Anna Lombroso per il Simplicissimus
“gli americani ci hanno colonizzato il cervello” dicono sconsolati due reduci del 68 nel film Nel corso del tempo di Wim Wenders. E come dar loro torto se chi ha vissuto da giovane le generose lotte antimperialiste ha fatto i quattrini nella rapace wall street o ha mandato i figli a fare prestigiosi master in America, se da yankee go home ci si è convertiti a considerare desiderabile un qualche loro patronage nel mondo dell’auto, dell’informatica, dell’informazione, se quel modello di una servitù addomesticata dal benessere , distratta dai media, quell’american way of life ha attecchito talmente che invidiamo e applaudiamo il nuovo sindaco di New York nella convinzione che sia “comunista”, tanto che il manifesto titola trionfalmente “La Mela rossa”. Dobbiamo aver proprio perso di vista l’idea stessa di sinistra se ci accontentiamo di un personaggio di innegabile appeal, ma che è di sinistra come gli avvocati d’ufficio interpretati da Al Pacino , come gli agenti di borsa o gli speculatori in derivati che fanno penitenza e si dimettono da Goldman Sachs, come i lobbisti pentiti della case produttrici di sigarette che hanno spopolato al cine, come i self made men nipotini dei signori Smith a Washington , quelli che il candore e l’integrità l’hanno vinta sui poteri forti e l’indifferenza dei più.
È plausibile però che ci accontentiamo di qualcuno che promette un po’ più di giustizia e un po’ meno sceriffi giustizieri, un po’ più accoglienza e meno quartieri fortificati, un po’ più qualità abitativa e un po’ meno bidonville, è ragionevole che ci conforti l’elezione di qualcuno che sembra intenzionato a temperare disuguaglianze e iniquità, misurandosi senza spocchia sul fronte di diritti meno elevati ma altrettanto irrinunciabili: trasporti pubblici efficienti, bollette meno esose, centri di igiene e hospice civili e umani.
Abbiamo finito per essere appagati dai cari, antichi e buoni sentimenti, dai tram in orario, dal bonario poliziotto di quartiere, dalle promesse di garantire servizi agli slums, persuasi che è già moltissimo, che chi si impegna su questi fronti “dice qualcosa di sinistra”, anche se non fa pubblica abiura dell’ideologia neoliberista, anche se sembra convinto da Adam Smith che la ricchezza di pochi sparge in giro un po’ di polverina di benessere della quale possiamo godere anche noi, anche se magari si sente investito ancora della missione americana, quella di esportare quella “democrazia”, quella “pace”, quell’”aiuto umanitario“.
La verità è che un Paese sempre più marginale e provinciale, dove la maggioranza sempre più silenziosa sceglie il mimetismo, rinuncia alla legittima pretesa di capire e di esprimersi, chinandosi come il giunco in attesa che passi la piena, dove la minoranza, un ceto vorace, incompetente, incatenato a privilegi e rendite di posizione, dopo aver schifato l’interesse generale come un miserabile avanzo delle ideologie novecentesche, persegue la rovina del bene comune per alienarlo e guadagnarci su la mancetta, non solo non dà ospitalità ai valori della sinistra, non solo non guarda più a quelle stelle polari: libertà, uguaglianza, solidarietà, ma abdica perfino dal più terreno e domestico mito del buon governo. Così ci si limita a interpretare la questione morale mell’accezione restrittiva di probità, accontentandosi di sobri cretini, di disinteressati impreparati, di delicati inetti, di educati inadeguati ai loro compiti. E non stupisce di fronte a certe notizie , alla rivelazione non sorprendente di una cupola piena di iniziativa e bipartisan, iperattiva nella Capitale, che nel 2008 sigla un patto di ferro per una profetica larga intesa nella gestione dei trasporti capitolini, blindando un sistema per stampare milioni di titoli di viaggio paralleli che non sono fatturati e che producono 70 milioni di euro l’anno da spartirsi e per finanziare i partiti di destra e centro sinistra. Mentre la città patisce un deficit di 800 milioni l’anno, l’Atac, la più grande azienda del trasporto pubblico locale in Italia e una delle più grandi in Europa, 12mila dipendenti, un miliardo di passeggeri nel 2012 (un terzo di quelli della “Rapt” parigina, un quarto di quelli londinesi della Transport for London), e un “rosso” annuo di oltre 150 milioni e un debito che ha raggiunto 1 miliardo e 600 milioni, è da anni il bacino ideale per il clientelismo, per le assunzioni familistiche, per i conti gonfiati, per le acrobazie più creative in favore delle rendite dei partiti, perfino con la creazione di una cassaforte parallela di titoli di viaggio falsi.
Pare che la frode, sulla quale sono in corso indagini della Guardia di Finanza, vada avanti da anni, i dipendenti sono scesi in piazza, pure quelli beneficati dalle assunzioni facili, anche quelli immortalati mentre inviano sms alla guida, denunciando che il malaffare non paga gli straordinari, ma l’aspetto più osceno della vicenda è che questa azienda è ancor più deficitaria nel servizio che nel buco di bilancio, che biglietti veri o contraffatti passeggeri paganti e portoghesi sono sottoposti a torture quotidiane, attese millenari a fermate senza pensiline, mezzi sporchi, gelidi d’inverno e bollenti d’estate, una comunicazione ai cittadini inadeguata malgrado sia stato predisposto un carrozzone in più adibito proprio a informare in tempo reale gli utenti e che aggiunge riprovevole e tempestiva inefficacia a quella degli uffici dell’azienda e del Comune. e come se non bastasse il sindaco Marino che dopo tanti mesi sembra sempre appena arrivato e sempre più ignaro della materia, varato la nuova macrostruttura dirigenziale, lasciando molti dei manager ereditati dal suo predecessore.
La Rivoluzione non si fa più, il buon governo è un’utopia, l’efficienza un mito, il welfare sempre più povero, i soprusi sempre più prepotenti, il futuro buio, chi vuole radiose visioni è meglio che vada al cinema, magari a vedersi un bel film di Frank Capra, con un sindaco al servizio dei cittadini.
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