martedì 18 maggio 2010

Un piano contro il lavoro

Il governo italiano si appresta a varare un piano “anticrisi” - così è ipocritamente definito - intorno ai 30 miliardi di euro. Basta un esame sommario dei provvedimenti in gestazione per comprenderne il carattere violentemente antipopolare, destinato a compromettere ulteriormente il reddito dei lavoratori italiani e una domanda già stagnante. Negli anni novanta le manovre di contenimento della spesa sociale venivano varate nel nome della costruzione europea. Ora vengono rieditate nel nome della lotta alla speculazione. C’è sempre un “vincolo” esterno che viene evocato per infliggere nuovi colpi a ciò che resta del welfare e per peggiorare la ripartizione del reddito già pesantemente sperequata a sfavore del lavoro e a vantaggio del profitto e della rendita. C’è qualcosa di odiosamente paradossale in tutto questo: nell’ultimo decennio del secolo scorso, le manovre “lacrime e sangue” venivano giustificate spiegando che esse avrebbero rappresentato un investimento sul futuro di ognuno, un futuro radioso che solo il neoliberismo avrebbe potuto garantire. Oggi, l’imposizione dei sacrifici è il risultato del fallimento di quel liberismo medesimo del quale si prova a rabberciare la coperta sdrucita. Come? Facendone pagare il conto alle popolazioni e, in particolare, ai lavoratori a reddito fisso. Gli untori si trasformano in terapeuti. Ma somigliano, sempre più, alla volpe e al gatto della favola di Collodi. Le sole invenzioni escogitate dal governo di questi manigoldi sono un nuovo ritardo sull’uscita verso la pensione di chi ne ha già maturato i rerquisiti, il ritardo nella corresponsione delle liquidazioni, la sospensione delle erogazioni salariali frutto della contrattazione collettiva, il rinvio dei rinnovi contrattuali del pubblico impiego, il blocco del turn over nello Stato. Tutto per fare cassa. E poiché non c’è ritegno, persino il ricorso ad un nuovo condono edilizio figura fra le ipotesi in campo. Rimarrebbe deluso chi cercasse di scovare, fra le misure emergenziali, un solo brandello di equità. Per esempio, un prelievo sui grandi patrimoni, sulle grandi ricchezze; o una tassazione sulle rendite finanziarie. O ancora, in chiave di riduzione della spesa, un taglio delle spese militari in crescita continua, il ritiro del contingente italiano in Afghanistan; una sforbiciata sugli sprechi - quelli reali - che ammorbano la pubblica amministrazione (si pensi al fatto che il parco di “autoblu” in dotazione alla politica è in Italia di dieci superiore a quello degli Stati Uniti); la ricostruzione di una rete sanitaria pubblica, devastata dagli accreditamenti ai privati, che hanno fatto lievitare i costi e peggiorare la qualità del servizio ai cittadini. Questo e molto altro ancora è del tutto estraneo alla cultura di governo, da oltre venti anni a questa parte.
Mentre ora Berlusconi chiama ai sacrifici a senso unico per fronteggiare l’emergenza (ma la crisi non era alle spalle e chi si attardava a parlarne con preoccupazione un mestatore?), il Pd lancia la proposta di nuove formule governative per gestire consensualmente la medesima stretta monetarista, come ognuno può vedere, persino più rigida di quella che a Maastricht ha segnato la distruzione dello stato sociale e il declino dell’Europa. E’ indispensabile, ora, subito, una risposta sociale cui sono chiamati i sindacati a sostegno di una proposta di misure alternative alla cui formulazione proveremo anche noi a dare un contributo.


di Dino Greco
su Liberazione del 18/05/2010




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