Alla fine, un accorato Berlusconi, abbandonate le vesti del prestigiatore, del re Mida capace di trasformare (a parole) il bronzo in oro, ha spiegato l’ineluttabilità della manovra del governo e dei tagli che vi sono contenuti raccontando una favoletta, il cui senso è tutto nella stupefacente espressione: «abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità», per cui «ora servono i sacrifici». Memorabile!
Una parte del Paese ha in effetti vissuto ben al di sopra delle risorse disponibili, drenandole appunto dal lavoro, saccheggiando lo stato sociale, buggerando il fisco e sequestrando vitali sostanze pubbliche, per poi presentare il conto, salatissimo, all’altra faccia del Paese, quella già derubata di lavoro, di reddito, di diritti e di futuro.
Non serve un grande sforzo di immaginazione per documentare queste affermazioni.Il governo sta per fare cassa mettendo un cappio al collo dei lavoratori pubblici i quali - in ragione del blocco contrattuale - lasceranno nelle mani del governo, mediamente, 1600 euro cadauno in tre anni. Contribuiranno alla salvezza nazionale anche i pensionati che andranno a riposo sei mesi più tardi, nonché tutti coloro i quali, una volta maturatone il diritto, percepiranno più tardi e a rate l’indennità di fine rapporto. Il resto del lavoro sporco viene poi subappaltato, per interposta istituzione, agli enti locali, che compenseranno con un taglio secco dei servizi e delle prestazioni sociali il mancato trasferimento di sei miliardi da parte dello Stato. Ebbene, queste misure vengono spacciate, urbi et orbi come necessità oggettive, soluzioni senza alternative per salvare la barca che fa acqua. Anche qui, la menzogna è marchiana. Nei provvedimenti non c’è neppure l’ombra di un prelievo sui grandi patrimoni, mentre l’annunciata lotta all’evasione fiscale si presenta come la “bufala” del secolo. Le migliaia di (potenziali?) evasori che figurano nella lista Falciani (in gran parte imprenditori, signora Marcegaglia, e in gran parte lombardi, ministro Bossi), titolari di conti per 7 miliardi di dollari, custoditi nei forzieri svizzeri, potranno dormire tranquilli se avranno a suo tempo utilizzato lo scudo fiscale ideato dal ministro Tremonti. E che dire dei Grand Commis di Stato, cui non viene chiesto di rinunciare ad un soldo (ne parliamo a pagina 4) delle laute, opache prebende che remunerano le loro molteplici “attività”?
In questi giorni, alcune inchieste del giornalismo televisivo hanno rivelato che le “autoblu” in dotazione alla politica superano abbondantemente le seicentomila, quasi dieci volte quante ve ne sono negli Stati Uniti, per una spesa complessiva di circa 20 miliardi, un importo quasi equivalente a quello dell’intera manovra correttiva. Non se n’era accorto il sedicente moralizzatore della vita pubblica, quel ministro Brunetta che va millantando inesistenti crediti nella efficientizzazione dell’amministrazione dello Stato e che soltanto oggi ha annunciato un censimento per accertare lo stato delle cose?
Ieri si è svolta anche l’assemblea annuale di Confindustria, quella del centenario, occasione di una esibizione muscolare della presidentessa della maggiore organizzazione imprenditoriale del Paese. Emma Marcegaglia e i suoi hanno incassato volentieri un pacchetto di provvedimenti che ai padroni non chiede assolutamente nulla, tanto meno sul fronte della difesa dell’occupazione. L’idea di un blocco salariale e di una ennesima sforbiciata sul welfare è, da sempre, musica per le orecchie di lor signori. E se di qualcosa costoro si lamentano è che quelle misure siano prevalentemente transitorie, piuttosto che strutturali. Essi vorrebbero che la competitività delle imprese si alimentasse essenzialmente di un regime di ancor più bassi salari, trascurando persino il fatto che, così facendo, la domanda, non più trainata dal mercato interno, è condannata a ristagnare, deprimendo la produzione stessa e affossando qualsiasi prospettiva di ripresa. Su tutto prevale, nel padronato nostrano, l’istinto corporativo, anzi: bottegaio. Altro che classe dirigente nazionale.Di fronte a questa spettacolare esibizione di ingiustizia, protervia, inettitudine, spreco è condizione irrinunciabile dispiegare la più estesa, durevole mobilitazione sociale. Che per riscuotere il necessario consenso deve poggiare su una credibile piattaforma alternativa, non su qualche estemporaneo palliativo. Ci sono tutte le condizioni per costruire questa proposta, che emerge quasi da sé dal bilancio dello Stato, dai rapporti dell’Istat sulla distribuzione della ricchezza, o dai dati che la Corte dei Conti e l’Agenzia delle Entrate mettono periodicamente a nostra disposizione. Ecco un cimento nel quale la Federazione della Sinistra può trovare contributi importanti, stringere legami di solidarietà, tessere alleanze che prefigurano un campo di forze impegnate a praticare nella crisi il cambiamento, anziché soltanto auspicarlo.
Una parte del Paese ha in effetti vissuto ben al di sopra delle risorse disponibili, drenandole appunto dal lavoro, saccheggiando lo stato sociale, buggerando il fisco e sequestrando vitali sostanze pubbliche, per poi presentare il conto, salatissimo, all’altra faccia del Paese, quella già derubata di lavoro, di reddito, di diritti e di futuro.
Non serve un grande sforzo di immaginazione per documentare queste affermazioni.Il governo sta per fare cassa mettendo un cappio al collo dei lavoratori pubblici i quali - in ragione del blocco contrattuale - lasceranno nelle mani del governo, mediamente, 1600 euro cadauno in tre anni. Contribuiranno alla salvezza nazionale anche i pensionati che andranno a riposo sei mesi più tardi, nonché tutti coloro i quali, una volta maturatone il diritto, percepiranno più tardi e a rate l’indennità di fine rapporto. Il resto del lavoro sporco viene poi subappaltato, per interposta istituzione, agli enti locali, che compenseranno con un taglio secco dei servizi e delle prestazioni sociali il mancato trasferimento di sei miliardi da parte dello Stato. Ebbene, queste misure vengono spacciate, urbi et orbi come necessità oggettive, soluzioni senza alternative per salvare la barca che fa acqua. Anche qui, la menzogna è marchiana. Nei provvedimenti non c’è neppure l’ombra di un prelievo sui grandi patrimoni, mentre l’annunciata lotta all’evasione fiscale si presenta come la “bufala” del secolo. Le migliaia di (potenziali?) evasori che figurano nella lista Falciani (in gran parte imprenditori, signora Marcegaglia, e in gran parte lombardi, ministro Bossi), titolari di conti per 7 miliardi di dollari, custoditi nei forzieri svizzeri, potranno dormire tranquilli se avranno a suo tempo utilizzato lo scudo fiscale ideato dal ministro Tremonti. E che dire dei Grand Commis di Stato, cui non viene chiesto di rinunciare ad un soldo (ne parliamo a pagina 4) delle laute, opache prebende che remunerano le loro molteplici “attività”?
In questi giorni, alcune inchieste del giornalismo televisivo hanno rivelato che le “autoblu” in dotazione alla politica superano abbondantemente le seicentomila, quasi dieci volte quante ve ne sono negli Stati Uniti, per una spesa complessiva di circa 20 miliardi, un importo quasi equivalente a quello dell’intera manovra correttiva. Non se n’era accorto il sedicente moralizzatore della vita pubblica, quel ministro Brunetta che va millantando inesistenti crediti nella efficientizzazione dell’amministrazione dello Stato e che soltanto oggi ha annunciato un censimento per accertare lo stato delle cose?
Ieri si è svolta anche l’assemblea annuale di Confindustria, quella del centenario, occasione di una esibizione muscolare della presidentessa della maggiore organizzazione imprenditoriale del Paese. Emma Marcegaglia e i suoi hanno incassato volentieri un pacchetto di provvedimenti che ai padroni non chiede assolutamente nulla, tanto meno sul fronte della difesa dell’occupazione. L’idea di un blocco salariale e di una ennesima sforbiciata sul welfare è, da sempre, musica per le orecchie di lor signori. E se di qualcosa costoro si lamentano è che quelle misure siano prevalentemente transitorie, piuttosto che strutturali. Essi vorrebbero che la competitività delle imprese si alimentasse essenzialmente di un regime di ancor più bassi salari, trascurando persino il fatto che, così facendo, la domanda, non più trainata dal mercato interno, è condannata a ristagnare, deprimendo la produzione stessa e affossando qualsiasi prospettiva di ripresa. Su tutto prevale, nel padronato nostrano, l’istinto corporativo, anzi: bottegaio. Altro che classe dirigente nazionale.Di fronte a questa spettacolare esibizione di ingiustizia, protervia, inettitudine, spreco è condizione irrinunciabile dispiegare la più estesa, durevole mobilitazione sociale. Che per riscuotere il necessario consenso deve poggiare su una credibile piattaforma alternativa, non su qualche estemporaneo palliativo. Ci sono tutte le condizioni per costruire questa proposta, che emerge quasi da sé dal bilancio dello Stato, dai rapporti dell’Istat sulla distribuzione della ricchezza, o dai dati che la Corte dei Conti e l’Agenzia delle Entrate mettono periodicamente a nostra disposizione. Ecco un cimento nel quale la Federazione della Sinistra può trovare contributi importanti, stringere legami di solidarietà, tessere alleanze che prefigurano un campo di forze impegnate a praticare nella crisi il cambiamento, anziché soltanto auspicarlo.
di Dino Greco
su Liberazione del 28/05/2010
su Liberazione del 28/05/2010
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