze democratiche, socialiste e progressiste. Gli insegnamenti e le proposte di quella stagione del Pci, che ha prodotto una grande generazione dirigente capace di egemonia profonda nella società, nell’arte, nell’editoria, nella cultura, nella letteratura e nelle scienze, sono di straordinaria attualità.
Per questo, ricordare oggi il novantesimo anniversario della nascita del Pci non ha il sapore del reducismo e neppure vuole avanzare l’idea velleitaria di rifare il partito comunista italiano; piuttosto vogliamo ricordare l’importanza del Pci nella storia italiana del ‘900 con lo spirito di Bernardo di Chartres, sentendoci “nani sulle spalle dei giganti”. Con questo animo, oggi, quando il degrado del Paese sembra aver raggiunto l’apice – come il fascismo nelle “120 giornate di Sodoma” di Pasolini – quando il mondo del lavoro, i suoi diritti e le sue conquiste, sono pesantemente sotto attacco da parte delle destre e degli industriali, quando lo stesso impianto costituzionale vacilla sotto i colpi della generalizzazione del “modello Marchionne” all’intera società, crediamo che i comunisti debbano lottare di nuovo con tutte le forse per ridare dignità al lavoro e alle classi subalterne e che lo debbano fare dentro una sinistra più grande, plurale, unitaria, rispettosa delle differenze tra le diverse pratiche, culture e tradizioni delle forze democratiche e progressiste, ma capace di parlare un solo linguaggio di progresso e di innovazione, basato su un modello di sviluppo solidale, sostenibile con l’ambiente, a difesa dei beni comuni, della pace e del lavoro e fortemente alternativo al liberismo. Questa è la sfida di oggi per i comunisti, questa è l’attualità della proposta politica della migliore stagione politica del Partito Comunista Italiano.
Stefano Vinti,
Segretario regionale Prc Umbria
Stefano Vinti,
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