Alla fine la casa con vista ha pesato più dell’ombra dei Casalesi. Più di una richiesta di rinvio a giudizio per corruzione. Come sempre nel mondo berlusconiano, le immagini hanno avuto la meglio su tutto. Ed è finita che tra i tutti i membri del governo finiti sotto le lenti della magistratura, l’unico a doversi dimettere è stato quello giudiziariamente meno inguaiato, Scajola, neppure indagato allo stato attuale. Mentre il suo collega Fitto, su cui pesano già due rinvii a giudizio, se ne sta ancora al suo posto. Così come il sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino, accusato di essere in stretti rapporti con il clan dei Casalesi. Mentre Altero Matteoli, accusato di favoreggiamento (avrebbe informato l’allora prefetto di Livorno Gallitto di un’indagine in corso), dopo un lungo iter che ha coinvolto anche la Consulta, è stato “assolto” dalla Camera: niente processo.
«La casa è un bene che colpisce molto l'immaginazione della gente», è stato il ragionamento chiave che ha spinto il Cavaliere a mollare il fedelissimo Scajola. La cosa curiosa è che Fitto e Cosentino, le dimissioni le hanno anche offerte, pochi mesi fa. Ma per tutt’altri motivi: il primo per la sconfitta del “suo” candidato Rocco Palese alle regionali di Puglia, il secondo per una questione di poltrone. Non voleva accettare l’accordo con l’Udc per un candidato casiniano alla provincia di Caserta.Stando alle carte dei magistrati, sia Fitto che Cosentino sono assai più inguaiati di Scajola. Così come Bertolaso, che è indagato per corruzione nell’inchiesta sul G8. Il capo della protezione civile, come Scajola, ha offerto le proprie dimissioni, ma in quel caso Berlusconi ha tenuto botta. I massaggi e le escort offerte, secondo i magistrati, al capo della protezione civile per fluidificare gli appalti, evidentemente, colpiscono meno. Eppure anche in quel caso, le telefonate pubblicate dai giornali sugli incontri hard non lasciavano dubbi.
Torniamo a Fitto e Cosentino. Il primo ha due rinvii a giudizio. Il primo per una presunta tangente da 500mila euro che avrebbe ricevuto (quando era governatore della Puglia) dall’imprenditore Angelucci per un appalto da 198 milioni nella sanità. Per questa storia il ministro nel 2006 ha scontato 40 giorni ai domiciliari. Secondo i pm, l’ex governatore avrebbe fatto «mercimonio della funzione pubblica» evidenziando una «straordinaria capacità di delinquere». Il secondo rinvio a giudizio è per concorso in turbativa d’asta: Fitto è accusato di aver favorito una azienda amica nell’aggiudicazione della Cedis, un’azienda della distribuzione alimentare. Più “leggera”, per ora, dal punto di vista giudiziario, ma non certo da quello dell’immagine, la vicenda di Cosentino, detto «O’mericano» nella sua Casal di Principe. Il candidato mancato alla regione Campania (decisivo il niet di Fini) è accusato di concorso esterno in associazione camorristica: sei pentiti lo indicano come il referente politico dei clan, in particolare per lo smaltimento dei rifiuti. Nel dicembre 2009 la Camera ha negato l’autorizzazione all’arresto (51 no anche dalle opposizioni, con lunghe code polemiche). La Corte di Cassazione, nel gennaio 2010, ha spiegato che l’accusa poggia su «concreti e specifici elementi indizianti».A conti fatti, gli unici ministri in carica condannati in via definitiva sono del Carroccio: Bossi a 8 mesi per finanziamento illecito per 200 milioni di tangente Enimont alla Lega. Altra condanna definitiva per vilipendio alla bandiera italiana (commutata in multa), per aver detto «Il tricolore lo uso per pulirmi il culo». Anche il ministro dell’Interno Maroni è stato condannato in primo grado a 8 mesi per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, pena commutata nel 2004 dalla Cassazione in una multa.
«La casa è un bene che colpisce molto l'immaginazione della gente», è stato il ragionamento chiave che ha spinto il Cavaliere a mollare il fedelissimo Scajola. La cosa curiosa è che Fitto e Cosentino, le dimissioni le hanno anche offerte, pochi mesi fa. Ma per tutt’altri motivi: il primo per la sconfitta del “suo” candidato Rocco Palese alle regionali di Puglia, il secondo per una questione di poltrone. Non voleva accettare l’accordo con l’Udc per un candidato casiniano alla provincia di Caserta.Stando alle carte dei magistrati, sia Fitto che Cosentino sono assai più inguaiati di Scajola. Così come Bertolaso, che è indagato per corruzione nell’inchiesta sul G8. Il capo della protezione civile, come Scajola, ha offerto le proprie dimissioni, ma in quel caso Berlusconi ha tenuto botta. I massaggi e le escort offerte, secondo i magistrati, al capo della protezione civile per fluidificare gli appalti, evidentemente, colpiscono meno. Eppure anche in quel caso, le telefonate pubblicate dai giornali sugli incontri hard non lasciavano dubbi.
Torniamo a Fitto e Cosentino. Il primo ha due rinvii a giudizio. Il primo per una presunta tangente da 500mila euro che avrebbe ricevuto (quando era governatore della Puglia) dall’imprenditore Angelucci per un appalto da 198 milioni nella sanità. Per questa storia il ministro nel 2006 ha scontato 40 giorni ai domiciliari. Secondo i pm, l’ex governatore avrebbe fatto «mercimonio della funzione pubblica» evidenziando una «straordinaria capacità di delinquere». Il secondo rinvio a giudizio è per concorso in turbativa d’asta: Fitto è accusato di aver favorito una azienda amica nell’aggiudicazione della Cedis, un’azienda della distribuzione alimentare. Più “leggera”, per ora, dal punto di vista giudiziario, ma non certo da quello dell’immagine, la vicenda di Cosentino, detto «O’mericano» nella sua Casal di Principe. Il candidato mancato alla regione Campania (decisivo il niet di Fini) è accusato di concorso esterno in associazione camorristica: sei pentiti lo indicano come il referente politico dei clan, in particolare per lo smaltimento dei rifiuti. Nel dicembre 2009 la Camera ha negato l’autorizzazione all’arresto (51 no anche dalle opposizioni, con lunghe code polemiche). La Corte di Cassazione, nel gennaio 2010, ha spiegato che l’accusa poggia su «concreti e specifici elementi indizianti».A conti fatti, gli unici ministri in carica condannati in via definitiva sono del Carroccio: Bossi a 8 mesi per finanziamento illecito per 200 milioni di tangente Enimont alla Lega. Altra condanna definitiva per vilipendio alla bandiera italiana (commutata in multa), per aver detto «Il tricolore lo uso per pulirmi il culo». Anche il ministro dell’Interno Maroni è stato condannato in primo grado a 8 mesi per resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, pena commutata nel 2004 dalla Cassazione in una multa.
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