A
volte, per comprendere ciò che ci accade intorno, occorre lasciare da
parte la cronaca e concentrarsi sull'analisi, tentando di rimettere
insieme i pezzi di un ragionamento. Una cosa che Contropiano si sforza
di fare quotidianamente. Qualche volta anche con l'aiuto di qualche
contributo esterno alla nostra redazione, come quello che pubblichiamo
qui di seguito. Che in controtendenza rispetto ai media mainstream non
sembra credere granché alla versione ufficiale sulla 'rivoluzione' a
Kiev e sulla responsabilità unanimemente attribuita alla Russia di Kiev
per quanto sta accadendo in Ucraina. A ben guardare, avverte
l'articolista, la Russia è parte offesa, e non può non rispondere ad un
vero e proprio accerchiamento.
*** *** ***
C’è
molto di cui preoccuparsi nella crisi che contrappone Mosca a Kiev a
cominciare da una “rivoluzione” che con maggiore equilibrio dovremmo
analizzare come il riuscito tentativo occidentale di strappare Kiev
dalla tradizionale influenza russa e portarla (o riportarla) verso
l’Unione Europea e la Nato. Nonostante la campagna mediatica che vede
ancora una volta allineati i grandi media occidentali e arabi (guarda
caso come accadde per le “rivoluzioni” in Egitto, Libia e Siria) sarebbe
da ingenui credere alla sollevazione di massa degli ucraini contro il
governo filo russo di Viktor Yanukovic. Anche perché di masse non se ne
sono proprio viste e molti reporter hanno riferito che a due isolati dal
Maidan non c’erano disordini e il resto del Paese era sostanzialmente
tranquillo.
Il nuovo governo ad interim rappresenta vari movimenti, dai filo
europeisti a filo-americani agli ultra-nazionalisti che hanno in comune
un solo aspetto: sono accreditati di qualche rappresentanza solo
nell’ovest del Paese non certo nelle aree abitate in maggioranza da
russi, russofoni e filo-russi. Anche la legittimazione parlamentare del
governo ad interim (ma non di tutti i parlamentari perché a decine gli
eletti nell’est filo russo hanno lasciato Kiev) è stata in molti casi
ottenuta con pressioni e violenze documentate dal ministro degli Esteri
estone. Il 28 febbraio Urmas Paet ha detto in una telefonata all’alto
commissario della UE per la politica estera, Catherine Ashton (nella
foto qui accanto), che a sparare sulla folla in piazza Maidan non sono
stati cecchini governativi ma dei ribelli, che tiravano su manifestanti e
poliziotti.
Una testimonianza importante per capire cosa stava accadendo a Kiev
in quei giorni, un “golpe” teso a cacciare Yanukovic accusandolo di aver
ordinato di far fuoco sulla folla. “È brutto sapere che la nuova
coalizione non voglia chiarire cosa sia successo esattamente. Esiste il
forte sospetto che dietro ai cecchini non ci fosse Yanukovich ma
qualcuno della nuova coalizione” si sente dire al ministro estone
nell’audio rivelato da USA Today anche se poi Paet, non senza imbarazzo,
ha cercato di minimizzare il significato delle sue stesse pariole.
L’aspetto imbarazzante è invece che nessuno Stato membro della Ue e
nessun organo di stampa abbia mosso critiche alla baronessa Ashton e
alla nomenklatura dell’Unione, per la censura posta su questa
testimonianza e su chissà quante altre informazioni circa la
“rivoluzione” di Maidan. Molti elementi confermano del resto come dietro
il rovesciamento del governo ucraino vi sia la stessa Ue e almeno
alcuni suoi importanti membri (Gran Bretgna, Germania e Polonia) oltre
agli Stati Uniti.
Paesi mossi probabilmente da interessi diversi ma convergenti, sia
strategici che economici. Il primo obiettivo conseguito è l’aver
menomato o forse compromesso il progetto di Vladimir Putin di costituire
con le repubbliche dell’ex Urss quell’Unione Euroasiatica considerata
un grande competitor dell’Occidente e del mondo arabo. Un grande blocco
di libero scambio economico e finanziario con oltre 230 milioni di
abitanti, ricchissimo di materie prime che dovrebbe venire varato nel
gennaio prossimo e di cui è certo non farà parte l’Ucraina con il suo
peso demografico ed economico. Sempre sul piano economico la
determinazione dei nuovi “padroni” di Kiev ad associarsi alla Ue
consentirà a chi ha capitali da investire (guarda un po’, soprattutto i
tedeschi) di mettere le mani sull’economia ucraina e soprattutto sui
distretti industriai acquistabili con poca spesa viste le condizioni
economiche del Paese. Certo gli apparati sono per lo più obsoleti ma gli
investimenti per il loro aggiornamento verrebbe compensato da
manodopera qualificata a basso costo e da un mercato di quasi 50 milioni
di persone che offrirebbe nuovo “spazio vitale” all’espansione
dell’economia tedesca sottraendolo alla Russia.
Come spiegare diversamente la generosità della Ue nei confronti di
Kiev? Possibile che in Europa nessuno si arrabbi per gli 11 miliardi di
euro promessi all’Ucraina (su 35 miliardi di dollari dichiarati
necessari da Kiev per il biennio 2014-15 per salvare la sua economia)?
Una cifra che in questi anni di austerity avrebbe aiutato le finanze
pubbliche di molti partner meridionali dell’Unione costretti a tasse e
spending review massacranti . “Bruxelles ha offerto 11 miliardi di
euro, faccio notare che sino a qualche settimana fa aveva offerto 175
milioni, ma se l’Europa avesse offerto il 20% di quella cifra per il
risanamento e lo sviluppo dell’area mediterranea, penso a Egitto, Libia,
Tunisia, avremmo avuto sicuramente meno turbolenze. Quindi voglio
vederci chiaro su questa proposta di Barroso” ha detto in un’intervista
il vice ministro degli Esteri italiano, Lapo Pistelli. E speriamo ci
faccia sapere quali chiarimenti otterrà da Bruxelles.
In termini strategici l’ipotesi che l’Ucraina entri nella NATO
rappresenta un incubo per Mosca. A chi ritiene che questa possibilità
non sia credibile vale la pena ricordare che, per non lasciare dubbi
circa gli obiettivi del nuovo governo ucraino, il partito Patria (filo
anglo-americano) guidato da Iulia Timoshenko ha depositato in Parlamento
un disegno di legge per l’adesione alla Nato la cui approvazione
sarebbe dirompente quanto l’annessione della Crimea alla Russia.
L’Alleanza Atlantica del resto non si è certo fatta pregare per
esprimere il pieno sostegno a Kiev e il rafforzamento della cooperazione
militare, assumendo così una posizione di netta contrapposizione nei
confronti di Mosca rafforzata dallo schieramento di forze aeree (F-16,
F-15 e Awacs) in Polonia e Repubblica Baltiche. Impossibile poi non
notare che l’adesione dell’Ucraina alla Nato consentirebbe agli
statunitensi di portare “scudi antimissile”, radar e sensori alle porte
di Mosca e se venisse rispettata l’integrità territoriale del Paese,
includendovi quindi la Crimea, i russi perderebbero le basi aeree e
navali di Sebastopoli, candidate in futuro ad essere utilizzate dalla
sesta Flotta statunitense che da tempo incrocia con regolarità nel Mar
Nero utilizzando i porti bulgari, turchi e rumeni. Un contesto che
priverebbe la Russia della profondità territoriale strategica e la
esporrebbe ulteriormente sul fronte meridionale già minacciato dai
movimenti jihadisti del Caucaso. Le basi in Crimea costituiscono inoltre
il trampolino per la proiezione strategica nel Mediterraneo, in Medio
Oriente e nell’Oceano Indiano e soprattutto garantiscono il sostegno al
regime siriano di Bashar Assad.
Quanto sta accadendo in Ucraina rappresenta un attacco diretto alla
Russia e non si tratta di fare il tifo per Kiev o Mosca o di decidere se
ci è più simpatica la treccia bionda della Timoshenko o il machismo
dello “zar” Putin. Meglio valutare attentamente qual è la posta in gioco
e come stiamo compromettendo la stabilità in Europa attaccando la
Russia e creando i presupposti per la destabilizzazione della
Bielorussia, il cui regime rappresenta l’ultimo alleato di Mosca in
Europa.
Difficile pensare che Putin accetti di perdere l’influenza
sull’Ucraina senza cercare quanto meno di contenere i danni garantendosi
il controllo della Crimea, forse delle province orientali ucraine in
gran parte filo-russe e con esse la possibilità di continuare a
destabilizzare Kiev. Certo con “l’operazione Maidan” gli Stati Uniti si
sono presi la rivincita dopo aver subito il protagonismo russo
rivelatosi vincente nelle crisi siriana e iraniana e Barack Obama può
oggi accusare Putin di “essere dalla parte sbagliata della storia”
mostrando così una sorpresa per la reazione militare russa in Crimea che
sembra essere comune a tutto l’Occidente.
Putin stupisce perché è fuori moda e nell’era della globalizzazione
utilizza un linguaggio arcaico, degno di un leader del secolo scorso.
Parla di “nazione” invece che di “mercato”, addirittura di “popolo”,
termine che nell’Occidente schierato dalla parte giusta della storia è
stato rimpiazzato da “società” grazie a dogmi politically correct quali
multiculturalismo e relativismo culturale che stanno cancellando le
identità. Putin osa persino difendere gli “interessi nazionali”,
concetto sostituito dalle nostre parti con il rapporto deficit/Pil.
Figuratevi se possiamo comprenderlo in un’Italia che da oltre due anni
lascia suoi militari prigionieri in India e accetta che i suoi governi
vengano nominati o legittimati da Bruxelles e da Berlino invece che
dagli elettori. Putin è talmente un “dinosauro“ che si ostina persino a
combattere l’islamismo al punto da essere oggi l’ultimo paladino della
cristianità. Incomprensibile a un’Occidente prono a imam e petrodollari
che supplica l’ultimo degli emiri a comprare in Europa aziende, squadre
di calcio ed intere città e in cambio di questi investimenti usa le sue
armi per portare i jihadisti a dominare Libia e Siria.
Sia chiaro, Putin non è certo un campione di democrazia ed è
probabile che tra le ragioni della reazione muscolare ai fatti di Kiev
vi sia anche il timore che sommosse di piazza di grandi dimensioni
raggiungano Mosca. Ma gli Stati Uniti, l’Europa e la Nato non hanno però
le carte in regola per fare i moralisti o accusare la Russia di violare
il diritto internazionale. L’Occidente invia contingenti militari a
combattere in Afghanistan, Malì, Iraq, Somalia e gli USA impiegano droni
e forze speciali per rapire e uccidere terroristi (e qualche civile) in
ogni parte del mondo ma i russi non hanno diritto di intervenire nel
loro giardino di casa per salvaguardare i suoi interessi e più di 10
milioni e più di connazionali che vivono in Ucraina? Con quale faccia
contestiamo il diritto della Crimea di staccarsi dall’Ucraina quando la
Nato ha bombardato la Serbia (all’epoca filo-russa) per occupare il
Kosovo, darlo agli albanesi e poi riconoscerlo come stato indipendente
benché per il diritto internazionale si trattasse di una provincia di
Belgrado?
Un’ipocrisia sottolineata anche negli Stati Uniti da Eugene Robertson
che sul Washington Post accusa la Casa Bianca di “retorica” e di
soffrire d’amnesia. “Prima dell’Iraq c’è stato l’Afghanistan, il Golfo
Persico, Panama e Grenada. E anche se condanniamo Mosca per la sua
oltraggiosa aggressione ci riserviamo il diritto di usare missili
mortali in Pakistan, in Yemen, in Somalia e chissà in quale altri
luoghi” scrive Robertson che pur non nasconde il suo sostegno a Kiev.
Anche se si eviterà una guerra questa crisi genererà una lunga
instabilità e la probabile frantumazione dell’Ucraina. Elementi che si
rifletteranno negativamente sull’Europa in termini di incertezza negli
approvvigionamenti energetici, costi finanziari e probabilmente anche in
termini di immigrati e profughi ucraini diretti all’ovest. Così gli
unici a trarre vantaggi dalla crisi saranno gli anglo-americani che
vedranno indebolirsi russi ed europei, loro rivali strategici ed
economici.
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