«I potenti odiano i proletari e l'odio deve essere ricambiato». Perciò, sostiene Edoardo Sanguineti, bisogna «restaurare l'odio di classe», per contrastare l'oblìo di sé in cui la classe operaia, «inibita da una cultura dominata dalla tv», è immersa.
"Dimenticato" al pronto soccorso, è morto Sanguineti, il sovversivo del linguaggio
Dietro quel suo volto magro, "sorretto" sempre da una giacca e una cravatta, si celava una delle figure chiave della cultura italiana del secolo scorso e di questo scorcio di millennio. Edoardo Sanguineti è stato davvero una figura decisiva, una "figura intensa", un intellettuale totale.
E' stato un poeta. A trent'anni, lui genovese di nascita e fiero appartenente a quella comunità, già era uno dei teorici del "Gruppo 63". Forse una delle più trasgressive manifestazioni dell'avanguardia letteraria degli anni sessanta. Anzi, della neoavanguardia. Che si distaccò dal surrealismo soprattutto per "razionalizzare il paludoso linguaggio dell'avanguardia europea del primo mezzo secolo del '900", per usare le parole di Angelo Guglielmi.
Poeta, allora. Ma poeta sui generis. Perché la sua fu sempre, e da subito, poesia politica. Versi, canti, parole - e perché no?, anche suoni - che narravano, raccontavano, suscitavano emozioni legate alle "vicende umane". Fin dalle prime raccolte, Laborintus - del '56 - passando per il Catamerone, Sanguineti ha sempre provato a sperimentare nuovi linguaggi, convinto della necessità che l'"avanguardia non possa essere un'arte da museo". Ma anche il linguaggio dovesse diventare uno strumento per sovvertire.
Poeta, allora. E poi narratore. E anche qui, Sanguineti si mostra rivoluzionario. Smontando il vecchio modo di narrare e ricomponendolo in nuove forme. Se ci si pensa, utilizzando nella narrazione il metodo che il jazz aveva adottato nella musica. Per tutti, basti ricordare "Capriccio italiano", costruito su centoundici capitoli. Brevi, brevissimi, frammentati. Scritti utilizzando quella che si chiama "una lingua bassa", di uso quotidiano. Portando i contenuti delle avanguardie ad un pubblico vastissimo.E ancora. Sanguineti è stato critico, professore, saggista. Nel "Chierico organico", del 2000, scrive col suo angolo di visuale, la storia della letteratura italiana. Ma anche qui, sottesa a quell'enorme lavoro, c'è un'idea di fondo, un'ispirazione. C'è una tesi: l'idea che l'intellettuale, anche se inconsapevole, è comunque organico ad un gruppo sociale, l'idea che un intellettuale - consapevole o meno - scrive, dipinge o narra per rappresentare una realtà. Sanguineti, insomma, fa sua la definizione gramsciana di "intellettuale organico".
E poi gli studi danteschi e poi le rubriche sui settimanali, poi l'antologia di poesia italiana. E poi la sua attività di consigliere comunale del Pci a Genova, alla fine degli anni 70. di deputato comunista. Addirittura di attore. Edoardo Sanguineti, insomma, è stato un sovversivo a tutto campo. Ieri se n'è andato.
Dietro quel suo volto magro, "sorretto" sempre da una giacca e una cravatta, si celava una delle figure chiave della cultura italiana del secolo scorso e di questo scorcio di millennio. Edoardo Sanguineti è stato davvero una figura decisiva, una "figura intensa", un intellettuale totale.
E' stato un poeta. A trent'anni, lui genovese di nascita e fiero appartenente a quella comunità, già era uno dei teorici del "Gruppo 63". Forse una delle più trasgressive manifestazioni dell'avanguardia letteraria degli anni sessanta. Anzi, della neoavanguardia. Che si distaccò dal surrealismo soprattutto per "razionalizzare il paludoso linguaggio dell'avanguardia europea del primo mezzo secolo del '900", per usare le parole di Angelo Guglielmi.
Poeta, allora. Ma poeta sui generis. Perché la sua fu sempre, e da subito, poesia politica. Versi, canti, parole - e perché no?, anche suoni - che narravano, raccontavano, suscitavano emozioni legate alle "vicende umane". Fin dalle prime raccolte, Laborintus - del '56 - passando per il Catamerone, Sanguineti ha sempre provato a sperimentare nuovi linguaggi, convinto della necessità che l'"avanguardia non possa essere un'arte da museo". Ma anche il linguaggio dovesse diventare uno strumento per sovvertire.
Poeta, allora. E poi narratore. E anche qui, Sanguineti si mostra rivoluzionario. Smontando il vecchio modo di narrare e ricomponendolo in nuove forme. Se ci si pensa, utilizzando nella narrazione il metodo che il jazz aveva adottato nella musica. Per tutti, basti ricordare "Capriccio italiano", costruito su centoundici capitoli. Brevi, brevissimi, frammentati. Scritti utilizzando quella che si chiama "una lingua bassa", di uso quotidiano. Portando i contenuti delle avanguardie ad un pubblico vastissimo.E ancora. Sanguineti è stato critico, professore, saggista. Nel "Chierico organico", del 2000, scrive col suo angolo di visuale, la storia della letteratura italiana. Ma anche qui, sottesa a quell'enorme lavoro, c'è un'idea di fondo, un'ispirazione. C'è una tesi: l'idea che l'intellettuale, anche se inconsapevole, è comunque organico ad un gruppo sociale, l'idea che un intellettuale - consapevole o meno - scrive, dipinge o narra per rappresentare una realtà. Sanguineti, insomma, fa sua la definizione gramsciana di "intellettuale organico".
E poi gli studi danteschi e poi le rubriche sui settimanali, poi l'antologia di poesia italiana. E poi la sua attività di consigliere comunale del Pci a Genova, alla fine degli anni 70. di deputato comunista. Addirittura di attore. Edoardo Sanguineti, insomma, è stato un sovversivo a tutto campo. Ieri se n'è andato.
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