venerdì 20 gennaio 2012

Vendola, capo di un partito personale di Matteo Bazzocchi

Domenica scorsa, 15 gennaio, Nichi Vendola rilascia un'intervista all'Unità. Commenta la situazione politica, definisce Monti «variante colta della destra europea» e rileva che nel Pd è in atto uno scontro interno in cui prevale la linea moderata contro quella del segretario Bersani: «Il Pd non può avere un’azione incisiva sulle politiche di Monti perché la sua capacità è stata annientata a monte, dalla parte più moderata del partito. I gruppi dirigenti, alcuni, hanno impedito un negoziato più stringente sulla direzione del governo Monti che finora ha evocato scenari, ma non sciolto i nodi, dalla patrimoniale alla tobin tax».

Prima di tutto, va rilevato che Vendola ha cambiato il suo modo di leggere il Pd: da considerarlo partito moderato tout court, ben rappresentato secondo lui dal segretario Bersani, è passato a individuare uno scontro all'interno del partito tra una linea moderata e una linea più di sinistra, interpretata invece da Bersani e Fassina. Bene, è un passo in avanti positivo, per individuare interlocutori nel Pd, appoggiarli al fine di costruire una salda alleanza di centrosinistra. Di questo non possiamo che compiacerci. Mi permetto però di ricordare che fino all'avvento del governo Monti, quando le primarie del centrosinistra sembravano ancora all'orizzonte, Vendola ha sempre appoggiato gli esponenti moderati del Pd contro Bersani, suo avversario principale in eventuali primarie. Insomma, il gioco era quello di stare con Prodi, Parisi e Veltroni per mettere in difficoltà il segretario. Tutto questo si è visto chiaramente in occasione del referendum elettorale cosiddetto antiporcellum, varato assieme a tutti i nemici interni di Bersani, per il ritorno al maggioritario. In quell'occasione, oltre a rilevare l'impossibilità tecnica dei quesiti proposti, segnalai la stranezza di una forza di sinistra che si schiera per il maggioritario e non per il proporzionale, e di un'alleanza con la parte moderata del Pd. Ovviamente, era chiaro a tutti che tale strana alleanza si spiegava con il proposito di indebolire Bersani in vista delle primarie. Oggi Vendola dice – e non solo in quell'intervista – che i suoi riferimenti nel Pd sono Bersani e Fassina. Poteva pensarci prima. Purtroppo le primarie rappresentano una distorsione nella politica. Introducono un elemento di sfida tra leader in cui ciò che conta è lo scontro personale e non la linea politica. Così Vendola decise di contrastare Bersani alleandosi con la destra del Pd.

Torniamo all'intervista di domenica scorsa. Rispondendo all'ultima domanda, Vendola mette il carico sul tavolo: «Il nostro alleato principale, il mio e di Di Pietro, non può pensare di non sciogliere mai i nodi della prospettiva, per cui ogni giorno leggiamo che Enrico Letta la legge elettorale la vuole fare in modo che definire autoritario è un eufemismo, oppure che Fioroni vuole fare la Federazione con il Terzo Polo. Ma se quello è il destino io e Di Pietro non abbiamo paura a metterci a capo di un altro polo di governo, alternativo al Pd. Non intendo più immaginare che per la sinistra ci sia soltanto un destino di testimonianza democratica».
Si tratta evidentemente di un cambiamento di centottanta gradi rispetto al Congresso di Firenze che sancì la linea di una nuova sinistra in un nuovo centrosinistra. Si prospetta infatti la possibilità di un polo con l'Idv, definito di governo, ma in realtà residuale, una sorta di riedizione della Sinistra Arcobaleno, peraltro senza la Federazione della Sinistra.

Commentando quell'intervista con qualche amico e compagno, ho detto che la cosa più inquietante era che il giorno Vendola dopo avrebbe affermato l'esatto contrario. Così, mi sono espresso anche su Facebook, aggiungendo che tale modo di fare è tipico dei partiti personali. Ebbene, dopo qualche giorno, mercoledì 18 gennaio, leggiamo sulla pagina web di Vendola la seguente dichiarazione: «Il mio atteggiamento nei confronti del Partito Democratico è chiaro: alleanza, alleanza, alleanza. La mia proposta è chiara: costruiamo il programma, apriamo il cantiere, indichiamo la prospettiva». Oggi, 20 gennaio, in un'intervista a il Manifesto, possiamo leggere ancora: «Altro che “quarto polo". Ambisco a costruire il “primo polo”, per vincere le elezioni e portare il paese a sinistra».

Bene, la previsione s'è avverata. Ovviamente, non sono un indovino e non dispongo di particolari doti da sensitivo. Semplicemente, conosco i meccanismi dei partiti personali. È insomma tipico di quei partiti – con scarso radicamento territoriale e senza un vero gruppo dirigente – il leader che saggia l'opinione pubblica tramite i media con dichiarazioni forti per vedere l'effetto che hanno nei sondaggi e sugli iscritti e i simpatizzanti. Su questo, peraltro, c'è un'ampia letteratura che riguarda i partiti americani, quelli distrutti dalle primarie nella loro capacità di essere soggetti popolari, radicati e rappresentativi. È altrettanto tipico affermare dopo pochi giorni l'esatto contrario, facendo notare che in realtà anche nell'intervista precedente non si era detto nulla di diverso. Insomma, finito l'esperimento, si torna alla normalità. L'abbiamo visto tante volte con Berlusconi.

Per concludere, segnalo che in quell'intervista – come sempre del resto – Vendola parla in prima persona. Non usa mai il pronome noi o il nome del suo partito. Questo è il leaderismo di chi a parole dice di volere superare il berlusconismo, ma in realtà ha fondato un partito personale senza radicamento e senza gruppo dirigente e non ha pensato a niente di meglio che il ritorno al maggioritario per sconfiggere il leaderismo, il presidenzialismo e l'umiliazione del parlamento e delle istituzioni repubblicane. Un leader che vuole sconfiggere il berlusconismo non immette nella politica italiana dosi di presidenzialismo e leaderismo tramite il maggioritario e le primarie, né tantomeno utilizza il populismo antipolitico contro la cosiddetta "casta" e i partiti.

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