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Il secondo punto che occorre sottolineare è che la Banca Centrale Europea si comporta esattamente come se fosse una banca privata e quindi - sino ad ora - è entrata solo marginalmente nella partita. Come ha ben spiegato ieri Luigi Vinci, la Bce potrebbe invece entrare direttamente nella partita comprando i titoli pubblici degli stati membri in barba alla speculazione del mercato e per questa via renderla del tutto inefficace. Ovviamente, per fare questo sarebbe necessari rovesciare l’impostazione di politica economica che ha presieduto alla creazione della moneta unica, mettendo in discussione Maastricht, l’indipendenza della Bce e il suo ruolo. Questo significa due cose: in primo luogo, dati gli assetti di potere e le attuali ideologie che permeano i governi europei – tanto di centrodestra come di centrosinistra – non è pensabile che in tempi brevi vi sia una azione riformatrice che affronti la crisi facendola pagare alla finanza e alle banche invece che ai lavoratori. In secondo luogo, la vicenda greca è destinata a ripetersi. L’attacco ai lavoratori, in nome della stabilità finanziaria di stati che vengono terremotati dagli speculatori, lasciati liberi di agire da quegli stessi stati, continuerà e si estenderà ad altri paesi.Di fronte a questa situazione pesantissima occorre ricominciare a chiamare le cose con il loro nome: quanto sta succedendo non è un incidente di percorso ma bensì la massima espressione del capitalismo per quello che è oggi e cioè un capitalismo integralmente finanziarizzato. Noi comunisti dobbiamo fare due cose: in primo luogo, riprendere una seria critica dell’economia politica e cioè disvelare come dietro la presunta neutralità della crisi attuale si nasconda in realtà un gigantesco trasferimento di risorse e di potere dal lavoro al capitale. In secondo luogo, dire con chiarezza che la soluzione c’è ed è che l’economia deve rientrare nell’alveo delle scelte democraticamente decise dalle popolazioni. Ci serve quindi un di più di anticapitalismo per uscire dalla crisi, non un di più di moderazione. Questo comporta che si scelga decisamente la strada dell’intervento pubblico in economia, mettere la mordacchia alla finanza trasformare la Bce in una banca centrale sottoposta al potere politico, modificare i parametri di Maastricht e definire una politica europea finalizzata alla riduzione dell’orario di lavoro e alla riconversione ambientale e sociale dell’economia. Questo significa “forzare la globalizzazione neoliberista che è all’origine della crisi e non può certo rappresentasse la soluzione.
Questi temi fino a prima della crisi potevano apparire tutt’al più come esercizi intellettuali. Oggi, dentro la crisi, non più. Essi costituiscono i punti centrali e determinanti di una forza politica comunista per poter far politica e collegare in modo credibile le lotte di resistenza con la prospettiva. Il senso di una formazione comunista dentro la crisi del capitale è proprio questo: demistificare, costruire il conflitto e proporre l’alternativa di società. Attorno e non al posto di questo nucleo centrale vanno costruite alleanze e convergenze. Anche per questo lavoriamo per costruire il massimo di attenzione e solidarietà verso la lotta delle lavoratrici e dei lavoratori greci e chiediamo alla Cgil di dichiarare lo sciopero generale: se non ora quando?
di Paolo Ferrero
su Liberazione del 09/05/2010
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