La crisi economica sta mostrando la sua profondità. Nata dal centro del sistema, la finanza statunitense, si è propagata e ha fatto emergere la fragilità dell' "economia reale" sulla quale si era costruita la bolla speculativa. Una economia la cui "realtà" coincide con l'astrattezza della massimizzazione del profitto. L'illusione finanziaria che il denaro crei magicamente altro denaro è solo il passo conseguente. Questa ricerca di sempre maggiori profitti, e la sovrapproduzione che ne deriva, hanno portato non solo alla crisi, ma anche all'esaurimento delle risorse e l'enorme incremento delle emissioni nell'ambiente. Se non vengono intraprese misure immediate, le conseguenze dell'effetto serra saranno tragiche. Ma le azioni dei governi che vengono (o vorrebbero essere) intraprese si scontrano con un limite difficile da superare nei profitti delle lobby energetiche e nei profitti che si possono ricavare dalla "green economy".La necessità di rispondere in tempi rapidi alle richieste dell'economia basata sul profitto privato, di contenere il conflitto sociale, ha reso i già inadeguati strumenti della democrazia rappresentativa un intralcio. Oggi infatti è l'idea stessa di rappresentanza ad essere in crisi. In Italia ne sono segnali i tentativi di rafforzamento dell'esecutivo così come l'enorme scollamento che c'è sulla questione della privatizzazione dell'acqua, tra un parlamento favorevole nella sua totalità ed una opinione pubblica in maggioranza contraria.In Italia la privatizzazione di tutto ciò che era a gestione pubblica ha trasformato gli amministratori in ‘sceriffi'. Il razzismo e le politiche securitarie sono insieme uno strumento di divisione del conflitto e riduzione della democrazia.Una delle risposte a questa crisi è quella della ricostruzione di una sfera pubblica gestita collettivamente, come garante dell'interesse generale. Lottare alla costruzione di questo spazio per garantire a tutte e tutti, migranti e nativi, i diritti inviolabili non è diverso da lottare contro questa crisi. Anzi, contribuisce a dare un orizzonte comune ai soggetti che subiscono la crisi, a costruire quei legami sociali rotti dalla solitudine competitiva.La crisi ambientale, inoltre, rende non più rinviabile una radicale trasformazione del modello produttivo ed energetico, attraverso una nuova pianificazione, democratica e partecipativa. Occorre passare dal consumo critico alla critica della produzione. Ogni singola vertenza, comprese quelle per la difesa del posto di lavoro, va affrontata nell'ottica di una critica della produzione che tenga insieme l'elemento della giustizia economica, l'ambiente e la questione di chi decide cosa e come produrre.Da questo punto di vista la battaglia per l'acqua può essere la traccia di una riappropriazione che tenga insieme l'idea del rovesciamento del sistema economico con la salvaguardia del pianeta e l'apertura di spazi democratici più ampi di quelli della rappresentanza parlamentare. In un mondo in cui noi non decidiamo nulla ripartiamo dal riappropriarci di ciò che ci appartiene. Compreso il diritto a decidere.
di Fabrizio Valli e Fabio Ruggiero, Attac Italia
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