Oggi
non ho proprio voglia di occuparmi delle quotidiane miserie della
politica e dell’attualità in bilico fra dramma delle persone e sberleffo
dei media. Oggi ho voglia di pensieri un po’ più lunghi e la
recentissima scomparsa di Costanzo Preve, definito da Repubblica, in un
sobbalzo di analfabetismo renziano, l’ultimo dei pensatori marxisti, me
ne fornisce l’occasione. Perché la sinistra e Marx sono stati l’oggetto
di studio di una vita per Preve, un filosofo semisconosciuto, non
appartenente alle cosche universitarie, ai “pensatori a stipendio”, come
li definì Schopenhauer, e soprattutto lo sono stati senza metterli in
una veneranda teca da turibolare ad ogni costo, ma anche senza
impegnarli in una gaia pseudo scienza consolatoria sull’inevitabile
caduta del capitalismo.
Certo Preve è stato un pensatore scomodo, a volte enigmatico,
difficile da condividere, specie nel sociologismo un po’ stravagante
degli ultimi anni, con la tesi della caduta di senso della dualità
destra – sinistra che naturalmente aveva ragioni più corpose rispetto ai
pensierini con le aste degli io speriamo che me la cavo della politica
italiota. Ma la cosa importante è che ha tentato di sottrarre Marx
all’imbalsamazione del “comunismo storico novecentesco”, rivendicandone
l’attualità e perciò stesso la fallibilità e la discutibilità. Per
questo è stato sempre un uomo contro, prima contro la dissennata deriva
post moderna dell’intellettuali del Pci e sigle seguenti, poi contro i
tentativi, altrettanto sterili delle varie rifondazioni basate
esclusivamente su intenti politco – organizzativi.
E’ naturalmente molto difficile riassumere in poche righe
cinquant’anni di riflessioni e di battaglie, ma proverò a dare un’idea
di massima e a spiegare in che senso Preve può fornire una direzione a
una sinistra incapace di stare in campo contro il capitalismo
finanziario. Per lui il marxismo, anzi i vari marxismi sono stati
fenomeni largamente indipendenti da Marx, una specie di evoluzione
darwiniana sollecitata dalla classe operaia e soprattutto da quella
seconda ondata della rivoluzione industriale che ebbe il suo epicentro
nell’Europa continentale e soprattutto in Germania. E insomma se il
marxismo è diventato una gigantesca forza storica lo è divenuto grazie
alla sua devianza rispetto a Marx, grazie ai suoi tradimenti rispetto al
pensiero marxiano, piuttosto che a una supposta fedeltà.
Si può essere d’accordo o meno su questa tesi che affonda nell’idea
di Preve che il marxismo fosse una sorta di “teologia negativa” un
rovesciamento del capitalismo utopico di Adam Smith, ma questo ci porta
alla negazione del dogmatismo e all’obiettivo di una rifondazione
antropologica del comunismo che del resto nasce da quello che è il
nucleo del pensiero marxiano, ossia la centralità del Gemeinswesen,
l’essenza naturale umana (secondo Preve una trasformazione dell’Io
fichitano e dello Spirito hegeliano) il quale non è altro che
potenzialità storica e la cui alienazione diventa reale dentro ogni
situazione di immobilismo sociale o di pensiero, dentro ogni forma di
supposta natura umana immutabile. La vera natura umana, secondo Marx non
è altro che possibilità. Per questo è molto difficile, secondo Preve,
immaginare un determinismo storico e sociale sia in senso scientifico
che palingenetico. Si ha invece un passaggio dalla potenzialità alla
realtà, i cui passaggi sono però esposti alla prassi, agli eventi e
anche al caso. Una visione sulla quale peraltro sarebbero d’accordo
anche i genetisti e gli evoluzionisti.
E’ proprio questa essenza umana aperta che da una parte non
garantisce una prevedibilità, ma dall’altra si oppone alle
manipolazioni, al pensiero unico e a “qualunque situazione che gli
vuole imporre come cosa irrigidita, immutabile e deificata, una
situazione storica determinata (che sia lo stalinismo o la
globalizzazione)”.
Per questa ragione, racchiusa nella gnosi origiiaria di Marx
piuttosto che nel Capitale, che si può davvero sperare in un riscatto,
nonostante i fallimenti delle previsioni, nonostante l’evidenza che le
classi subalterne non siano riuscite a resistere alla sottomissione del
lavoro al capitale, che la borghesia storica con la sua “coscienza
infelice”, da Balzac a Thomas Mann, consapevolmente critica del suo
stesso dominio, sia scomparsa, che il capitalismo sia riuscito ad
accreditarsi come unico ordine possibile, facendo leva sulle virtù del
mercato e sull’ossessione consumistica imperniata sull’individualismo.S i
può sperare nella forza di quello che Marx chiama in inglese “general
intellect”, vale a dire il soggetto rivoluzionario per eccellenza, quel
lavoratore collettivo che è molto più ampio della classe operaia.E’
forse in questo senso che Preve parlava di una perdita di senso di
destra e sinistra nelle loro forme tradizionali e di un conflitto
generale fra le forme della produzione capitalistica e il lavoro da
riportare alla superficie e alla tensione nonostante gli schermi
conoscitivi ed esistenziali con cui si cerca di esorcizzarlo.
Qualunque cosa se ne pensi quello di Preve è un invito a ripensare e
rifondare le ragioni del comunismo, il suo stesso significato
amplificandolo rispetto al semplice rovesciamento del capitalismo. Forse
con la consapevolezza della necessità dell’utopia, ma senza l’utopia
della necessità.
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