La splendida manifestazione di Bologna ha già annunciato che quella di oggi sarà una grande giornata. In tutte le regioni d’Italia scenderanno in sciopero e in piazza i metalmeccanici e con essi lavoratrici e lavoratori di tutte le altre categorie, studenti, centri sociali, cittadini e cittadine che vogliono difendere la democrazia.
E’ lo sciopero dei metalmeccanici, ma è anche una giornata di lotta che parla a tutto il mondo del lavoro. Che ha già cominciato a rispondere. Voglio qui ricordare, e so di far torto ai tanti che trascuro, le Rsu della Margheritelli di Perugia, contratto del legno, quelle della Boglioli di Brescia, tessili, quelle delle università di Torino, i lavoratori del commercio, dei trasporti privati di Trento, e tante e tanti altri, lavoratrici e lavoratori che domani daranno i primi segnali di uno sciopero generale che coinvolga tutte le categorie. Lo stesso faranno le lavoratrici e i lavoratori che sciopereranno con i Cobas, l’Usb, la Cub, il sindacalismo di base, che hanno scelto con intelligenza di far propria la giornata di lotta della Fiom senza primogeniture di date o di sigle.
Questo grande movimento di lotta ha un preciso punto di avvio. Quando nel giugno dell’anno scorso, a Pomigliano, la Fiom prima e poi oltre il 40% degli operai dissero “no” al primo dei tanti ricatti messi in piedi da Marchionne, forse non era ancora chiara la portata costituente di quel rifiuto. Eppure così è stato. Da allora le relazioni sociali, i conflitti, le istituzioni e la democrazia, si sono sempre più ridefinite sul modello proposto da Marchionne e sull’opposizione ad esso.
Sin dall’inizio era chiaro che quello dell’amministratore delegato della Fiat non era semplicemente un modello produttivo particolarmente feroce e ingiusto, ma un progetto reazionario per tutta la società italiana. Il primo sostegno entusiasta alla Fiat è venuto dalla ministra dell’istruzione. Mariastella Gelmini subito dichiarò che le sue riforme scolastiche si ispiravano al modello di Marchionne. E’ proprio così. L’amministratore delegato della Fiat ha messo in moto la sua macchina distruttrice dei diritti e della democrazia sulla strada asfaltata da anni di governi di Berlusconi e di cedimenti della sinistra moderata al liberismo estremo.
Con la crisi, invece che provare a cambiare qualcosa nel modello liberista che l’ha prodotta, le classi dirigenti, i ricchi, la casta dei manager e la grande borghesia hanno scelto una linea di pura regressione sociale. Fabbrica per fabbrica, territorio per territorio, scuola per scuola ci si propone la cura della Grecia: pagare tutto noi perché loro possano conservare tutto. Così Marchionne ha interpretato lo spirito generale della casta dei padroni e lo ha trasformato in ideologia combattente. Gli operai sono ricomparsi sulla scena dell’informazione per subire l’accusa di essere i veri artefici della crisi. Con il loro contratto nazionale, il loro assenteismo, i loro scioperi e la mancanza di voglia di lavorare.
Questa offensiva reazionaria ha conquistato gran parte della stampa e dell’informazione e la maggioranza dell’opposizione a Berlusconi. Il quale, nonostante il precipitare della sua crisi personale, si è visto così confermare la sua politica e la sua ideologia. Marchionne ha preso il posto di Berlusconi, è diventato la nuova bandiera del liberismo e dell’attacco ai diritti. La Lega Nord, che per anni ha chiesto i voti agli operai contro Roma ladrona e contro le grandi imprese multinazionali e la Fiat, è diventata il cane da guardia di Marchionne.
Di fronte alla forza e all’arroganza di questa offensiva si poteva temere un crollo della nostra democrazia e invece il no della Fiom di Pomigliano è diventato costituente di una sempre più grande opposizione sociale, culturale, morale. La notte in cui si sono scrutinate le schede di Mirafiori mezza Italia è rimasta sveglia, per seguire quel voto con più passione che se fossero state elezioni politiche generali ed in fondo era così. Con quel referendum ricatto, si imponeva ai lavoratori la rinuncia a tutto, ma si dava anche spazio a tutti coloro che volevano tirare su la testa. E così gli operai di Mirafiori in 2300 hanno detto no per conto di milioni di persone che non ne possono più e vogliono lottare.
Gli operai di Mirafiori hanno detto no per conto e assieme a tutte le lavoratrici e i lavoratori che vogliono difendere le loro libertà, il contratto nazionale, lo stato sociale.
Hanno detto no assieme agli studenti, che peraltro hanno subito sentito la vicinanza della loro lotta a quella dei metalmeccanici.
Hanno detto no assieme a milioni di lavoratrici e lavoratori precari che hanno capito l’imbroglio di chi, anche a sinistra, spiegava che i loro guai venivano dai privilegi degli operai.
Hanno detto no assieme ai migranti che lottano contro l’apartheid e le persecuzioni della legge Bossi-Fini.
Hanno detto no assieme a tutti quei movimenti che sull’ambiente, sui beni comuni, sulla democrazia e i diritti, lottano contro l’arroganza del potere e le privatizzazioni.
Il no della Fiom è diventato uno spartiacque sociale e politico: chi sta con Marchionne sta di là, chi sta contro Marchionne sta di qua. Così si è messo in moto un processo unitario di massa, che certo esclude i dirigenti complici di Cisl e Uil, quei sindaci e politici della sinistra che hanno perso l’anima schierandosi con Marchionne, quel mondo dell’informazione che sbatte i tacchi appena arrivano le veline dell’amministratore delegato della Fiat.
Ora si tratta di andare avanti. Bisogna chiedere con forza e ottenere dalla Cgil lo sciopero generale. Bisogna costruire un movimento in grado di durare e sconfiggere il modello sociale di Marchionne. Bisogna ricostruire una politica democratica che porti a un altro modello di sviluppo e che affermi finalmente eguaglianza e giustizia sociale. Per questo chi è in piazza oggi ha bisogno anche di ricostruire gli strumenti e i canali della propria rappresentanza. C’è un palazzo che ha ceduto armi e bagagli alla prepotenza delle multinazionali e del regime dei padroni, ma c’è un’opposizione sociale che cresce e produce impegno e cultura. Lo sciopero di oggi è dunque costituente di un grande movimento unitario e di nuove identità politiche. In pochi mesi si è rimessa in moto l’Italia, adesso bisogna andare avanti.
Giorgio Cremaschi, FIOM
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