Manovra monstre a carico dei soliti noti, lavoratori e pensionati, e a beneficio dei soliti “ignoti”. Sono tanti, e abitano la selva oscura della casta comodamente sistemati tra consulenze, pensioni baby, doppi e tripli incarichi nei consigli di amministrazione di enti vattelapescha, e di cattedre universitarie fantasma. Ne prendiamo un “pezzettino” andando a spulciare, per esempio, tra le pensioni Inpdap, l’ente che si occupa di badare alla “terza età” dei dipendenti pubblici. Eppure da questo pezzettino, l”upper class” della rendita pensionistica italiana, tanto per intenderci, si possono tirar fuori senza troppo sforzo cifre stimabili all’interno di una “forchetta” che va dai quattro ai sei miliardi: esattamente l’importo di quella parte della manovra dedicata al pubblico impiego attraverso il blocco dei rinnovi contrattuali. Come? E’ molto facile, quasi banale. A volte, nella troppa creatività ci si può perdere. E’ quello che è accaduto a Tremonti, per esempio. Bastava che andasse a spulciare le 50mila posizioni pensionistiche dell’Inpdap ad alto tenore, quelle da diecimila euro al mese (valore medio), e avrebbe trovato un sacco di nomi noti: Giuliano Amato, Renato Brunetta, Giuliano Cazzola, tanto per citarne alcuni. Dimenticavamo Draghi, il banchiere di fama internazionale che qualche volta si degna di fare il “capo dei capi” in via Nazionale a Roma. Mario Draghi, governatore della Banca d’Italia, percepisce una baby pensione, non certo per l’importo, di 8.164,68 euro (netti). Questo grazie all’inesistenza del divieto di cumulo ovviamente. Non si capisce perché in questo strano Bel Paese, bello solo per lor signori, mentre un cassaintegrato che arriva a percepire tra il 60% e l’80% della sua ultima busta paga, non può “permettersi il lusso” di un doppio lavoro, ovviamente in nero, certi “padri della patria” possono avere ciò che vogliono. Il giochino è facile facile. Funziona più o meno così: un gran commis di Stato va in pensione, magari dopo una faticosa carriera da parlamentare di appena una legislatura, a cui ha associato quella di professore universitario in “tuttologia applicata”. Forte della sua bella rendita mensile in tasca, e con una vita davanti a sé, ha tutto il tempo libero che vuole, che non impiegherà certo per accompagnare i nipoti a scuola. Lo spende, invece, in qualche bella consulenza in questo o quell’ente “parastatale” nel cui consiglio d’amministrazione si trovano sempre amici di vecchia data generosi e disponibili ad aiutare. Il fenomeno più esteso di quanto si creda. E’ questo, in fondo che fa da cemento alla casta e che moltiplica gli organismi di tutti i tipi contigui alla politica. Alti funzionari civili e militari dello Stato, una volta collocati a riposo, per esempio, puntualmente vengono reinseriti in organismi di controllo e giurisdizione tipo Consiglio di Stato e Authority varie. Un esempio? Sergio Siracusa, ex generale, che percepisce una pensione di 27.927,75 euro mensili è ora membro del Consiglio di Stato. Tutto legale, per carità. Ma perché se questa legge finanziaria è, come dicono le “fonti governative”, una manovra di sacrifici, le pene comandateci dall’Europa non devono essere distribuite in modo equo tra tutti gli italiani? Perché non è possibile reintrodurre il divieto di cumulo?
A spulciare tra le schede dell’Inpdap ce ne è per tutti i gusti. Publio Fiori, per esempio, che gode di una pensione mensile di 14.590,26 anche grazie alla “rango” di vittima del terrorismo; Giorgio Guazzaloca, che alla pensione di 9.704,64 euro somma un incarico nell’Antitrust. Andrea Monorchio, con 10.853,07 euro. L’upper class è piuttosto variegata, onesti e furbetti in un unico calderone. E così a fianco di Umberto Veronesi (2.820,78 euro), sulla cui vitalità professionale nessuno osa dire nulla, troviamo un Renato Squillante, con una pensione di 5.919. Quella di Squillante ha un primato riservato a pochi eletti: è attiva dal 1996, quando ancora il magistrato portava ancora i pantaloni corti, professionalmente parlando.
Il riscontro al “doppio incarico” a beneficio della casta, viene da una denuncia fatta dal sindacato proprio pochi giorni fa, e passata tra le maglie di una informazione troppo occupata a narrare l’ira divina contro chi non si fosse adeguato ai comandamenti di Bruxelles.
Le consulenze commissionate all’esterno da oltre diecimila enti pubblici pesano sul bilancio dello Stato per un valore di oltre 2 miliardi e mezzo all’anno. Nella cifra, però, sono compresi gli stipendi per tutto il personale precario. Ai consulenti veri e propri, una “ristretta cerchia”, quindi, vanno un miliardo e trecento milioni, come ha specificato la Cgil, su questo punto d’accordo con lo stesso ministro Brunetta. Renato Brunetta? Sì, c’è anche lui nella lista dei pensionati senza divieto di cumulo, con una rendita mensile di 3.044,34 euro.
Questo per quanto riguarda il settore pubblico, ovviamente. C’è da giurare che nel cosiddetto privato la musica non cambia. Sarà un caso se l’ex fondo pensionistico pubblico dei manager, Inpdai, è stato assorbito dall’Inps? Il fondo attualmente perde 2 miliardi l’anno. Con il paradossale effetto che sono i lavoratori a reddito fisso a pagare le ricche pensioni dei loro dirigenti. Perché Confindustria non dice quante sono, tra le sole aziende aderenti, quelle che pagano consulenze di dirigenti in pensione? Avete chiesto i sacrifici. Bene, cominciate voi che a stringere la cinta non vi dà alcuna noia.
A spulciare tra le schede dell’Inpdap ce ne è per tutti i gusti. Publio Fiori, per esempio, che gode di una pensione mensile di 14.590,26 anche grazie alla “rango” di vittima del terrorismo; Giorgio Guazzaloca, che alla pensione di 9.704,64 euro somma un incarico nell’Antitrust. Andrea Monorchio, con 10.853,07 euro. L’upper class è piuttosto variegata, onesti e furbetti in un unico calderone. E così a fianco di Umberto Veronesi (2.820,78 euro), sulla cui vitalità professionale nessuno osa dire nulla, troviamo un Renato Squillante, con una pensione di 5.919. Quella di Squillante ha un primato riservato a pochi eletti: è attiva dal 1996, quando ancora il magistrato portava ancora i pantaloni corti, professionalmente parlando.
Il riscontro al “doppio incarico” a beneficio della casta, viene da una denuncia fatta dal sindacato proprio pochi giorni fa, e passata tra le maglie di una informazione troppo occupata a narrare l’ira divina contro chi non si fosse adeguato ai comandamenti di Bruxelles.
Le consulenze commissionate all’esterno da oltre diecimila enti pubblici pesano sul bilancio dello Stato per un valore di oltre 2 miliardi e mezzo all’anno. Nella cifra, però, sono compresi gli stipendi per tutto il personale precario. Ai consulenti veri e propri, una “ristretta cerchia”, quindi, vanno un miliardo e trecento milioni, come ha specificato la Cgil, su questo punto d’accordo con lo stesso ministro Brunetta. Renato Brunetta? Sì, c’è anche lui nella lista dei pensionati senza divieto di cumulo, con una rendita mensile di 3.044,34 euro.
Questo per quanto riguarda il settore pubblico, ovviamente. C’è da giurare che nel cosiddetto privato la musica non cambia. Sarà un caso se l’ex fondo pensionistico pubblico dei manager, Inpdai, è stato assorbito dall’Inps? Il fondo attualmente perde 2 miliardi l’anno. Con il paradossale effetto che sono i lavoratori a reddito fisso a pagare le ricche pensioni dei loro dirigenti. Perché Confindustria non dice quante sono, tra le sole aziende aderenti, quelle che pagano consulenze di dirigenti in pensione? Avete chiesto i sacrifici. Bene, cominciate voi che a stringere la cinta non vi dà alcuna noia.
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