sabato 23 novembre 2013

La “stabilità” di Alessandro Gilioli


Matteo Renzi e Enrico Letta Firenze 08/06/2013


C’è una quota di propaganda da primarie nella ganassata di Matteo Renzi, con citazione di Bud Spencer inclusa. Quindi va fatta un po’ di tara, certo.
Però lo scenario che si va delineando di qui a neanche un mese rende l’idea di quanto sia stata artificiosa e di breve respiro la Sacra Alleanza imposta da Napolitano a fine aprile.
Intendo dire che questo esecutivo era nato con l’appoggio di Berlusconi e del Pd: il primo da lunedì se ne va mentre il secondo si avvia a un rapporto di trattativa quotidiana, se non di minaccia, comunque molto diverso dallo zerbino implementato in questi mesi da Epifani.
Era abbastanza ovvio che finisse così: per quanto si agiti, Letta e il suo governo riscuotono sempre meno consensi nel Paese e i due – Berlusconi e Renzi – si preparano già alle prossime campagne elettorali, a partire da quella delle Europee. Che fra l’altro saranno giocate proprio sull’Europa, sull’euro e sul rigore su cui adesso perfino Letta tenta, un po’ pateticamente, di fare la voce grossa.
Insomma, da dopodomani l’esecutivo starà in piedi per otto voti al Senato, sorretto da tre forze (forze?) che saranno nell’ordine: una formazione politica creata a tavolino nel Palazzo e inesistente al di fuori di esso, cioè il Ncd; un ex grande centro che grande non è mai stato ma a febbraio ha raccattato un po’ di parlamentari grazie al consenso mediatico creato attorno a Monti, ora tuttavia attorno al 3-4 per cento, sfanculato dallo stesso Monti e diviso in una comica Bosnia di fazioni contrapposte; un Pd azionista di maggioranza il cui prossimo leader, per non lasciarsi bollire a fuoco lento, terrà l’esecutivo per le palle ogni mattina.
Il tutto rattoppato con lo scotch dal nonagenario inquilino del Quirinale.
Ci sono voluti sette mesi, ma finalmente lo sbandierato concetto di “stabilità” in nome del quale si è formato questo governo è molto più chiaro a tutti, grazie.

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