sabato 15 marzo 2014

Jobs Act, Renzi cancella partite Iva e freelance —Roberto Ciccarelli, Il Manifesto

Quinto stato. Cresce la protesta: nessun taglio all’Irpef e fuori da tutti i sussidi. Anna Soru (Acta): «Come i sindacati, il governo ci considera evasori fiscali, una realtà falsa, per noi è un atto impossibile»
Una delle stime più atten­di­bili sostiene che sono 3 milioni e 369 mila. Sono pro­fes­sio­ni­sti e lavo­ra­tori auto­nomi. Quelli iscritti alla gestione sepa­rata dell’Inps, sono 1 milione e 800 mila, all’incirca. Di solito, si usa que­sto dato per defi­nire la quan­tità del «nuovo» lavoro auto­nomo, quello che Ser­gio Bolo­gna ha defi­nito «lavo­ra­tori auto­nomi di seconda generazione».
Sono per­sone che lavo­rano per la pub­blica ammi­ni­stra­zione e le imprese. Un breve elenco delle loro pro­fes­sioni può essere utile per dimo­strare che non stiamo par­lando di pic­coli impren­di­tori, o di «par­tite Iva affluenti» come medici, avvo­cati o archi­tetti senior, anche se i «gio­vani» trenta-quarantenni lavo­rano in con­di­zioni da schiavi in que­ste cate­go­rie. Sono web desi­gner, archeo­logi, tra­dut­trici, gra­fici, pub­bli­ci­tari, copy­w­ri­ter, gior­na­li­sti free­lance, video­ma­ker, for­ma­tori, con­su­lenti azien­dali, arti­giani o attori. Nes­suno di loro, com’è stato lar­ga­mente annun­ciato, godrà degli 85 euro pro­messi in busta paga ai lavo­ra­tori dipen­denti fino ai 25 mila euro lordi da Mat­teo Renzi. Eppure, come hanno dimo­strato la Cgia di Mestre o l’Osservatorio dell’associazione XX mag­gio, que­sto seg­mento del quinto stato gua­da­gna in media poco più di 700 euro.
Su di loro grava il peso sia dell’Irpef che dell’Irap. Per­chè in Ita­lia chi ha una par­tita Iva viene trat­tato come se fosse un’azienda indi­vi­duale. Come una Fiat incar­nata nello sche­le­tro e nei nervi di chi gua­da­gna con il suo com­pu­ter, con­tratta una com­mit­tenza (sem­pre più magra, per la crisi) con il pub­blico o il pri­vato. E in più, que­sti «free­lance» — let­te­ral­mente, sol­dati di ven­tura in cerca di un ingag­gio o di un red­dito – devono pagare il 27,72% di con­tri­buti per una pen­sione che, con ogni pro­ba­bi­lità, non vedranno mai.
La gestione sepa­rata dell’Inps, infatti, non assi­cura né la tutela della mater­nità, né un’assistenza in caso di malat­tie gravi, come ad esem­pio il can­cro. Se que­sti auto­nomi si amma­lano, devono fare da sé. Come in tutti gli altri casi di lavoro inter­mit­tente, pre­ca­rio, infor­male che pro­li­fica in un paese dove il lavoro affonda in una zona gri­gia, sono privi di tutele sociali. E non pos­sono fare da sé: per­ché la loro «azienda», cioè se stessi, non prov­vede a sti­pu­lare assi­cu­ra­zioni. I soldi non ci sono.
Que­sta realtà del nuovo lavoro, alta­mente pre­ca­rio e costi­tu­ti­va­mente inter­mit­tente, non è stata cal­co­lata nelle age­vo­la­zioni fiscali pre­vi­ste da Renzi.
Senza con­tare che non ver­ranno con­tem­plati nem­meno da quel «Jobs Act», e dalla sua «riforma» degli ammor­tiz­za­tori sociali che riguarda solo 1 milione e 200 mila tra dipen­denti in cassa inte­gra­zione in deroga e col­la­bo­ra­tori a pro­getto. Nes­suno di que­sti apo­lidi del quinto stato per­ce­pire la «Naspi» per­ché non hanno una busta paga, e quindi non pos­sono dimo­strare di avere lavo­rato almeno tre mesi.
La «svolta buona» di Renzi non rende solo infi­nito il pre­ca­riato dei con­tratti a ter­mine can­cel­lando la «cau­sa­lità» del con­tratto, come ieri ha scritto Pier­gio­vanni Alleva su que­sto gior­nale, ma nega l’esistenza di un mondo che dovrebbe inte­res­sare uno come Renzi, se non per con­vin­zione, almeno per appar­te­nenza generazionale.
Niente di tutto que­sto, come ha denun­ciato ieri la pre­si­dente dell’Associazione dei Con­su­lenti del Ter­zia­rio Avan­zato, Anna Soru: «Si inter­viene solo per i dipen­denti, per­ché, come il sin­da­cato si arroga il diritto di rap­pre­sen­tarci, gli auto­nomi sono tutti eva­sori. Un’etichetta appli­cata som­ma­ria­mente a tutti gli auto­nomi, dimo­strando di non aver com­preso il nuovo lavoro auto­nomo è com­po­sto da pro­fes­sio­ni­sti che non hanno nes­suna pos­si­bi­lità di evasione».
L’allarme lan­ciato da Acta ha fun­zio­nato, sui social net­work è mon­tata l’opposizione, ieri i «quin­tari» erano in Tv, in radio, ovun­que. Alla mag­gio­ranza delle «pic­cole intese» che regge l’impresa ren­ziana ha preso un colpo. Il desi­de­rio del pre­mier di non irre­tire la Cgil che aveva annun­ciato uno scio­pero gene­rale per chie­dere il taglio dell’Irpef, e non dell’Irap, ha can­cel­lato l’interesse per un mondo cor­teg­giato dai ber­lu­sco­niani (che hanno in mente la vec­chia imma­gine del «popolo delle par­tite Iva», tutti impren­di­tori ram­panti).
Ange­lino Alfano (Ncd) ha cer­cato di ripa­rare annun­ciando il taglio dell’Irpef per le par­tite iva indi­vi­duali con un red­dito sotto la soglia pre­vi­sta, creando un’aliquota fissa del 10%, con la pos­si­bi­lità di forti sem­pli­fi­ca­zioni sul piano delle pro­ce­dure fiscali. Una solu­zione che non piace a Enrico Zanetti (Scelta Civica), sot­to­se­gre­ta­rio all’Economia, che invece pro­pone il taglio dell’Irpef solo alle par­tite Iva equi­pa­ra­bili ai para­su­bor­di­nati con 25 mila euro lordi. L’ipotesi del mon­tiano è stata respinta da Soru: «Ci equi­pa­rano al lavoro dipen­dente». Cesare Damiano (Pd), pre­si­dente della com­mis­sione lavoro alla Camera, ha riven­di­cato il blocco l’aumento dell’aliquota Inps fino al 33% impo­sta da Monti e chiede di ripor­tarla al 24% come per gli altri auto­nomi. Damiano ritiene neces­sa­rio inclu­dere anche loro nella riforma degli ammor­tiz­za­tori sociali.

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