Magneti Marelli, assemblee fuori dalla fabbrica
O
la firma o la vita. Siccome la Fiom non ha voltuto firmare, deve
morire. Il caso della Magneti Marelli di Bologna, la ex-Weber, un’icona
nella storia operaia tra le due Torri, è talmente paradossale da
sembrare inventato.
I dipendenti sono 680, l’80 per cento di loro è iscritto alla Fiom. Senza alcun mandato la Fim e la Uilm hanno vidimato il nuovo contratto aziendale valido per tutto il gruppo Fiat con cui si cancella il contratto nazionale, si introduce il divieto di sciopero e si espellono dalla fabbrica i sindacati che non hanno firmato la capitolazione. Così ieri, alzando la vecchia bandiera rossa del 1969 e trascinando un carrello con gli scatoloni e i poster che ritraggono Giuseppe Di Vittorio, Claudio Sabattini e Sergio Cofferati, i sei delegati accompagnati da un gruppo di lavoratori hanno dovuto uscire di scena. La sede sindacale interna della Magneti Marelli è stata chiusa su ordine di Marchionne e dei suoi portaborse sindacali, ora le riunioni gli operai della Fiom, ciè l’80 per cento dei dipendenti, saranno costretti a farle in piazza. È la «nuova democrazia» dell’era «Dopo Cristo». È la dittatura della minoranza sulla maggioranza, è la morte della ragione e persino del buon senso. Siamo certi che la Fiom rientrerà in fabbrica, ma ci domandiamo: Napolitano, Monti, Fornero, non hanno alcunché da obiettare? Chi asseconda o finge di ignorare una simile violazione del diritto – e dei diritti – che si perpetua nelle fabbriche Fiat, è complice. In un paese normale i cittadini scenderebbero in strada, prima che per solidarietà ai lavoratori della ex-Weber per difendere la democrazia. Ma Bologna è una città normale? E lo è l’Italia, normale? Non vorremmo che il modello Marchionne diventasse modello generale, regolatore di tutti i rapporti sociali, politici, economici, culturali. A meno che non sia già successo…
Sicuramente è successo che oltre 19 mila lavoratori della Fiat, ben oltre il 20 per cento del totale dei dipendenti italiani che sono 86 mila, e dunque ben oltre la quota stabilita da un vecchio accordo siglato da Fiom, Fim e Uilm, hanno firmato per chiedere un referendum abrogativo del «contratto-mostro». Se neanche questo bastasse a Marchionne, a Fim e Uilm per consentire lo svolgimento della consultazione, vorrebbe dire che anche la fase della democrazia ridotta a simulacro – il voto – è finita. Saremmo precipitati nella fase in cui anche il diritto di voto è stato abolito.
I dipendenti sono 680, l’80 per cento di loro è iscritto alla Fiom. Senza alcun mandato la Fim e la Uilm hanno vidimato il nuovo contratto aziendale valido per tutto il gruppo Fiat con cui si cancella il contratto nazionale, si introduce il divieto di sciopero e si espellono dalla fabbrica i sindacati che non hanno firmato la capitolazione. Così ieri, alzando la vecchia bandiera rossa del 1969 e trascinando un carrello con gli scatoloni e i poster che ritraggono Giuseppe Di Vittorio, Claudio Sabattini e Sergio Cofferati, i sei delegati accompagnati da un gruppo di lavoratori hanno dovuto uscire di scena. La sede sindacale interna della Magneti Marelli è stata chiusa su ordine di Marchionne e dei suoi portaborse sindacali, ora le riunioni gli operai della Fiom, ciè l’80 per cento dei dipendenti, saranno costretti a farle in piazza. È la «nuova democrazia» dell’era «Dopo Cristo». È la dittatura della minoranza sulla maggioranza, è la morte della ragione e persino del buon senso. Siamo certi che la Fiom rientrerà in fabbrica, ma ci domandiamo: Napolitano, Monti, Fornero, non hanno alcunché da obiettare? Chi asseconda o finge di ignorare una simile violazione del diritto – e dei diritti – che si perpetua nelle fabbriche Fiat, è complice. In un paese normale i cittadini scenderebbero in strada, prima che per solidarietà ai lavoratori della ex-Weber per difendere la democrazia. Ma Bologna è una città normale? E lo è l’Italia, normale? Non vorremmo che il modello Marchionne diventasse modello generale, regolatore di tutti i rapporti sociali, politici, economici, culturali. A meno che non sia già successo…
Sicuramente è successo che oltre 19 mila lavoratori della Fiat, ben oltre il 20 per cento del totale dei dipendenti italiani che sono 86 mila, e dunque ben oltre la quota stabilita da un vecchio accordo siglato da Fiom, Fim e Uilm, hanno firmato per chiedere un referendum abrogativo del «contratto-mostro». Se neanche questo bastasse a Marchionne, a Fim e Uilm per consentire lo svolgimento della consultazione, vorrebbe dire che anche la fase della democrazia ridotta a simulacro – il voto – è finita. Saremmo precipitati nella fase in cui anche il diritto di voto è stato abolito.
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