Da
molti punti di vista l’Europa è stato un disastro per i popoli che la
compongono e un grande successo per i poteri che l’hanno sfruttata con
lo scopo di imporre un arretramento civile, una “riduzione della
democrazia” , una strage di diritti sul lavoro e di tutele di
cittadinanza. Il matrimonio di comodo tra finanza e interessi nazionali
dei Paesi più forti intervenuto con la crisi, ha insomma diroccato
proprio il modello economico europeo, grazie anche a quell’arma letale
che si chiama euro. Tutto questo assume ormai un’evidenza solare sia
sul piano dell’economia dove la dottrina dell’austerità è stata
ridicolizzata, sia su quello politico dove ormai si fanno sempre più
frequenti le voci di dissenso, persino da parte di Martin Schulz, capo
della solciademocrazia a Strasburgo, ma anche amico personale della
Merkel che lo vuole a tutti i costi futuro capo della commissione
europea.
In realtà il fallimento era evidente già da due anni, proprio ad
essere ciechi, ma si è andati avanti come volevano i poteri finanziari,
come conveniva alla Germania (non certo ai ceti popolari tedeschi) e
ancora adesso il gregge dei Paesi della periferia continentale sono
chiusi nell’ovile, tra i recinti di governi vassallatici formati da
complici di provata fede e chierici dell’intelligentja con il cero in
una mano e il responsorio europeista nell’altra. Nemmeno si sono accorti
che l’idea di Europa non c’entrava nulla con quanto stava accadendo,
anzi era il suo opposto.
Tuttavia ancora non si vede via d’uscita: prima di arrivare al
riconoscimento degli errori e a qualche correzione di rotta, prima che
la Germania sia costretta a rivedere il suo enorme surplus commerciale e
si arrivi a una nuova Bretton Wood, prima che scoppino insurrezioni e
disgregazioni, i potentati economici vogliono raggiungere ancora
un’obiettivo: diventare i legislatori al posto dei Parlamenti e degli
Stati. Il pugnale per quest’ultimo pogrom di democrazia, è già bello
pronto, messo in un fodero apparentemente inoffensivo e riccamente
intarsiato: è il trattato per la creazione di un mercato unico Europa –
Usa.
All’opinione pubblica viene venduto come una semplice eliminazione di
dazi, ma in realtà prevede la rimozione di ogni norma statale e perfino
europea che si proponga di dare ai cittadini strumenti di controllo e
di contrasto nei confronti delle corporation. Il meccanismo specifico si
chiama “risoluzione delle controversie investitore – stato” e
prevede in sostanza che il profitto e gli interessi delle compagnie
siano tutelati al di là e contro le leggi degli stati, divenendo così il
fulcro regolatore delle comunità. Il tutto viene gestito non attraverso
i tribunali, ma attraverso arbitrati coperti da segreto tra avvocati
aziendali, le cui decisioni sarebbero insindacabili. Questo in parte già
accade in varie parti del mondo, soprattutto anglosassone, e uno dei
“giudici” di questi organismi di arbitrato rivela: “ “Quando mi
sveglio la notte e penso all’ arbitrato, non cessa mai di stupirmi che
gli Stati sovrani abbiano accettato tutto ciò … ai privati è affidato
il potere di rivedere, senza alcuna restrizione o ricorso, tutte le
azioni del governo, tutte le decisioni dei tribunali, e di tutte le
leggi o regolamenti emanati dal Parlamento”.
Infatti la Philip Morris è riuscita a farsi risarcire dal governo
australiano per la decisione presa da quest’ultimo di eliminare i marchi
dai pacchetti di sigarette: un arbitrato ad Hong Kong (per una
complessa vicenda di accordi commerciali) ha deciso che il marchio era
una “proprietà intellettuale”; oppure l’Argentina ha dovuto pagare un
miliardo di dollari alle società di gestione dell’acqua per la decisione
di congelare le tariffe al tempo della crisi nera nel Paese
sudamericano; una società canadese che non è riuscita ad aprire una
miniera d’oro in Salvador a causa dell’opposizione delle popolazioni
locali, otterrà un risarcimento di 315 milioni e infine il governo dello
stesso Canada è stato citato dalla società famaceutica Usa Ely Lily
perché i tribunali avevano revocato due brevetti su medicinali di
incertissima e non provata efficacia. La richiesta è di 500 milioni.
Ma sono briciole in confronto a quanto avverrà col trattato
transatlantico. Addirittura la fantastica e tragicamente comica
commissione europea dice che l’arbitrato privatistico è
necessario perché i tribunali nazionali non offrono una protezione
sufficiente alle società visto che “potrebbero essere prevenuti o
mancare di indipendenza.” E’ del tutto evidente che presupposti di
questo genere possono essere usati per distruggere i servizi sanitari
pubblici, per evitare qualsiasi controllo delle banche o incoraggiare
l’avidità delle multinazionali dell’acqua o dell’energia, per sventare
qualsiasi ritorno alla gestione pubblica. E in ogni caso mettono
praticamente fuorilegge qualsiasi tema legato al controllo del profitto,
della gestione dei beni comuni, di qualsiasi intervento diretto o
indiretto dello Stato. Non a caso le sinistre nostrane di governo, sono
entusiaste di questo trattato.
Solo dopo aver raggiunto l’obiettivo di spostare il potere
legislativo reale in mano alle multinazionali verrà presa in
considerazione di fare una qualche elemosina ai più poveri perché se ne
stiano buoni e magari anche quella di una ristrutturazione del debito,
ovvero di un default morbido. Questa è l’Europa, quella vera, non quella
di cui scrivono anziani glossatori nelle loro bustine o nelle loro
prediche domenicali o quella addobbata a festa dei complici o ancora
quella rancida tenuta nella madia delle belle speranze per troppo tempo.
Ed è ora, mi sembra, di svegliarsi.
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