di Stefano Galieni, www.controlacrisi.org
Nell’articolo
qui sotto riportato e scritto da Antonio Calitri per Italia Oggi, si
ragiona, mancando evidentemente di numerosi elementi – ivi compresa
l’esistenza della Federazione della Sinistra che comprende Prc, PdCI e
non solo – di un giro di telefonate e di comunicazioni che sembra
appartenere ai più vetusti schemi della politica politicante. E, con una
frecciata al veleno che ha più di un bersaglio, si insinua l’idea che
il presidente della Regione Puglia nonché leader di Sinistra Ecologia e
Libertà avrebbe posto un veto al segretario del Pd Bersani: “se
l’alleanza comprende anche Prc e PdCI, salta l’accordo stipulato a Vasto
insieme all’Italia dei Valori”. Secondo l’autore dell’articolo il
colloquio fra i leader di Sel e Pd sarebbe stato molto “infuocato”,
tanto da rimettere in ballo – perché era stata rimossa? – la candidatura
di Vendola ad eventuali primarie del centro sinistra. La ragione?
Evitare a Sel qualsiasi competitor alla propria sinistra in parlamento.
Vogliamo credere e sperare che tale indiscrezione corrisponda a tipica
leggenda metropolitana, magari fatta circolare ad arte, vogliamo sperare
che dentro Sel in questo momento, come in ogni altra forza della
sinistra, non si stia ragionando di sigle e di posizionamenti ma della
costruzione di una alternativa per uscire veramente dalla crisi. Di
contenuti più che di contenitori. Ci va di pensare che gli elementi che
vedono le forze della FdS impegnata a contribuire alla cacciata del
peggior governo della storia repubblicana, siano per tutti molto più
importanti del numero di posti che ipoteticamente si potrebbero avere in
parlamento, che prevalga insomma la politica, quella che è capace, se
prende parola, di modificare anche il corso della storia. C’è da credere
che porre barriere a sinistra per andare verso un altro governo, come
primo passo necessario per ristabilire almeno regole di democrazia, non
possa appartenere a chi, avendo compiuto una rilettura estremamente
critica della storia novecentesca, rifugge giustamente da simili
conventio ad exludendum. Certo finora di segnali di interesse e di
interlocuzione positiva fra Sel e FdS non ce ne sono stati molti, ma
laddove nei territori si sono realizzati questi hanno portato ad un
potenziamento dell’intera sinistra che si è vista maggiormente
rappresentata, inserita in un percorso difficile ma con grandi
potenzialità, capace di divenire attrattivo ed efficace nelle proposte.
Ci sembra di ricordare che fra le forze politiche ad esempio solo Sel e
FdS parlino apertamente di patrimoniale, di lotta alla precarietà, di
difesa dei diritti dei lavoratori dall’attacco confindustriale, di
taglio alle spese militari, di salvaguardia del welfare e di importanza
della scuola e dell’università pubblica. Quindi un qualsiasi
simpatizzante di sinistra dovrebbe concludere che l’articolo di Italia
Oggi sia il classico fumo negli occhi per indebolire alleanze a sinistra
e spostare il dibattito verso il centro, laddove maggiorenti
rottamabili e rottamatori del Pd vorrebbero portarlo. E riesce difficile
anche credere alle dichiarazioni – a proposito di rottamabili evocati –
di Massimo D’Alema, che già per fatta una santa alleanza fra il
liberismo clericale dell’Udc e la “sinistra del ventunesimo secolo di
Sel”, con contorno di IdV il cui orientamento sembra muoversi in acque
sempre più limacciose. Se così è, se davvero in Sel prevale questo
settarismo miope e inutile, nocivo allo stesso progetto politico di Sel,
significa che la crisi della politica, anche a sinistra, non ha ancora
raggiunto il suo punto più basso.
Vendola fa il geloso e pone veto ai comunisti. A rischio il patto di non belligeranza con Idv e Bersani
di Antonio Calitri (Italia Oggi del 4 novembre 2011)
Oliviero Diliberto prova ad avvicinarsi al Partito democratico,
offrendo un patto di responsabilità senza se e senza ma. Ma trova il
veto di Nichi Vendola che lo respinge fuori dell'alleanza Pd, Sel, Idv,
così da poter ergersi a rappresentante di tutta quell'area che sta a
sinistra di Pier Luigi Bersani e non dividere l'eventuale premio di
maggioranza con altri.
I nuovi problemi intorno alla possibile alleanza elettorale continuano a spuntare come funghi sulla strada del segretario del Partito democratico. Bersani da un lato affronta l'ipotesi di un possibile governo tecnico e respinge le insidie lanciategli da Matteo Renzi lo scorso week-end, dall'altro lavora per consolidare il nocciolo duro della nuova alleanza elettorale. Strizza agli unici di cui si può fidare perché consapevoli che senza di lui rischierebbero di essere emarginati: Italia dei valori e Sinistra ecologia e libertà. Nel week end appena trascorso, a Rimini si è svolto il congresso dei comunisti italiani; una scelta non troppo fortunata vista la concomitanza con la Leopolda fiorentina e la riunione dei giovani del Sud del Partito democratico a Napoli. Nonostante la concomitanza di manifestazioni, l'evento è riuscito a ottenere un po' di spazio su stampa e tv anche grazie alla partecipazione e alle dichiarazioni «partigiane» del procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia. Attenzione mediatica dedicata alle critiche per la partecipazione del magistrato, ma comunque vitale la piccola formazione dei comunisti italiani. Il messaggio più importante del congresso, comunque, è stato quello della richiesta di apparentamento con il Pd e l'ingresso nella nuova coalizione elettorale in cambio della garanzia di fedeltà al programma e alla maggioranza di centrosinistra. Una proposta che non farebbe una piega. Dopo la traversata nel deserto di questi anni di vita politica extraparlamentare, di sacrifici e visibilità ridotta al lumicino, Diliberto pur di portare i comunisti di nuovo in parlamento e di battere Silvio Berlusconi (se si dovesse ripresentare) e il berlusconismo, manda a dire a Bersani che, negoziando un accordo su tre punti come lavoro, scuola pubblica e fisco, garantisce «appoggio al governo per cinque anni», «non si discute». Partendo da quel 2,7%, conquistato dalla federazione della sinistra insieme con rifondazione comunista di Paolo Ferrero, delle ultime elezioni amministrative (piuttosto che dai più recenti sondaggi) Diliberto fa notare che senza apparentamento resterebbero fuori dal Parlamento, con l'apparentamento al Pd conquisterebbero 21 parlamentari, 10 dei quali per i comunisti italiani. Un discorso che non farebbe una piega (anche se il segretario di rifondazione non ne è convinto) e che Bersani, nonostante il caos di questi giorni sta prendendo in considerazione. Cosa della quale è venuto a conoscenza anche il governatore pugliese, che ha posto subito il veto al segretario del Pd. E così ha puntato l'indice contro il suo arcinemico Ferrero e spiegato a Bersani (sembra in una telefonata molto accesa) che, in caso di apertura a sinistra, salterebbero tutti gli accordi stretti tra i due, compreso quello di Vasto e anche l'eventuale rinuncia a partecipare alle primarie. Tutto perché adesso l'obiettivo di Vendola è quello di ottenere il copyright su tutta l'area che sta a sinistra del Pd.
I nuovi problemi intorno alla possibile alleanza elettorale continuano a spuntare come funghi sulla strada del segretario del Partito democratico. Bersani da un lato affronta l'ipotesi di un possibile governo tecnico e respinge le insidie lanciategli da Matteo Renzi lo scorso week-end, dall'altro lavora per consolidare il nocciolo duro della nuova alleanza elettorale. Strizza agli unici di cui si può fidare perché consapevoli che senza di lui rischierebbero di essere emarginati: Italia dei valori e Sinistra ecologia e libertà. Nel week end appena trascorso, a Rimini si è svolto il congresso dei comunisti italiani; una scelta non troppo fortunata vista la concomitanza con la Leopolda fiorentina e la riunione dei giovani del Sud del Partito democratico a Napoli. Nonostante la concomitanza di manifestazioni, l'evento è riuscito a ottenere un po' di spazio su stampa e tv anche grazie alla partecipazione e alle dichiarazioni «partigiane» del procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia. Attenzione mediatica dedicata alle critiche per la partecipazione del magistrato, ma comunque vitale la piccola formazione dei comunisti italiani. Il messaggio più importante del congresso, comunque, è stato quello della richiesta di apparentamento con il Pd e l'ingresso nella nuova coalizione elettorale in cambio della garanzia di fedeltà al programma e alla maggioranza di centrosinistra. Una proposta che non farebbe una piega. Dopo la traversata nel deserto di questi anni di vita politica extraparlamentare, di sacrifici e visibilità ridotta al lumicino, Diliberto pur di portare i comunisti di nuovo in parlamento e di battere Silvio Berlusconi (se si dovesse ripresentare) e il berlusconismo, manda a dire a Bersani che, negoziando un accordo su tre punti come lavoro, scuola pubblica e fisco, garantisce «appoggio al governo per cinque anni», «non si discute». Partendo da quel 2,7%, conquistato dalla federazione della sinistra insieme con rifondazione comunista di Paolo Ferrero, delle ultime elezioni amministrative (piuttosto che dai più recenti sondaggi) Diliberto fa notare che senza apparentamento resterebbero fuori dal Parlamento, con l'apparentamento al Pd conquisterebbero 21 parlamentari, 10 dei quali per i comunisti italiani. Un discorso che non farebbe una piega (anche se il segretario di rifondazione non ne è convinto) e che Bersani, nonostante il caos di questi giorni sta prendendo in considerazione. Cosa della quale è venuto a conoscenza anche il governatore pugliese, che ha posto subito il veto al segretario del Pd. E così ha puntato l'indice contro il suo arcinemico Ferrero e spiegato a Bersani (sembra in una telefonata molto accesa) che, in caso di apertura a sinistra, salterebbero tutti gli accordi stretti tra i due, compreso quello di Vasto e anche l'eventuale rinuncia a partecipare alle primarie. Tutto perché adesso l'obiettivo di Vendola è quello di ottenere il copyright su tutta l'area che sta a sinistra del Pd.
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