Domenica scorsa, 15 gennaio, Nichi Vendola rilascia un'intervista
all'Unità. Commenta la situazione politica, definisce Monti «variante
colta della destra europea» e rileva che nel Pd è in atto uno scontro
interno in cui prevale la linea moderata contro quella del segretario
Bersani: «Il Pd non può avere un’azione incisiva sulle politiche di
Monti perché la sua capacità è stata annientata a monte, dalla parte più
moderata del partito. I gruppi dirigenti, alcuni, hanno impedito un
negoziato più stringente sulla direzione del governo Monti che finora ha
evocato scenari, ma non sciolto i nodi, dalla patrimoniale alla tobin
tax».
Prima di tutto, va rilevato che Vendola ha cambiato il suo modo di leggere il Pd: da considerarlo partito moderato tout court,
ben rappresentato secondo lui dal segretario Bersani, è passato a
individuare uno scontro all'interno del partito tra una linea moderata e
una linea più di sinistra, interpretata invece da Bersani e Fassina.
Bene, è un passo in avanti positivo, per individuare interlocutori nel
Pd, appoggiarli al fine di costruire una salda alleanza di
centrosinistra. Di questo non possiamo che compiacerci. Mi permetto però
di ricordare che fino all'avvento del governo Monti, quando le primarie
del centrosinistra sembravano ancora all'orizzonte, Vendola ha sempre
appoggiato gli esponenti moderati del Pd contro Bersani, suo avversario
principale in eventuali primarie. Insomma, il gioco era quello di stare
con Prodi, Parisi e Veltroni per mettere in difficoltà il segretario.
Tutto questo si è visto chiaramente in occasione del referendum
elettorale cosiddetto antiporcellum, varato assieme a tutti i
nemici interni di Bersani, per il ritorno al maggioritario. In
quell'occasione, oltre a rilevare l'impossibilità tecnica dei quesiti
proposti, segnalai la stranezza di una forza di sinistra che si schiera
per il maggioritario e non per il proporzionale, e di un'alleanza con la
parte moderata del Pd. Ovviamente, era chiaro a tutti che tale strana
alleanza si spiegava con il proposito di indebolire Bersani in vista
delle primarie. Oggi Vendola dice – e non solo in quell'intervista – che
i suoi riferimenti nel Pd sono Bersani e Fassina. Poteva pensarci
prima. Purtroppo le primarie rappresentano una distorsione nella
politica. Introducono un elemento di sfida tra leader in cui ciò che
conta è lo scontro personale e non la linea politica. Così Vendola
decise di contrastare Bersani alleandosi con la destra del Pd.
Torniamo
all'intervista di domenica scorsa. Rispondendo all'ultima domanda,
Vendola mette il carico sul tavolo: «Il nostro alleato principale, il
mio e di Di Pietro, non può pensare di non sciogliere mai i nodi della
prospettiva, per cui ogni giorno leggiamo che Enrico Letta la legge
elettorale la vuole fare in modo che definire autoritario è un
eufemismo, oppure che Fioroni vuole fare la Federazione con il Terzo
Polo. Ma se quello è il destino io e Di Pietro non abbiamo paura a
metterci a capo di un altro polo di governo, alternativo al Pd. Non
intendo più immaginare che per la sinistra ci sia soltanto un destino di
testimonianza democratica».
Si tratta evidentemente di un
cambiamento di centottanta gradi rispetto al Congresso di Firenze che
sancì la linea di una nuova sinistra in un nuovo centrosinistra. Si
prospetta infatti la possibilità di un polo con l'Idv, definito di
governo, ma in realtà residuale, una sorta di riedizione della Sinistra
Arcobaleno, peraltro senza la Federazione della Sinistra.
Commentando
quell'intervista con qualche amico e compagno, ho detto che la cosa più
inquietante era che il giorno Vendola dopo avrebbe affermato l'esatto
contrario. Così, mi sono espresso anche su Facebook, aggiungendo che
tale modo di fare è tipico dei partiti personali. Ebbene, dopo qualche
giorno, mercoledì 18 gennaio, leggiamo sulla pagina web di Vendola la
seguente dichiarazione: «Il mio atteggiamento nei confronti del Partito
Democratico è chiaro: alleanza, alleanza, alleanza. La mia proposta è
chiara: costruiamo il programma, apriamo il cantiere, indichiamo la
prospettiva». Oggi, 20 gennaio, in un'intervista a il Manifesto,
possiamo leggere ancora: «Altro che “quarto polo". Ambisco a costruire
il “primo polo”, per vincere le elezioni e portare il paese a sinistra».
Bene,
la previsione s'è avverata. Ovviamente, non sono un indovino e non
dispongo di particolari doti da sensitivo. Semplicemente, conosco i
meccanismi dei partiti personali. È insomma tipico di quei partiti – con
scarso radicamento territoriale e senza un vero gruppo dirigente – il
leader che saggia l'opinione pubblica tramite i media con dichiarazioni
forti per vedere l'effetto che hanno nei sondaggi e sugli iscritti e i
simpatizzanti. Su questo, peraltro, c'è un'ampia letteratura che
riguarda i partiti americani, quelli distrutti dalle primarie nella loro
capacità di essere soggetti popolari, radicati e rappresentativi. È
altrettanto tipico affermare dopo pochi giorni l'esatto contrario,
facendo notare che in realtà anche nell'intervista precedente non si era
detto nulla di diverso. Insomma, finito l'esperimento, si torna alla
normalità. L'abbiamo visto tante volte con Berlusconi.
Per
concludere, segnalo che in quell'intervista – come sempre del resto –
Vendola parla in prima persona. Non usa mai il pronome noi o il nome del
suo partito. Questo è il leaderismo di chi a parole dice di volere
superare il berlusconismo, ma in realtà ha fondato un partito personale
senza radicamento e senza gruppo dirigente e non ha pensato a niente di
meglio che il ritorno al maggioritario per sconfiggere il leaderismo, il
presidenzialismo e l'umiliazione del parlamento e delle istituzioni
repubblicane. Un leader che vuole sconfiggere il berlusconismo non
immette nella politica italiana dosi di presidenzialismo e leaderismo
tramite il maggioritario e le primarie, né tantomeno utilizza il
populismo antipolitico contro la cosiddetta "casta" e i partiti.
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