Non è francamente l'aspetto penale (il Presidente della
Regione Puglia è indagato per concussione
in concorso con alcuni dirigenti dell'ILVA con l'accusa di aver fatto pressioni
sui vertici dell'Arpa, l'agenzia regionale per l'Ambiente, al fine di
«ammorbidire» la posizione dell'agenzia nei confronti delle emissioni nocive
prodotte dall'impianto siderurgico) quello più interessante della vicenda
Vendola – ILVA. Anche se poi, lette a posteriori, certe scelte riformiste,
governative, pragmatiche, tanto più quando appaiono irrazionali e fatalmente
destinate al fallimento sul piano elettorale spesso rivelano cattive coscienze,
scheletri da continuare a nascondere nell'armadio, interessi inconfessabili o
comunque la volontà di portare subito all'incasso – in termini di posti di
potere, di poltrone parlamentari, di visibilità mediatica, di tranches di
finanziamento pubblico – la popolarità e
il gradimento provvisoriamente raggiunti.
L'aspetto fondamentale è invece politico. L'idea di una
politica cioè che accetta di restare prigioniera nel recinto costruito dalle
compatibilità europee, dai dogmi del mercato, dalle riverenze verso Istituzioni
(a partire da Napolitano) che palesemente si pongono in contrasto con i dettami
costituzionali, dal fatto che con certi poteri forti – di volta in volta le mafie,
gli speculatori, il grande capitale, le imprese criminali e inquinanti, il
Vaticano, i partiti pro-tempore più premiati dal consenso elettorale – bisogna
pur convivere.
Ciò che si rimprovera politicamente a Vendola non è di non
aver risolto il caso ILVA e il suo tragico e forse inestricabile intreccio che
si trascina da decenni tra la salute delle persone, le esigenze strategiche
dell'industria nazionale, il diritto al lavoro, la non economicità (che
richiederebbe comunque investimenti talmenti elevati da costituire oggi solo un
miraggio) della messa a norma della produzione ma di aver scelto di navigare a
vista, spacciando per risolutivi interventi ambientali solo di facciata e
perseverando in un complice servilismo nei confronti dei Riva, cedendo al loro
ricatto così come aveva ceduto al ricatto del PD imbarcando nella propria
giunta i ras locali Tedesco
e Frisullo.
Invece di tentare di dare un'immagine decente alla casa
nascondendo la polvere (cancerogena) sotto il tappeto, Vendola (Presidente
della Regione Puglia dal 2005) avrebbe dovuto far esplodere il bubbone ben
prima della magistratura, denunciando con trasparenza e onestà la propria
impotenza, facendone una questione nazionale e costringendo il Governo a farsi
carico della questione. E mettendo comunque al primo posto la salute dei
cittadini come bene irrinunciabile.
La sinistra che ha perso il coraggio di violare le colonne
d'Ercole erette dal capitalismo come limite invalicabile dell'azione politica,
che accetta la subalternità al potere economico e finanziario, che non è più
capace di essere radicale e rivoluzionaria nemmeno nel linguaggio è la sinistra
che si è condannata alla marginalità e al fallimento.
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