dal blog del dalemiano Peppino Caldarola - 26 novembre 2011
Ormai Vendola deve guardarsi da Bertinotti. L’antico sodalizio si è
sciolto e l’ex segretario di Rifondazione sega il ramo su cui su cui è
seduto il suo più prestigioso successore. In una intervista di ieri sul
settimanale diretto da Piero Sansonetti, “Gli Altri”, con cui collaboro,
Bertinotti ha preso clamorosamente le distanze da Nichi. Bertinotti, e
Sansonetti, sono convinti che l’avvento di Mario Monti sia il segno del
compimento di un “golpe bianco”. E’ una tesi infondata, cara anche a
Giuliano Ferrara, che sul prossimo numero del giornale provo a
confutare. Qui mi interesse attirare l’attenzione invece su un'altra
affermazione di Bertinotti che contesta l’innegabile successo della
corsa di Nichi.
Dice Bertinotti: “La sinistra politica non la vedo più. E’
interamente chiusa dentro il recinto”. Con buona pace del governatore
pugliese. Dopo aver rinnegato la non violenza, su cui aveva costruito la
più felice stagione di Rifondazione, l’ex leader seppellisce anche le
speranze di chi è venuto dopo di lui e ha raccolto, più di lui, consensi
e prestigio. Il tema sollevato da Bertinotti è antico. Da quando esiste
il movimento operaio c’è sempre una parte più radicale, un tempo si
sarebbe detto più rivoluzionaria, che accusa l’altra, generalmente con
più seguito di massa, di essere ammalata di ministerialismo e di perdere
di vista il profilo di classe dello scontro. Questa volta il giudizio è
ancora più duro e doloroso per chi milita nella sinistra radicale.
Bertinotti boccia Sel, e ovviamente il Pd, e ritiene che vadano
distrutte tutte le attuali organizzazioni politiche per affidarsi alla
vena ricostruttrice dei movimenti e del sindacalismo irriducibile.
E’ evidente che il Pd si dibatte in una continuo dilemma se essere un
partito di sinistra che accoglie a pieno titolo anche i riformisti
moderati o se diventare un partito moderato che tollera un’ala di
sinistra. E’ evidente che Sel ha le caratteristiche di un partito
transitorio in attesa di un big bang nell’intera area che permetta la
nascita di un nuovo soggetto di sinistra. Bertinotti chiude tuttavia le
porte alle possibili evoluzioni delle due formazioni e le boccia
entrambe in modo definitivo consegnando le loro leadership alla critica
dei movimenti. Se per Bersani la presa di posizione di Bertinotti è del
tutto irrilevante, per Vendola è un colpo al cuore, ancora più doloroso
perché viene nel momento in cui Nichi è riuscito a tirar fuori dal cono
d’ombra quell’area politica che era stata emarginata proprio nel fulgore
della stagione bertinottiana.
C’è, nel mondo dell’ex Rifondazione, chi spiega tutto questo anche
con la difficile presa d’atto da parte di Bertinotti del successo di chi
ha raggiunto traguardi che lui ha fallito. Ma non sarà la psicologia a
spiegare la nuova rottura a sinistra. La politica ci dice infatti che di
fronte alla più grave crisi dell’assetto economico e del potere c’è una
sinistra che accetta la sfida di governarla, è il caso di Vendola, e
chi si sottrae inseguendo antichi sogni rivoluzionari. Si può pensare
quel che si vuole di Vendola ma è evidente il suo sforzo di far
diventare riformista la sinistra radicale e di attrarre la parte
maggioritaria della sinistra classica nello schema dell’alternativa di
sinistra per sottrarla all’abbraccio con i neo-dc e i moderati.
Bertinotti invece dice che non c’è nulla da fare, che Vendola è un
illuso, e forse peggio visto che si è fatto chiudere nel recinto, e che
la nuova leadership sarà sindacale, di movimento, insomma tutto meno il
governatore pugliese. Il bello di questa stagione politica è che stanno
venendo meno alcune finzioni del passato, quella cioè che i riformisti
possono stare assieme indipendentemente dai contenuti e che i radicali
sono tutti uguali. Invece sembra profilarsi il tempo in cui i
socialdemocratici si possono riunire, con tutta la gamma delle
differenze al loro interno, i moderati possano andare là dove li porta
il cuore e i rivoluzionari abbaiare alla luna. Insomma meglio Nichi di
Fausto.
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