"Il
governo se ne andrà e per questo stasera brindiamo", esordisce Paolo
Ferrero, segretario nazionale di Rifondazione comunista mentre i tg di
prima serata danno conto di quanto avvenuto al Colle - l'ostinazione di
Berlusconi ha demolito la credibilità non solo del governo ma più
complessivamente della politica, della stessa democrazia. Sembra di
assistere ad una Weimar al rallentatore, c'è una crisi palese del
regime, della seconda repubblica.
C'è anche un recentissimo sondaggio che conforta questa
osservazione: due terzi degli intervistati ritiene che, per uscire dalla
crisi economica la prima misura sia abbattere i costi della politica,
solo un terzo crede che sia più utile una patrimoniale.
L'antipolitica - intesa come sfiducia radicale nella politica - ha
ormai una dimensione di massa. In realtà noi abbiamo dinnanzi due
ipotesi, che si alimentano a vicenda, di uscita a destra dalla crisi del
governo e della democrazia. Da un lato il governo tecnico che sarebbe
un governo tecnocratico, cioè il governo della Bce e non del popolo
italiano. Pensa alla Grecia che non ha nemmeno potuto decidere di fare
un referendum sulle sue politiche. Dall'altra l'ipotesi populista che
ancora non ha dato il peggio di sè. Pensa se Berlusconi potesse uscire
da questa situazione gridando al ribaltone. E pensa alla Lega che,
finora, è rimasta imbrigliata nel governo e ha dovuto stare al gioco. Se
l'esito dovesse essere il governo tecnico la Lega già ha detto che ne
resterà fuori, possiamo immaginarci che tipo di campagna di nazionalismo
secessionista e razzista potrebbe fare. Esiste il rischio di un'uscita
ancora più a destra dalla crisi.
E' addirittura un passo indietro rispetto al quadro angusto dato dal bipolarismo?
Infatti, la dialettica rischia di essere tra tecnocrati e populismo
di destra. Per questo siamo contrarissimi ad un governo tecnico e
proponiamo la via maestra delle elezioni. Di fronte ad una crisi
politica occorre ridare la parola al popolo.
L'obiezione più gettonata è che questo sistema elettorale è improponibile.
Nessuna controindicazione, compreso il voto con il Porcellum è
maggiore della controindicazione della ricostruzione di un governo di
destra o del governo tecnocratico guidato da Monti o similari con il
corollario di una opposizione razzista allo stesso. Occorre andare a
votare il prima possibile per uscire dalla palude.
Viene molto utilizzata la suggestione della transizione di
vent'anni fa tra prima e seconda repubblica. Si fa perfino il nome di
Amato.
Beh, quella transizione è stata un disastro di cui ancora paghiamo le
conseguenze e a cui Rifondazione comunista si è opposta con tutte le
sue forze. Oggi sarebbe anche peggio perchè la crisi macina molto di più
e perchè la crisi delle istituzioni è assai maggiore.
E come affrontare le urne in queste condizioni?
Noi proponiamo un fronte democratico per battere le destre che veda
l'alleanza della sinistra con il centrosinistra, senza i centristi. Pur
non vedendo le condizioni per governare insieme al Pd, siamo interessati
alla maggiore discontinuità possibile sia sul piano democratico che
sociale. Nella realtà e nella percezione della nostra gente c'è la
necessità di cacciare Berlusconi. Visto che il sistema elettorale è
maggioritario noi dobbiamo stare in sintonia con questa necessità e
questo sentimento e contribuire alla cacciata di Berlusconi.
Parallelamente poniamo al centrosinistra il tema della democrazia e
della partecipazione: per questo proponiamo le primarie di programma,
per far decidere al popolo dell'opposizione non solo chi dovrà governare
ma per fare cosa. Al rischio di uscita a destra dalla crisi - nelle sue
varianti tecnocratiche e populiste - noi dobbiamo proporre una uscita
da sinistra. Nel popolo del centrosinistra non la pensano tutti come
Renzi: dobbiamo costruire una sponda politica per quei contenuti e
attivare delle forme di partecipazione diffusa.
Ma così come si declina un'altra necessità, quella dell'autonomia politica della sinistra dal quadro dato?
Allargando la sfera della democrazia. Ho detto delle primarie di
programma. Dobbiamo costruire un referendum sui vincoli europei, anche
in forma autogestita. Così come stiamo predisponendo con altre forze una
campagna referendaria su cui raccogliere le firme a partire da gennaio.
Esiste già un fronte ampio contro l'articolo 8. Stiamo discutendo anche
sulla legge 30 e su quesiti che consentano di ripristinare il
proporzionale. Se raccogliamo le firme a gennaio si voterebbe qui
referendum un anno dopo le elezioni e questo sarebbe un modo assai
efficace per intervenire dentro la politica da parte della società.
Quindi con le elezioni determinare il quadro politico migliore possibile e poi nella società cambiare i rapporti di forza?
E' chiaro che cacciare Berlusconi non risolverà il problema
dell'alternativa, dunque le primarie, i referendum, l'azione dei
movimenti determinerebbero la possibilità di interagire col quadro
politico con una forza esterna. La dialettica parlamentare non può
esaurire la ricerca della costruzione dell'alternativa, perciò dobbiamo
costruire la forza nella società. Ma c'è anche una ragione di fondo
nella ricerca di forme di democrazia diretta: dentro questa crisi
economica c'è la crisi della democrazia rappresentativa. Nel
neoliberismo, attraverso le politiche fatte dagli stati c'è stato un
passaggio di poteri dagli stati alla finanza, dai parlamenti ai governi e
da questi al direttorio Bce/Germania.
Anche da questo si percepisce come gli spazi per la politica siano strettissimi.
La politica, applicando politiche neoliberiste, ha scelto di non
contare lasciando fare ai potentati economici. Da un lato c'è una crisi
fortissima di legittimità, dall'altro, però, c'è una fortissima domanda
di democrazia spesso deviata dai mass media in termini "anti-casta". Noi
invece dobbiamo saper riconoscere la domanda sociale come domanda di
potere: in Molise, alle recenti regionali ha votato meno gente che ai
referendum di giugno che hanno incarnato questa domanda sociale di
partecipazione. Della stessa cosa ci parlano le esperienze della Val di
Susa, della Fiom, del 15 ottobre che, al di là di tutto è stata in
Italia la più grande piazza di quel giorno. Ma tutto ciò non ha uno
sbocco politico. Che siano su Vendola, o sulla variante più di destra
Renzi, le primarie sono una sussunzione di quella voglia di
partecipazione dentro un meccanismo di iperdelega al leader carismatico.
Dalla delega al partito alla delega al leader. Pensa che solo la Fds e
il Pd non hanno il nome del capo sul simbolo elettorale. Le primarie di
programma sono utili a individuare dei nodi - no alla guerra e alle
spese militari, no alla precarietà, sì ai beni comuni e alle
ripubblicizzazioni - da indicare al centrosinistra perchè si scelga non
solo chi ma che cosa fare.
Ma come è possibile ricostruire spazi di democrazia partecipata ed efficace? Esiste il problema di "un nuovo che non nasce"?.
I problemi sono tanti, occorre lavorarci in direzione della
socializzazione della democrazia. Oggi i referendum non hanno più la
sola valenza di fotografare lo scarto tra paese reale e paese formale.
Oggi possono avere una valenza costituente di soggettività. Per questo
seguiamo l'esperienza dei movimenti per l'acqua (parteciperemo alla
manifestazione nazionale del 26) e stiamo dentro a tutte le
sperimentazioni di costruzione della soggettività della società civile
con interessi antagonisti alla grande finanza. Ma per questo serve che
si trovino forme persistenti di autorganizzazione, di contropotere dal
basso. Penso che in tutta Italia si debba agire come si agisce in Val di
Susa. E poi la politica va riconnessa al fare. Ecco perchè siamo
l'unico partito a spalare fango a Genova, l'unico a intervenire nel
terremoto, a fare i Gap. Le condizioni per l'alternativa nascono nella
densità sociale che si contribuisce a ricostruire.
Ma chi potrebbero essere gli interlocutori di questa ricerca?
Coloro che hanno fatto l'opposizione sociale in questi anni. A
differenza di altre fasi storiche, l'elemento democratico è costituente.
Nella sua crisi, il capitalismo cerca di restringere la partecipazione
per restituire, come nell'Ottocento, il potere ai padroni e ai banchieri
riducendo il conflitto sociale a problema di ordine pubblico. Noi, al
contrario, dobbiamo favorire l'irruzione delle masse nello spazio
pubblico. Noi vogliamo aggregare la sinistra di alternativa a partire
dalla ricostruzione della soggettività, la sinistra che opera per
rompere il senso di impotenza, che "aiuta" - come diceva Vittorio Foa -
la gente a governarsi da sé. Per tutto questo la sinistra d'alternativa
deve essere in grado di non subire, di non farsi sovradeterminare, dal
falso movimento del bipolarismo che ci vorrebbe o marginali o allineati.
Cecchino Antonini, Liberazione 09/11/2011
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