Come un auto fuori controllo, Berlusconi
sbatte e rimbalza da un guard rail all’altro, del tutto incapace di
varare una manovra che abbia un senso, una credibile efficacia. Persino
nel perimetro reazionario che marca i confini delle scelte imposte dalle
banche e dalla leadership europea. Al punto che Christine Lagarde,
direttrice del Fmi, si è presa ieri la libertà di mettere pubblicamente a
nudo la vacuità del premier, nei fatti commissariando l’Italia, mentre
questi ne celebrava senza ritegno l’ottimo stato di salute.
Il Presidente del Consiglio è nello stallo assoluto. Di un’imposta patrimoniale non vuole neppure sentir parlare, rappresentando essa la più esplicita confessione della sua capitolazione politica; l’ipotesi di un prelievo forzoso sui conti correnti è stata giubilata all’istante da Confindustria; il colpo di pistola alle pensioni di anzianità gli è rimasto in canna per l’opposizione della Lega, la vendita all’incanto del patrimonio pubblico parla di entrate virtuali e si rivela un puro e semplice ballon d’essai. Si aggiungano a tutto ciò la dilettantesca improvvisazione che ha caratterizzato il balbettio del governo in questi mesi e la soggettiva impresentabilità del personale politico che la incarna, e si comprenderà “al volo”, senza diffondersi in un ulteriori approfondimenti, che il destino del governo è segnato e con esso l’eclissi di un’intera fase della nostra storia politica, essendo piuttosto chiaro che il Pdl non sopravviverà al tramonto del suo padre-padrone. Gli scricchiolii nella compagine della destra sono ormai segni inequivocabili di cedimento e, sotto l’impulso dei poteri forti, stiamo già assistendo allo smottamento trasformistico di pezzi della maggioranza che hanno fiutato la direzione del vento e si apprestano a bastonare, come in un consumato italico copione, il cane che annega. Per andare dove? Ormai è chiaro che nel nome della (alquanto presunta) salvezza della patria cresce il consenso trasversale per un governo (tecnico? di solidarietà nazionale? di larghe intese?) il cui scopo precipuo sia quello di togliere di mezzo il sultano in disarmo ed insediarsi alla guida del Paese in una situazione eccezionale, dotato di poteri eccezionali, per varare misure eccezionali, quelle “impopolari” di cui nessuno vorrebbe assumersi la paternità e che quindi ciascuno cerca di diluire in una comune e indivisa responsabilità. Con la tacita convinzione che così, quando le elezioni verranno, nessuno, forse, pagherà dazio. Vedremo martedì se Berlusconi sarà riuscito a prolungare l’agonia ottenendo l’ennesima fiducia, oppure se il dado sarà definitivamente tratto. Napolitano, fiducioso, attende.
Avrete notato che il Pd, dopo altalenante traccheggiamento, non parla più di elezioni e sembra ormai definitivamente guadagnato 8o rassegnato) a questa prospettiva politica che ne segnerebbe l’irreversibile cooptazione nella compagine liberista. Quella che ha consegnato alla finanza il potere politico, distruggendo la sovranità dei popoli, dei loro parlamenti, e rendendo la democrazia un pallido simulacro.
Oggi, sicuramente, molta gente, molto popolo, molti proletari verranno a Roma, chiamati dal Pd ad ascoltare il loro segretario. Più impegnativo immaginare cosa Bersani dirà loro, quale prospettiva disegnerà per le loro vite, i loro salari, le loro pensioni, per gli anziani e per i più giovani. Perché se fra breve Berlusconi dovesse davvero passare la mano – senza ricorso alla prova elettorale – e toccasse ad un governo della “coesione nazionale” afferrare le briglie, la situazione si chiarirebbe, istantaneamente, secondo i desiderata della Bce, lungo una traiettoria che individua nel più violento salasso sociale, senza se e senza ma, la via maestra per risanare il debito dell’Italia. Ma noi sappiamo che questo non basterà e che dall’impoverimento del Paese non verrà alcuno stimolo alla ripresa, che la speculazione tornerà a mordere e con essa l’avvitamento senza fine lungo una spirale depressiva.
Il dramma e il rovello della situazione presente consiste proprio in questo. Che purgare per questa via il Paese dal cancro berlusconiano comporta la diretta assunzione delle leve di comando da parte degli interpreti della più spinta ideologia monetarista e mercatista, quella che sta portando al tracollo la costruzione politica dell’Europa, sempre più succube e prigioniera dei santuari della finanza.
Ora, per quanto non sia semplice tenere il capo fuori dal pelo dell’acqua, occorre più che mai ragionare, con la massima lucidità.
Le elezioni – sia pure con una legge elettorale infame come questa – sono, malgrado tutto, la via migliore per sganciarsi dal circolo vizioso in cui siamo precipitati.
Esse sono l’occasione per rendere chiara un’opzione diversa, davvero alternativa, e rendere visibile uno schieramento politico capace di rappresentarla, nelle istituzioni e attraverso il conflitto sociale. E sono anche un’occasione di chiarezza, fuori dal gioco politicista delle alleanze che quando è fine a se stesso tende a nascondere i contenuti, i progetti, le reali intenzioni dietro una cortina fumogena fatta di chiacchiere.
Il Presidente del Consiglio è nello stallo assoluto. Di un’imposta patrimoniale non vuole neppure sentir parlare, rappresentando essa la più esplicita confessione della sua capitolazione politica; l’ipotesi di un prelievo forzoso sui conti correnti è stata giubilata all’istante da Confindustria; il colpo di pistola alle pensioni di anzianità gli è rimasto in canna per l’opposizione della Lega, la vendita all’incanto del patrimonio pubblico parla di entrate virtuali e si rivela un puro e semplice ballon d’essai. Si aggiungano a tutto ciò la dilettantesca improvvisazione che ha caratterizzato il balbettio del governo in questi mesi e la soggettiva impresentabilità del personale politico che la incarna, e si comprenderà “al volo”, senza diffondersi in un ulteriori approfondimenti, che il destino del governo è segnato e con esso l’eclissi di un’intera fase della nostra storia politica, essendo piuttosto chiaro che il Pdl non sopravviverà al tramonto del suo padre-padrone. Gli scricchiolii nella compagine della destra sono ormai segni inequivocabili di cedimento e, sotto l’impulso dei poteri forti, stiamo già assistendo allo smottamento trasformistico di pezzi della maggioranza che hanno fiutato la direzione del vento e si apprestano a bastonare, come in un consumato italico copione, il cane che annega. Per andare dove? Ormai è chiaro che nel nome della (alquanto presunta) salvezza della patria cresce il consenso trasversale per un governo (tecnico? di solidarietà nazionale? di larghe intese?) il cui scopo precipuo sia quello di togliere di mezzo il sultano in disarmo ed insediarsi alla guida del Paese in una situazione eccezionale, dotato di poteri eccezionali, per varare misure eccezionali, quelle “impopolari” di cui nessuno vorrebbe assumersi la paternità e che quindi ciascuno cerca di diluire in una comune e indivisa responsabilità. Con la tacita convinzione che così, quando le elezioni verranno, nessuno, forse, pagherà dazio. Vedremo martedì se Berlusconi sarà riuscito a prolungare l’agonia ottenendo l’ennesima fiducia, oppure se il dado sarà definitivamente tratto. Napolitano, fiducioso, attende.
Avrete notato che il Pd, dopo altalenante traccheggiamento, non parla più di elezioni e sembra ormai definitivamente guadagnato 8o rassegnato) a questa prospettiva politica che ne segnerebbe l’irreversibile cooptazione nella compagine liberista. Quella che ha consegnato alla finanza il potere politico, distruggendo la sovranità dei popoli, dei loro parlamenti, e rendendo la democrazia un pallido simulacro.
Oggi, sicuramente, molta gente, molto popolo, molti proletari verranno a Roma, chiamati dal Pd ad ascoltare il loro segretario. Più impegnativo immaginare cosa Bersani dirà loro, quale prospettiva disegnerà per le loro vite, i loro salari, le loro pensioni, per gli anziani e per i più giovani. Perché se fra breve Berlusconi dovesse davvero passare la mano – senza ricorso alla prova elettorale – e toccasse ad un governo della “coesione nazionale” afferrare le briglie, la situazione si chiarirebbe, istantaneamente, secondo i desiderata della Bce, lungo una traiettoria che individua nel più violento salasso sociale, senza se e senza ma, la via maestra per risanare il debito dell’Italia. Ma noi sappiamo che questo non basterà e che dall’impoverimento del Paese non verrà alcuno stimolo alla ripresa, che la speculazione tornerà a mordere e con essa l’avvitamento senza fine lungo una spirale depressiva.
Il dramma e il rovello della situazione presente consiste proprio in questo. Che purgare per questa via il Paese dal cancro berlusconiano comporta la diretta assunzione delle leve di comando da parte degli interpreti della più spinta ideologia monetarista e mercatista, quella che sta portando al tracollo la costruzione politica dell’Europa, sempre più succube e prigioniera dei santuari della finanza.
Ora, per quanto non sia semplice tenere il capo fuori dal pelo dell’acqua, occorre più che mai ragionare, con la massima lucidità.
Le elezioni – sia pure con una legge elettorale infame come questa – sono, malgrado tutto, la via migliore per sganciarsi dal circolo vizioso in cui siamo precipitati.
Esse sono l’occasione per rendere chiara un’opzione diversa, davvero alternativa, e rendere visibile uno schieramento politico capace di rappresentarla, nelle istituzioni e attraverso il conflitto sociale. E sono anche un’occasione di chiarezza, fuori dal gioco politicista delle alleanze che quando è fine a se stesso tende a nascondere i contenuti, i progetti, le reali intenzioni dietro una cortina fumogena fatta di chiacchiere.
Dino Greco - Liberazione
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