La sacrosanta protesta di un membro del popolo dei salariati, mentre chi governa incentiva gli evasori e attacca il welfare.
Questo non è un articolo di commento, è un articolo di protesta. Sarà, perciò, breve, diretto, persino un po’ rozzo e brutale. Altri esporranno, spero, pacatamente le loro ragioni, io qui mi limiterò a urlare le furibonde ragioni dei miei oppressi e i miei oppressi sono i lavoratori salariati vittime della vessazione fiscale. Protesto perché nel nostro Paese, al principio del nuovo secolo e millennio, la principale causa d’ingiustizia sociale è la sperequazione fiscale. Protesto da dipendente pubblico perché la principale forma di sperequazione fiscale non è tra Nord e Sud (come vorrebbe una parte politica i cui elettori hanno finanziato le loro imprese con l’evasione fiscale e con il lavoro nero) ma tra salariati (per lo più dipendenti statali) e lavoratori autonomi. Protesto perché, sul piano fiscale, la popolazione italiana è divisa in due parti.
Da un lato c’è un ceto produttivo (quelli a cui le tasse le prelevano alla fonte), dall’altro un ceto di parassiti evasori (per lo più commercianti, liberi professionisti, imprenditori). Protesto perché, per colmo della beffa, la prima metà è quella più povera, la seconda quella più ricca, la quale diventa ancora e sempre più ricca grazie al sangue fiscale succhiato ai più poveri. Protesto perché sono stufo di pagare con il mio modesto stipendio di ricercatore universitario la scuola d’élite al figlio del ristoratore dove una volta al mese posso forse permettermi di andare a mangiare il pesce, perché sono stufo di pagare con quel modesto stipendio la polizia che sorveglia la sontuosa villa del dentista da cui mi sono fatto otturare un dente cariato, perché sono arcistufo di pagare le strade su cui sfreccia con il suo SUV corazzato il commercialista arricchito o il pronto soccorso a cui ricorre in una notte sbagliata l’imprenditorello impippato, protesto perché non ne posso più di pagare con i miei 1500 euro mensili la escort da duemila euro a botta al riccastro viziato.
Da un lato c’è un ceto produttivo (quelli a cui le tasse le prelevano alla fonte), dall’altro un ceto di parassiti evasori (per lo più commercianti, liberi professionisti, imprenditori). Protesto perché, per colmo della beffa, la prima metà è quella più povera, la seconda quella più ricca, la quale diventa ancora e sempre più ricca grazie al sangue fiscale succhiato ai più poveri. Protesto perché sono stufo di pagare con il mio modesto stipendio di ricercatore universitario la scuola d’élite al figlio del ristoratore dove una volta al mese posso forse permettermi di andare a mangiare il pesce, perché sono stufo di pagare con quel modesto stipendio la polizia che sorveglia la sontuosa villa del dentista da cui mi sono fatto otturare un dente cariato, perché sono arcistufo di pagare le strade su cui sfreccia con il suo SUV corazzato il commercialista arricchito o il pronto soccorso a cui ricorre in una notte sbagliata l’imprenditorello impippato, protesto perché non ne posso più di pagare con i miei 1500 euro mensili la escort da duemila euro a botta al riccastro viziato.
Lo Stato Moderno, ombrello della convivenza civile, nasce sulla base di un patto preciso: sottomissione contro protezione, soggezione (anche fiscale) contro sicurezza. In questi giorni assistiamo a una versione caricaturale, degenerata, di quell’antica alleanza. Una violenta cricca internazionale di grassatori dell’alta finanza decide, dai suoi grattacieli dorati di New York, Lussemburgo o Shanghai, una razzia ai danni della povera gente di alcune antiche e dissestate nazioni mediterranee. E i governanti di quelle nazioni che fanno? Per ergere una barriera finanziaria a difesa della loro gente non trovano di meglio che salassare ulteriormente i già vessati salariati e pensionati.
Io contro questa barzelletta di democrazia protesto e denuncio la rottura fraudolenta del contratto sociale. La più grande democrazia moderna, quella statunitense, comincia da una protesta fiscale. No taxation without representation. Niente tasse senza rappresentanza politica, urlarono i ribelli delle colonie della Nuova Inghilterra.
Non essendo questi - purtroppo o per fortuna, per fortuna o purtroppo - tempi di rivoluzioni, io propongo di invertire la formula: no representation without taxation. Si tolgano i diritti civili, a cominciare dal diritto di voto, a tutti gli evasori fiscali (prima, però, bisognerebbe, ovviamente, pescarli). Chi di fatto non fa parte del consesso civile statale che si costruisce e conserva grazie al contributo fiscale di tutti, non ne faccia parte nemmeno di diritto. Altrimenti, il paradosso è che un ceto di evasori fiscali, parziali o totali, continuerà a eleggere un ceto politico che poi ne preserverà il privilegio d’immunità, perpetuando questa tremenda ingiustizia sociale. Contro la quale io, personalmente, protesto e spero protestino in tanti.
Scurati, Antonio, La Stampa, 18 maggio 2010
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