La
caduta delle partite Iva, certificato ieri dalla Cgia, le 400 mila
croci che dal 2008 si sono aggiunte al grande cimitero economico della
crisi, non testimoniano solo della deindustrializzazione e delle
assurdità della governance finanziaria, ma sono anche il capolinea delle
illusioni parallele che per trent’anni hanno dominato la società
italiana e la sua rappresentanza politica. Dentro le partite Iva c’era e
c’è di tutto, il grano e il loglio e proprio per questo esse sono
state il crocevia di tutti quei caratteri, umori, pensieri che hanno
portato alla dissoluzione dell’immaginazione sociale, il canale entro
cui si è scaricato il massimo potenziale della vittoriosa ideologia
liberista.
Da una parte, da quella di destra, esse hanno rappresentato il
canale privilegiato dentro il quale è corso il miraggio
dell’imprenditorialità diffusa, la rincorsa verso uno status di
“successo” così diverso da quello del lavoratore che ha finito per
coinvolgere molti nell’opacità delle evasioni a valanga, ma soprattutto
ha tenuto lontano milioni di persone dall’idea stessa di organizzare la
difesa di diritti e tutele. Solo recentemente il massacro di questa
immensa folla di “imprenditori” ridotti via via a “lavoratori atipici”
ha indotto a creare qualche anticorpo, qualche associazione o manifesto
che tuttavia non riesce ad andare al di là della richiesta di sgravi
fiscali. Troppo poco e troppo tardi, paradossalmente troppo poco
politico per essere efficace.
Dall’altra parte quella che potremmo vagamente definire di sinistra
ha fatto vagheggiare il mito dell’economia della conoscenza destinata in
qualche modo a produrre un cambiamento della società capitalista. Un
autoinganno dovuto alle deformazioni della cosiddetta caduta delle
ideologia, che in realtà nascondeva una società a ideologia unica, ma
che comunque ha disgregato e disperso l’idea della partecipazione
politica, rifiutando i pariti e rivolgendosi a idee più vaghe e liquide
nel solco del movimentismo.
Naturalmente ho distinto un po’ artificiosamente due cose che in
realtà si sono mischiate come in una maionese, ma in ogni caso la
vicenda delle partite Iva, la terra promessa delle piccola borghesia o
l’Eden dell’orizzontalismo, delle identità locali o esistenziali o
individuali invece di quelle classe, è una cartina di tornasole delle
torsioni sociali a cui stiamo assistendo e del conflitto ormai
conclamato tra democrazia e mercato senza limiti. E’ così gli
imprenditori in pectore o i knowledge workers, i lavoratori immateriali,
si avviano alla decimazione e ad essere radunati nel recinto del neo
schiavismo di fatto. Il tutto mentre continua incessante il rullo dei
tamburi sui ragazzini dei garage o sulle start up: c’è sempre una nuova
fesseria, una nuova leggenda da agitare per confondere.
Molti, senza accorgersene vivono la dicotomia tra l’ideologia di
mercato, l’utopia mercatista come regolatore universale, i diritti
individuali e la possibilità di essere rappresentati . Tra sfruttamento e
libertà. Ed è chiarissimo che per poter fare un passo avanti per uscire
dalla palude bisogna prima cominciare a fare un passo indietro: uscire
da questo holzwege, da questo sentiero interrotto, è impossibile senza
tornare un po’ indietro al punto in cui è imboccata la strada sbagliata.
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