venerdì 21 maggio 2010

La finta lotta all'evasione

L’accanimento con il quale il governo prova a cancellare l’uso giudiziario delle intercettazioni e ad ammutolire la libera stampa nell’esercizio del diritto di informazione è sì l’ultimo violento scossone inferto all’edificio costituzionale, bombardato nel suo architrave portante ed ormai a rischio di cedimento strutturale, ma rappresenta, allo stesso tempo, la più plateale confessione di quanto la cricca malavitosa che le cronache giudiziarie hanno portato alla ribalta non sia l’escrescenza patologica di un corpo nella sua sostanza sano, ma la nervatura stessa del potere politico costituito.
La brama di nascondere le porcherie sotto il tappeto, mettendo in sicurezza quel sordido groviglio di interessi, rivela la compromissione organica, dunque fisiologica, di un sistema che non può essere emendato, depurato, senza smarrire la sua stessa ragion d’essere.
Tutto ciò diventa ogni giorno più evidente. E c’è da sperare che la realtà delle cose riesca finalmente a far breccia anche nel perdurante ottundimento critico che impedisce a tanta gente, pur estranea e persino vittima di questo clima degenerato, di comprenderne origine e responsabilità.
Si può così capire, ad esempio, con quale improntitudine il ministro Tremonti abbia potuto annunciare, fra le misure anticrisi, una dura lotta ai «veri evasori», considerato che proprio i più spudorati manigoldi sono stati graziati dallo “scudo fiscale” che ne ha remunerato gli sporchi profitti e protetto l’identità. Giusto ieri, il Sole 24Ore spiegava limpidamente come gli accertamenti fiscali che potrebbero derivare dall’analisi dei conti correnti contenuti nella “lista svizzera” (quella che l’informatico trentottenne Harvè Feliciani ha consegnato alla nostra Guardia di Finanza e che la Procura di Torino sta cercando di ottenere con formale procedura di rogatoria internazionale) «potrebbero trovare un ostacolo nell’operazione “scudo fiscale” che si è chiusa il 30 aprile». Questo significa che se fra i titolari di quei conti si annidano - come è più certo che probabile - degli evasori e se questi si sono avvalsi del vergognoso riciclaggio di Stato loro concesso dal governo italiano, potranno farla franca e vedere estinte le violazioni tributarie e penali di cui si sono macchiati.
Semplicemente, l’evasione fiscale, che cresce inesorabilmente di anno in anno, non troverà nell’azione dell’esecutivo alcun freno, come non ne ha trovato il lavoro nero, celebrato dal ministro Brunetta come un formidabile ammortizzatore sociale.
I cento sindaci che ieri hanno clamorosamente protestato sdraiandosi per terra in piazza della Signoria, a Firenze, per protestare contro il dissanguamento delle finanze degli enti locali e per chiedere un allentamento dei vincoli di bilancio, non avranno risposta. A meno che non si intenda per tale la prima rata del federalismo, quello demaniale, che comporterà, né più né meno, una colossale svendita dei beni dello Stato, dei beni pubblici, cui i comuni saranno costretti nell’impossibilità di garantirne la manutenzione o, semplicemente, e malgrado le assicurazioni in senso contrario, per pagarsi i debiti. Si darà la stura ad un nuovo, gigantesco trasferimento della proprietà pubblica verso quella privata, si favorirà ogni sorta di speculazione, di intreccio corruttivo fra politica e affari, di inquinamento malavitoso, di ulteriore arricchimento dei grandi detentori di liquidità, di proliferazione delle mafie le quali - spossessato il demanio - potranno governare su aree ancor più estese del territorio nazionale. Come è facile arguire, decentramento dei poteri e valorizzazione delle autonomie non c’entrano nulla, perché queste misure ne sono l’esatto opposto. Con buona pace dell’Italia dei Valori la cui (sempre più tiepida) cultura della legalità scivola su un terreno assai viscido e cede il passo a più antiche e collaudate seduzioni privatistiche.



Dino Greco, Liberazione 21.05.2010

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