L'attacco alla periferia debole di Eurolandia appare come un tentativo di indebolire, disarticolandola, l'area euro, in funzione di una difesa degli Usa come centro finanziario mondiale, e può avere solo due sbocchi. O una accelerazione della Ue verso una integrazione politica o uno sfaldamento dell'area euro stessa
Il piano di aiuti alla Grecia varato dalla Ue non sembra avere raggiunto i suoi obiettivi, cioè la messa in sicurezza dell'euro. L'euro è crollato sotto l'1,30 contro il dollaro, mentre, come titolano i quotidiani oggi in prima pagina, l'effetto contagio si estenderebbe alla Spagna. Si tratta un Paese molto più grande e importante, le cui difficoltà possono avere un impatto molto più pesante sull'area euro della piccola Grecia.
1. La crisi dell'economia è alla base della crisi del debito sovrano. La crisi di sovraccumulazione di capitale e merci, manifestatasi nel 2008 come crisi finanziaria, ha cambiato faccia e si presenta nella forma di crisi del debito statale, ovvero sotto forma di crescita incontrollata del debito e del deficit pubblico, che è aumentato mediamente dal 2,2% del 2007 al 10,1% di fine 2009. Questo perché lo Stato, come ha sempre fatto dinanzi ai fallimenti del mercato autoregolato, è dovuto correre al salvataggio di imprese e banche. Gli aiuti di Stato al settore bancario hanno superato i 14mila miliardi di dollari, una cifra, pari a un quarto del Pil mondiale, che non ha paragoni nella storia. Tutto questo allo scopo di evitare un collasso generalizzato del modo di produzione. Tuttavia, la crisi non è risolta, come provano i 50 milioni di disoccupati in più a livello mondiale nel 2009. Inoltre, la riduzione del costo del denaro e la massa di liquidità statale immessa nel sistema finanziario hanno scatenato una nuova speculazione verso le materie prime e soprattutto verso i titoli del debito pubblico e le valute.
La crisi attuale, dunque, ingigantisce il debito e rende più difficile finanziarlo a causa della stagnazione dell'economia, che riduce il gettito fiscale dello Stato. Di conseguenza, gli Stati che hanno una struttura produttiva più fragile sono percepiti dai mercati finanziari come cattivi creditori, e hanno difficoltà a collocare sul mercato titoli del debito pubblico, se non a costi (rendimenti) più alti. In questo modo, tali stati hanno difficoltà non solo a finanziare il nuovo debito ma anche gli interessi su quello pregresso, con il rischio di andare in bancarotta. È quanto sta accadendo ai paesi della periferia dell'area euro. Si tratta di Paesi, come la Grecia, il Portogallo, e la Spagna, con una struttura industriale più fragile di quella dei paesi centrali della Ue e che spesso hanno seguito il modello Usa di crescita basato sull'indebitamento delle famiglie, come la Spagna (l'85% del Pil contro il 40% dell'Italia). La Grecia si è affidata all'uso di derivati, assecondando il consiglio di due grandi banche Usa, tra cui Goldman Sachs, allo scopo di evitare di ascrivere i finanziamenti nel debito. Allorché il trucco contabile è venuto fuori, il debito ed il deficit sono schizzati in alto, e il mercato ha costretto la Grecia ad offrire rendimenti più alti per collocare il suo debito pubblico. Il rischio, ora, sembrerebbe essere quello del fallimento della Grecia e degli altri paesi della fascia periferica dell'euro. Tutto questo ha scatenato, dall'inizio del 2010 una campagna massmediatica secondo cui sarebbe a rischio, insieme alla permanenza nell'euro della Grecia e forse di altri paesi, l'esistenza stessa della moneta unica europea.
2. Speculazione finanziaria e interessi statali .Usa contro l'euroTuttavia, in questa posizione c'è qualcosa che non torna. La Grecia ha un debito pubblico molto alto, ma, se si guarda al debito totale, si vede che questo è molto al di sotto della media europea. Inoltre, mentre i mercati finanziari hanno preso di mira la Grecia e il Portogallo, la situazione di altri Stati, che sono in una situazione non migliore, sembra essere passata del tutto sotto silenzio. Tra questi, oltre alla Gran Bretagna, con i più alti indebitamenti mondiali della finanza (202% del Pil) e delle famiglie (101%), ci sono soprattutto gli Usa, che, con un debito pubblico del 100%, un deficit dell'11% e il secondo indebitamento mondiale delle famiglie (96%), sono lo stato complessivamente più indebitato al mondo.
Significativamente il Financial Times ha scritto, a proposito dell'investimento in titoli di stato Usa, che "Il debito Usa è un riparo sicuro allo stesso modo in cui era considerato un porto sicuro Pearl Harbour nel 1941." A ciò è da aggiungere che, se la Grecia ha truccato i conti, gli Usa non sono certo trasparenti. Ad esempio, al debito contabilizzato, si dovrebbe aggiungere la statizzazione dei mutui assicurati da Fannie Mae e Freddie Mac, che farebbero lievitare il debito al 140%. Inoltre, secondo l'Ufficio del Bilancio del Parlamento statunitense, il debito Usa sarebbe molto più grande (400%), perché dalla sua contabilizzazione vengono sottratte spese molto importanti, come le pensioni dei reduci di guerra e gran parte delle spese sanitarie. Infine, l'impatto del debito degli Usa sull'economia e sui mercati finanziari mondiali dovrebbe essere molto superiore a quello della Grecia, visto che, in termini assoluti, sta a quello della Grecia come un elefante sta a una formica.
Dunque, perché la Gran Bretagna e gli Usa non sono stati presi di mira al contrario della piccola Grecia? In primo luogo, perché gli Usa dispongono del dollaro, che, in virtù della loro potenza militare e politica, è la valuta di scambio e di riserva internazionale. Grazie a questa, i loro titoli del debito pubblico sono acquistati dai paesi con un grande surplus commerciale, soprattutto dalla Cina, per garantirsi riserve utili a stabilizzare le loro valute. In pratica, gli Usa hanno affrontato la crisi stampando continuamente moneta. Ciò nel breve periodo può funzionare, alla lunga è molto più difficile che tenga. Negli Usa i tassi d'interesse prossimi allo zero per cento, la profonda crisi ancora irrisolta, e l'enorme indebitamento hanno determinato un forte indebolimento del dollaro. Il problema è che l'indebolimento del dollaro mette a dura prova la capacità degli Usa di attrarre risparmio dall'estero e finanziare il loro debito, proprio nel momento in cui ne hanno più bisogno degli altri. Infatti, nel 2009 la Cina acquistò solo il 4,6% dei nuovi titoli di Stato Usa, molto meno del 20,2% del 2008 e del 47,4% del 2006, con una flessione a novembre 2009 rispetto a luglio. Nello stesso tempo in cui gli Usa faticavano a collocare i loro titoli di stato, l'euro continuava la sua corsa fino a raggiungere la quotazione di 1,50 contro il dollaro. È in questo quadro che si è inserita la crisi del debito sovrano della Grecia. Il dollaro si è ripreso rapidamente sull'euro, che dall'inizio di febbraio, cioè da quando la questione del debito greco è scoppiata, è sceso fino a 1,32 sul dollaro e ora sotto 1,30.
La crisi greca ha così indebolito l'euro e gettato un dubbio sulla tenuta dell'unica valuta che può ambire a sostituire o affiancare il biglietto verde Usa. Di fatto, se non intenzionalmente, c'è stata una convergenza tra gli interessi statali Usa e quelli della speculazione finanziaria internazionale. Quest'ultima, attraverso il carry trade, guadagna, scommettendo e incentivandola, sulla variabilità delle differenze dei cambi valutari, e, infatti, i margini di guadagno degli hedge fund sono stati enormi. La situazione attuale ricorda molto da vicino l'attacco dei mercati finanziari alle valute dell'Asia Sud Orientale negli anni ‘90, che devastò le economie di quei Paesi, permettendo agli Usa di scaricarvi la loro crisi. E anche oggi, come allora, emerge il ruolo centrale di personaggi come Soros. È da notare, poi, che i mercati finanziari e le agenzie di rating che valutano l'affidabilità del debito pubblico dei vari paesi hanno sede e sono in gran parte controllati da Wall Street e dalla borsa di Londra. Né è un caso che, recentemente, i titoli Usa siano andati a ruba (la domanda è stata superiore di 2,82 volte all'offerta) tra banche centrali internazionali e investitori istituzionali, mentre la collocazione di titoli di stato in euro sia andata piuttosto male.
3. Competizione per il capitale mobile e difesa degli Usa come centro finanziario mondiale. Gli Usa dalla fine della Seconda guerra mondiale continuano ad esercitare il ruolo di centro finanziario mondiale, attirando il risparmio mondiale e redistribuendolo. Tuttavia, da decenni tale ruolo è in crisi, a causa della perdita di posizioni nell'industria e nel commercio mondiali. In una fase di crisi e di riorganizzazione mondiale del potere economico mondiale, la concorrenza si accentua tra le imprese e, dal momento che le imprese hanno bisogno dello Stato, che è diventato finanziatore delle banche e quindi finanziatore di ultima istanza, la concorrenza si trasferisce a livello statuale. La competizione per il capitale mobile mondiale vede coinvolti anche gli Stati più forti, visto che le criticità dei debiti pubblici dei paesi avanzati sono aumentate, riducendo il gap storico con i Paesi emergenti. La situazione è così grave che il rischio insolvenza degli stati è diventato persino più alto di quello delle imprese, un fatto mai successo nella storia.
Dunque, dietro alla crisi greca si delinea un confronto politico-valutario, quello tra Usa e area euro. Una condizione necessaria alla superiorità finanziaria è la stabilità monetaria, che il dollaro Usa ha perso da tempo a causa della sua continua svalutazione. Oggi, la Cina è in fuga dai titoli di Stato Usa, perché vuole evitare di ritrovarsi piena di dollari svalutati. Al contrario del dollaro, l'euro sin dalla sua nascita si è dimostrato una valuta estremamente stabile. Dunque, l'euro, anche a fronte della necessità dei Paesi dell'eurozona di finanziare il debito e i grandi programmi infrastrutturali, si erge nei confronti del dollaro come un agguerrito concorrente nella attrazione di capitale mobile mondiale e in particolare del surplus cinese. Infatti, se confrontiamo le due entità - Usa e Eurolandia - vediamo quanto la seconda, come aggregato economico, sia messa molto meglio rispetto alla prima, il che spiega la forza relativa dell'euro sul dollaro.
Considerata nel suo complesso Eurolandia ha un debito pubblico del 78% contro il 100% (almeno) degli Usa. Soprattutto, mentre gli Usa associano al debito federale e a quello delle famiglie il maggiore deficit commerciale con l'estero del mondo, pari a 518,4 miliardi di dollari, l'area euro ha un attivo commerciale di 25,3 miliardi. Se, però, andiamo a vedere nel dettaglio, troviamo una situazione molto differenziata e qui sta la seconda delle cause del dramma greco. Infatti, la gran parte dell'attivo (158 miliardi) è concentrato in Germania, mentre altri Paesi, compresa la Francia, hanno deficit commerciali, fra i quali di particolare entità sono quelli di Spagna e Grecia. Il fatto è che l'euro ha favorito la competitività dell'industria della Germania - che è al centro della divisione del lavoro europea - mentre ha indebolito la competitività degli altri Paesi. A causa di questa situazione i Paesi con una industria più debole hanno maturato un forte debito commerciale, che ha peggiorato la bilancia delle loro partite correnti con l'estero e messo in dubbio la solvibilità del loro debito pubblico. La Germania, dall'altro canto, mentre ha tratto giovamento dall'euro, aumentando l'export e l'attivo commerciale, sembra poco incline a considerare le sue responsabilità nel debito altrui. A questo si aggiunge che Eurolandia, a differenza degli Usa, non può emettere titoli di debito, né può stampare moneta per finanziare l'economia, perché il mandato della Banca centrale europea è di garantire stabilità all'euro, non di stimolare l'economia. In definitiva, il problema è che Eurolandia non è una vera realtà statale, cioè un soggetto politico unito e autonomo.
L'attacco alla periferia debole di Eurolandia appare come un tentativo di indebolire, disarticolandola, l'area euro, in funzione di una difesa degli Usa come centro finanziario mondiale, e può avere solo due sbocchi. O una accelerazione della Ue verso una integrazione politica o uno sfaldamento dell'area euro stessa. Una eventuale accelerazione dell'integrazione europea, però, non può e non deve essere pagata dai lavoratori europei, già colpiti dalle delocalizzazioni e dalle privatizzazioni, né essere egemonizzata dagli interessi del capitale tedesco.
Il piano di aiuti alla Grecia varato dalla Ue non sembra avere raggiunto i suoi obiettivi, cioè la messa in sicurezza dell'euro. L'euro è crollato sotto l'1,30 contro il dollaro, mentre, come titolano i quotidiani oggi in prima pagina, l'effetto contagio si estenderebbe alla Spagna. Si tratta un Paese molto più grande e importante, le cui difficoltà possono avere un impatto molto più pesante sull'area euro della piccola Grecia.
1. La crisi dell'economia è alla base della crisi del debito sovrano. La crisi di sovraccumulazione di capitale e merci, manifestatasi nel 2008 come crisi finanziaria, ha cambiato faccia e si presenta nella forma di crisi del debito statale, ovvero sotto forma di crescita incontrollata del debito e del deficit pubblico, che è aumentato mediamente dal 2,2% del 2007 al 10,1% di fine 2009. Questo perché lo Stato, come ha sempre fatto dinanzi ai fallimenti del mercato autoregolato, è dovuto correre al salvataggio di imprese e banche. Gli aiuti di Stato al settore bancario hanno superato i 14mila miliardi di dollari, una cifra, pari a un quarto del Pil mondiale, che non ha paragoni nella storia. Tutto questo allo scopo di evitare un collasso generalizzato del modo di produzione. Tuttavia, la crisi non è risolta, come provano i 50 milioni di disoccupati in più a livello mondiale nel 2009. Inoltre, la riduzione del costo del denaro e la massa di liquidità statale immessa nel sistema finanziario hanno scatenato una nuova speculazione verso le materie prime e soprattutto verso i titoli del debito pubblico e le valute.
La crisi attuale, dunque, ingigantisce il debito e rende più difficile finanziarlo a causa della stagnazione dell'economia, che riduce il gettito fiscale dello Stato. Di conseguenza, gli Stati che hanno una struttura produttiva più fragile sono percepiti dai mercati finanziari come cattivi creditori, e hanno difficoltà a collocare sul mercato titoli del debito pubblico, se non a costi (rendimenti) più alti. In questo modo, tali stati hanno difficoltà non solo a finanziare il nuovo debito ma anche gli interessi su quello pregresso, con il rischio di andare in bancarotta. È quanto sta accadendo ai paesi della periferia dell'area euro. Si tratta di Paesi, come la Grecia, il Portogallo, e la Spagna, con una struttura industriale più fragile di quella dei paesi centrali della Ue e che spesso hanno seguito il modello Usa di crescita basato sull'indebitamento delle famiglie, come la Spagna (l'85% del Pil contro il 40% dell'Italia). La Grecia si è affidata all'uso di derivati, assecondando il consiglio di due grandi banche Usa, tra cui Goldman Sachs, allo scopo di evitare di ascrivere i finanziamenti nel debito. Allorché il trucco contabile è venuto fuori, il debito ed il deficit sono schizzati in alto, e il mercato ha costretto la Grecia ad offrire rendimenti più alti per collocare il suo debito pubblico. Il rischio, ora, sembrerebbe essere quello del fallimento della Grecia e degli altri paesi della fascia periferica dell'euro. Tutto questo ha scatenato, dall'inizio del 2010 una campagna massmediatica secondo cui sarebbe a rischio, insieme alla permanenza nell'euro della Grecia e forse di altri paesi, l'esistenza stessa della moneta unica europea.
2. Speculazione finanziaria e interessi statali .Usa contro l'euroTuttavia, in questa posizione c'è qualcosa che non torna. La Grecia ha un debito pubblico molto alto, ma, se si guarda al debito totale, si vede che questo è molto al di sotto della media europea. Inoltre, mentre i mercati finanziari hanno preso di mira la Grecia e il Portogallo, la situazione di altri Stati, che sono in una situazione non migliore, sembra essere passata del tutto sotto silenzio. Tra questi, oltre alla Gran Bretagna, con i più alti indebitamenti mondiali della finanza (202% del Pil) e delle famiglie (101%), ci sono soprattutto gli Usa, che, con un debito pubblico del 100%, un deficit dell'11% e il secondo indebitamento mondiale delle famiglie (96%), sono lo stato complessivamente più indebitato al mondo.
Significativamente il Financial Times ha scritto, a proposito dell'investimento in titoli di stato Usa, che "Il debito Usa è un riparo sicuro allo stesso modo in cui era considerato un porto sicuro Pearl Harbour nel 1941." A ciò è da aggiungere che, se la Grecia ha truccato i conti, gli Usa non sono certo trasparenti. Ad esempio, al debito contabilizzato, si dovrebbe aggiungere la statizzazione dei mutui assicurati da Fannie Mae e Freddie Mac, che farebbero lievitare il debito al 140%. Inoltre, secondo l'Ufficio del Bilancio del Parlamento statunitense, il debito Usa sarebbe molto più grande (400%), perché dalla sua contabilizzazione vengono sottratte spese molto importanti, come le pensioni dei reduci di guerra e gran parte delle spese sanitarie. Infine, l'impatto del debito degli Usa sull'economia e sui mercati finanziari mondiali dovrebbe essere molto superiore a quello della Grecia, visto che, in termini assoluti, sta a quello della Grecia come un elefante sta a una formica.
Dunque, perché la Gran Bretagna e gli Usa non sono stati presi di mira al contrario della piccola Grecia? In primo luogo, perché gli Usa dispongono del dollaro, che, in virtù della loro potenza militare e politica, è la valuta di scambio e di riserva internazionale. Grazie a questa, i loro titoli del debito pubblico sono acquistati dai paesi con un grande surplus commerciale, soprattutto dalla Cina, per garantirsi riserve utili a stabilizzare le loro valute. In pratica, gli Usa hanno affrontato la crisi stampando continuamente moneta. Ciò nel breve periodo può funzionare, alla lunga è molto più difficile che tenga. Negli Usa i tassi d'interesse prossimi allo zero per cento, la profonda crisi ancora irrisolta, e l'enorme indebitamento hanno determinato un forte indebolimento del dollaro. Il problema è che l'indebolimento del dollaro mette a dura prova la capacità degli Usa di attrarre risparmio dall'estero e finanziare il loro debito, proprio nel momento in cui ne hanno più bisogno degli altri. Infatti, nel 2009 la Cina acquistò solo il 4,6% dei nuovi titoli di Stato Usa, molto meno del 20,2% del 2008 e del 47,4% del 2006, con una flessione a novembre 2009 rispetto a luglio. Nello stesso tempo in cui gli Usa faticavano a collocare i loro titoli di stato, l'euro continuava la sua corsa fino a raggiungere la quotazione di 1,50 contro il dollaro. È in questo quadro che si è inserita la crisi del debito sovrano della Grecia. Il dollaro si è ripreso rapidamente sull'euro, che dall'inizio di febbraio, cioè da quando la questione del debito greco è scoppiata, è sceso fino a 1,32 sul dollaro e ora sotto 1,30.
La crisi greca ha così indebolito l'euro e gettato un dubbio sulla tenuta dell'unica valuta che può ambire a sostituire o affiancare il biglietto verde Usa. Di fatto, se non intenzionalmente, c'è stata una convergenza tra gli interessi statali Usa e quelli della speculazione finanziaria internazionale. Quest'ultima, attraverso il carry trade, guadagna, scommettendo e incentivandola, sulla variabilità delle differenze dei cambi valutari, e, infatti, i margini di guadagno degli hedge fund sono stati enormi. La situazione attuale ricorda molto da vicino l'attacco dei mercati finanziari alle valute dell'Asia Sud Orientale negli anni ‘90, che devastò le economie di quei Paesi, permettendo agli Usa di scaricarvi la loro crisi. E anche oggi, come allora, emerge il ruolo centrale di personaggi come Soros. È da notare, poi, che i mercati finanziari e le agenzie di rating che valutano l'affidabilità del debito pubblico dei vari paesi hanno sede e sono in gran parte controllati da Wall Street e dalla borsa di Londra. Né è un caso che, recentemente, i titoli Usa siano andati a ruba (la domanda è stata superiore di 2,82 volte all'offerta) tra banche centrali internazionali e investitori istituzionali, mentre la collocazione di titoli di stato in euro sia andata piuttosto male.
3. Competizione per il capitale mobile e difesa degli Usa come centro finanziario mondiale. Gli Usa dalla fine della Seconda guerra mondiale continuano ad esercitare il ruolo di centro finanziario mondiale, attirando il risparmio mondiale e redistribuendolo. Tuttavia, da decenni tale ruolo è in crisi, a causa della perdita di posizioni nell'industria e nel commercio mondiali. In una fase di crisi e di riorganizzazione mondiale del potere economico mondiale, la concorrenza si accentua tra le imprese e, dal momento che le imprese hanno bisogno dello Stato, che è diventato finanziatore delle banche e quindi finanziatore di ultima istanza, la concorrenza si trasferisce a livello statuale. La competizione per il capitale mobile mondiale vede coinvolti anche gli Stati più forti, visto che le criticità dei debiti pubblici dei paesi avanzati sono aumentate, riducendo il gap storico con i Paesi emergenti. La situazione è così grave che il rischio insolvenza degli stati è diventato persino più alto di quello delle imprese, un fatto mai successo nella storia.
Dunque, dietro alla crisi greca si delinea un confronto politico-valutario, quello tra Usa e area euro. Una condizione necessaria alla superiorità finanziaria è la stabilità monetaria, che il dollaro Usa ha perso da tempo a causa della sua continua svalutazione. Oggi, la Cina è in fuga dai titoli di Stato Usa, perché vuole evitare di ritrovarsi piena di dollari svalutati. Al contrario del dollaro, l'euro sin dalla sua nascita si è dimostrato una valuta estremamente stabile. Dunque, l'euro, anche a fronte della necessità dei Paesi dell'eurozona di finanziare il debito e i grandi programmi infrastrutturali, si erge nei confronti del dollaro come un agguerrito concorrente nella attrazione di capitale mobile mondiale e in particolare del surplus cinese. Infatti, se confrontiamo le due entità - Usa e Eurolandia - vediamo quanto la seconda, come aggregato economico, sia messa molto meglio rispetto alla prima, il che spiega la forza relativa dell'euro sul dollaro.
Considerata nel suo complesso Eurolandia ha un debito pubblico del 78% contro il 100% (almeno) degli Usa. Soprattutto, mentre gli Usa associano al debito federale e a quello delle famiglie il maggiore deficit commerciale con l'estero del mondo, pari a 518,4 miliardi di dollari, l'area euro ha un attivo commerciale di 25,3 miliardi. Se, però, andiamo a vedere nel dettaglio, troviamo una situazione molto differenziata e qui sta la seconda delle cause del dramma greco. Infatti, la gran parte dell'attivo (158 miliardi) è concentrato in Germania, mentre altri Paesi, compresa la Francia, hanno deficit commerciali, fra i quali di particolare entità sono quelli di Spagna e Grecia. Il fatto è che l'euro ha favorito la competitività dell'industria della Germania - che è al centro della divisione del lavoro europea - mentre ha indebolito la competitività degli altri Paesi. A causa di questa situazione i Paesi con una industria più debole hanno maturato un forte debito commerciale, che ha peggiorato la bilancia delle loro partite correnti con l'estero e messo in dubbio la solvibilità del loro debito pubblico. La Germania, dall'altro canto, mentre ha tratto giovamento dall'euro, aumentando l'export e l'attivo commerciale, sembra poco incline a considerare le sue responsabilità nel debito altrui. A questo si aggiunge che Eurolandia, a differenza degli Usa, non può emettere titoli di debito, né può stampare moneta per finanziare l'economia, perché il mandato della Banca centrale europea è di garantire stabilità all'euro, non di stimolare l'economia. In definitiva, il problema è che Eurolandia non è una vera realtà statale, cioè un soggetto politico unito e autonomo.
L'attacco alla periferia debole di Eurolandia appare come un tentativo di indebolire, disarticolandola, l'area euro, in funzione di una difesa degli Usa come centro finanziario mondiale, e può avere solo due sbocchi. O una accelerazione della Ue verso una integrazione politica o uno sfaldamento dell'area euro stessa. Una eventuale accelerazione dell'integrazione europea, però, non può e non deve essere pagata dai lavoratori europei, già colpiti dalle delocalizzazioni e dalle privatizzazioni, né essere egemonizzata dagli interessi del capitale tedesco.
Domenico Moro
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