C’era una volta il Pd che per due anni si dilaniò perché non sapeva dove
collocarsi in Europa. Nel Pse o fra i liberaldemocratici? Gli ex Ds
contro gli ex Margherita, Veltroni con gli ex Ds ma anche con gli ex
Margherita. Una guerra. Finita con l’unico modo possibile: un
democristianissimo compromesso, cioè cambiare il Pse in “alleanza dei
partiti socialisti e democratici”. Lo stesso
problema, adesso, si ripropone in Sinistra Ecologia a Libertà. Ma non
sarà una scelta a due. Bensì a tre. Affiliare il partito ai socialisti
europei (di cui Vendola è membro), alla sinistra (quella che fondò
Bertinotti, padre politico di Vendola), oppure ai verdi (”Ecologia”)? La
scelta non è facile, e allora Vendola nei giorni scorsi al Manifesto ha
tirato fuori una frase degna del veltronismo più spinto: «Se potessi,
prenderei tre tessere in Europa: quella della Sinistra, che ho
contribuito a costruire, quella del socialismo che oggi gioca una
partita rilevante per cambiare il segno al continente, e dei Verdi che
su alcune questioni hanno colto in anticipo i nodi di fondo». Il
problema è che per fare una cosa del genere Sel dovrebbe avere il dono
dell’ubiquità. E va bene che Vendola è cattolico, ma una Trinità del
genere in Europa non è ancora concessa.
Non è questione di lana caprina. Di mezzo c’è la natura stessa del partito. Se rappresentare un’altra, ennesima, sinistra riformista oppure proporsi come alternativa. Se le intenzioni di Sel sono quelle di governare per governare (vedi Pd), oppure tentare di governare ma per cambiare. In Italia come in Europa. Quindi se rincorrere il Pd sempre e comunque, o se lavorare per rendersi autonoma e possibilmente unificare le spinte dal basso che chiedono progettualità radicali ma non per questo velleitarie, vedi il movimento degli Occupy e gli indignados.
Per ora gli indizi sembrano tutti indirizzati a trasformare Sel in dei Ds versione mignon: cioè un partito organico al Pse (dove, per dire, Tony Blair ha pontificato per anni con ipotesi neo-liberiste) destinato a diventare la succursale radical del Pd, accettando tutti i diktat delle varie Ue, Bce, Fmi, Nato, Chiesa e compagnia cantante. Perché se da una parte le battaglia di Sel contro la precarietà, contro le spese militari, in difesa dell’articolo 18 e a fianco della Fiom, per lo sviluppo sostenibile e così via sono le stesse di sempre e tengono buona la base, dall’altra l’opposizione al governo Monti appare debolissima e la parola “anticapitalismo” è bandita. Proprio adesso che il capitalismo sta dimostrando il suo spettacolare fallimento.
È strano il destino della sinistra italiana. Costretta a moderarsi, fino a snaturarsi, pur di raggiungere la possibilità di governare. Come se si vergognasse della propria identità e del proprio passato. Incendiaria da giovane, pompiera da adulta. Dal movimento no global del 2001 a una coalizione con l’Udc. Eppure, e Sel dovrebbe essere la prima a saperlo, le scelte nette finora hanno pagato: Pisapia, De Magistris e Zedda sono lì a dimostrarlo.
Non è questione di lana caprina. Di mezzo c’è la natura stessa del partito. Se rappresentare un’altra, ennesima, sinistra riformista oppure proporsi come alternativa. Se le intenzioni di Sel sono quelle di governare per governare (vedi Pd), oppure tentare di governare ma per cambiare. In Italia come in Europa. Quindi se rincorrere il Pd sempre e comunque, o se lavorare per rendersi autonoma e possibilmente unificare le spinte dal basso che chiedono progettualità radicali ma non per questo velleitarie, vedi il movimento degli Occupy e gli indignados.
Per ora gli indizi sembrano tutti indirizzati a trasformare Sel in dei Ds versione mignon: cioè un partito organico al Pse (dove, per dire, Tony Blair ha pontificato per anni con ipotesi neo-liberiste) destinato a diventare la succursale radical del Pd, accettando tutti i diktat delle varie Ue, Bce, Fmi, Nato, Chiesa e compagnia cantante. Perché se da una parte le battaglia di Sel contro la precarietà, contro le spese militari, in difesa dell’articolo 18 e a fianco della Fiom, per lo sviluppo sostenibile e così via sono le stesse di sempre e tengono buona la base, dall’altra l’opposizione al governo Monti appare debolissima e la parola “anticapitalismo” è bandita. Proprio adesso che il capitalismo sta dimostrando il suo spettacolare fallimento.
È strano il destino della sinistra italiana. Costretta a moderarsi, fino a snaturarsi, pur di raggiungere la possibilità di governare. Come se si vergognasse della propria identità e del proprio passato. Incendiaria da giovane, pompiera da adulta. Dal movimento no global del 2001 a una coalizione con l’Udc. Eppure, e Sel dovrebbe essere la prima a saperlo, le scelte nette finora hanno pagato: Pisapia, De Magistris e Zedda sono lì a dimostrarlo.
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