sabato 28 giugno 2014

L’avventura di immergersi nel laboratorio marxiano

Saggi. “Nei cantieri marxiani” di Sandro Mezzadra per manifestolibri. L’opera di Karl Marx riletta alla luce della presente crisi senza nostalgia per il passato. E con l’invito a maneggiarla con cura e senza nessuna concessione per il già noto
marx340cLa pro­po­sta è sem­plice, ma dif­fi­cile a farsi. Aprire un can­tiere mar­xiano che sgom­beri il campo da equi­voci e frain­ten­di­menti. Per prima cosa non va quindi costruito sulle mace­rie rap­pre­sen­tate dal fal­li­mento di una espe­rienza sto­rica, quella del socia­li­smo reale. Allo stesso tempo, va scon­giu­rato il rischio della nostal­gia, ripro­po­nendo una delle tante tra­di­zioni mar­xi­ste ete­ro­dosse che hanno carat­te­riz­zato il Nove­cento. È que­sta la prima indi­ca­zione di metodo che San­dro Mez­za­dra pro­pone nel sag­gio Nei can­tieri mar­xiani (mani­fe­sto­li­bri, pp. 158. Euro16). Indi­ca­zione pre­ziosa, per­ché ricorda che l’opera mar­xiana non è un cor­pus uni­ta­rio e omo­ge­neo e che la sua rice­zione è sem­pre decli­nata al plu­rale.
Per tutto il Nove­cento, Marx è stato infatti letto, sac­cheg­giato e pie­gato alla con­tin­genza poli­tica. È stato cioè uno stru­mento modi­fi­cato da chi pen­sava di svi­lup­pare quel movi­mento reale che abo­li­sce lo stato di cose pre­senti. Sia però chiaro che le apo­rie, le con­trad­di­zioni, i vicoli cie­chi che tale uso «stru­men­tale» non si supe­rano tor­nando a una sup­po­sta fonte ori­gi­na­ria e cri­stal­lina. D’altronde, la for­ma­zione stessa dell’opera mar­xiana è stato un can­tiere, che ha visto acqui­si­zioni teo­ri­che e rimesse in discus­sione. Non che Marx fosse un filo­sofo e un cri­tico dell’economia poli­tica incline a facili ripen­sa­menti. Il suo rigore, però, lo con­du­ceva spesso a ritor­nare su quanto già acqui­sito lad­dove emer­ge­vano fra­gi­lità e incongruenze.

L’impossibile auten­ti­cità

Il pro­getto a cui Marx ha dedi­cato gran parte della sua vita è stato infatti più volte spe­ci­fi­cato e modi­fi­cato pro­prio alla luce di quanto emer­geva nel suo labo­ra­to­rio teo­rico. Fare i conti con Marx è dun­que fare i conti con un’opera aperta e con i tanti mar­xi­smi nove­cen­te­schi. Non è infatti un caso che San­dro Mez­za­dra affermi che dai mar­xi­smi pos­sono essere tratte indi­ca­zioni per chi voglia con­ti­nuare a usare Marx come chiave di let­tura del pre­sente, in quella cri­tica dell’economia poli­tica che ha visto nel capi­ta­li­smo un punto di svolta nella sto­ria umana, ma non la fine della Sto­ria. E che fa dell’anticapitalismo non una con­so­la­to­ria maschera iden­ti­ta­ria, bensì un’indicazione poli­tica per supe­rare il regime del lavoro sala­riato.
Dun­que, non un ritorno a un imma­co­lato ini­zio, né un’abiura di quanto il Nove­cento con­se­gna come una pesante ere­dità, dopo l’implosione del socia­li­smo reale. Anche qui occorre chia­rezza. Mez­za­dra non nasconde la sua «ade­sione» a una delle tra­di­zioni ere­ti­che del mar­xi­smo, l’operaismo ita­liano. E con­si­dera il Ses­san­totto uno spar­tiac­que nei movi­menti sociali e poli­tici che ten­dono alla libe­ra­zione dal regime del lavoro sala­riato. È quindi poco inte­res­sato alle derive auto­ri­ta­rie del movi­mento comu­ni­sta inter­na­zio­nale. C’è infatti poco «mar­xi­smo sovie­tico» in que­ste pagine, anche se emerge la con­vin­zione che anche quella è una tra­di­zione teo­rica che non può essere liqui­data con una scrol­lata di spalle. Quel che emerge dalle pagine del libro è sem­mai un’opera di con­te­stua­liz­za­zione, che indi­vi­dua con paca­tezza punti di forza e limiti delle tante tra­di­zioni mar­xi­ste esi­stenti, invi­tando quindi a farne tesoro, senza per que­sto rinun­ciare a costi­tuire una cas­setta degli attrezzi ade­guata al pre­sente.
La sto­ria è però una bestia dif­fi­cile da domare e può diven­tare mate­ria incan­de­scente. Per evi­tare di scot­tarsi serve un’opera di «posi­zio­na­mento», espli­ci­tando il punto di vista e met­terlo a veri­fica. L’operaismo ita­liano è quindi il punto di par­tenza, anche se Mez­za­dra nutre molti, e con­di­vi­si­bili, dubbi sul fatto che non basti dire che occorra calare Marx a Detroit o in una qual­che regione spe­ciale della Cina per dare soli­dità al suo can­tiere mar­xiano. Ne è suf­fi­ciente met­tere a veri­fica Lenin non a Lon­dra, bensì nella Sili­con Val­ley per sbro­gliare la matassa. Il lavoro teo­rico da fare è più com­pli­cato, meno lineare di quanto sem­bri. E non è un caso che in que­sto libro fac­ciamo la com­parsa scuole di pen­siero come i cul­tu­ral stu­dies o i subal­tern stu­dies. O anche autori del «mar­xi­smo occi­den­tale»; o il Mar­cuse che negli ultimi anni della sua vita ha rivolto lo sguardo a quelle tra­sfor­ma­zioni del pro­cesso pro­dut­tivo e abbia comin­ciato a dubi­tare pro­fon­da­mente della con­vin­zione che la classe ope­raia fosse ormai pie­na­mente inte­grata nel regime capitalistico.

Bana­lità del postmoderno

Anche in que­sto caso è pre­sente un pre­zioso eser­ci­zio del dub­bio. Non è che sosti­tuendo Mario Tronti con Gaya­tri Cha­kra­vorty Spi­vak si rie­sca a fare molta strada. Nei post­co­lo­nial stu­dies sono infatti pre­senti con­trad­di­zioni e limiti sui quali non chiu­dere gli occhi. E tut­ta­via pre­sen­tano ele­menti impor­tanti per sve­lare l’arcano della pro­du­zione del sog­getto. Atten­zione: in que­sto sag­gio non c’è nes­suna con­ces­sione alle bana­lità post­mo­derne sulla pro­du­zione di senso e di sog­get­ti­vità. Il sog­getto, e la sua pro­du­zione, che emerge in que­ste pagine ha una sua mate­ria­lità. E ha a che fare pro­prio con rap­porti sociali di pro­du­zione, che non pos­sono essere rele­gati in una visione che fa discen­dere mec­ca­ni­ca­mente la for­ma­zione delle iden­tità e delle sog­get­ti­vità poli­ti­che dal fun­zio­na­mento dell’economia o, più sofi­sti­ca­mente, da una qual­che catena di mon­tag­gio o impresa a rete. Il sog­getto a cui tende Mez­za­dra è immerso in una fitta rete di rela­zioni sociali, dove il lavoro con­ti­nua a svol­gere una fun­zione per­for­ma­tiva nel loro stare in società, anche quando è mar­chiato dalla pre­ca­rietà. O quando è assente. Allo stesso tempo, è un sog­getto non neu­tro. Infatti, l’autore invita a misu­rare il pro­prio punto di vista con la dif­fe­renza ses­suale o con la «razza». È dun­que un sog­getto polie­drico, mul­ti­forme. Que­sto non signi­fica che non siano ope­ranti nella sua pro­du­zione «deter­mi­na­zioni» domi­nanti rispetto ad altre.

L’irriducibile mol­te­plice

Il capi­tale ha di fronte a sé uomini e donne che oppon­gono resi­stenza a una loro costi­tu­zione ete­ro­di­retta e fun­zio­nale ai pro­cessi di valo­riz­za­zione eco­no­mica. È que­sto il limite che i rap­porti sociali di pro­du­zione domi­nanti devono sem­pre for­zare. Detto in altri ter­mini, per il capi­tale il mol­te­plice deve essere rimosso, ridotto a stan­dard e, allo stesso tempo, valo­riz­zato pro­prio come mol­te­plice, deve cioè agire come una mar­xiana «astra­zione reale». Signi­fi­ca­tivo è a que­sto pro­po­sito l’uso della nozione di lavoro vivo, in quanto cate­go­ria pro­pe­deu­tica, sia da punto di vista del capi­tale che dei suoi anta­go­ni­sti, al fun­zio­na­mento della mac­china pro­dut­tiva della sog­get­ti­vità.
Il can­tiere mar­xiano pro­po­sto da Mez­za­dra ha que­ste fon­da­menta. Come svi­lup­parlo non può essere com­pito di un solo autore. San­dro Mez­za­dra rilegge l’opera mar­xiana met­tendo in evi­denza i fer­tili smot­ta­menti teo­rici pre­senti in tutti gli scritti di Marx, da quelli gio­va­nili a quelli della «matu­rità». Il con­cetto di lavoro pro­dut­tivo, la teo­ria del valore, la ten­denza del capi­tale a costi­tuire un mer­cato mon­diale ven­gono così riletti alla opaca luce del pre­sente (una vera chicca è il capi­tolo dal titolo «Marx ad Algeri», dove viene ricor­data la per­ma­nenza di Marx nella città alge­rina per intro­durre il tema del mer­cato mon­diale e del sog­getto della tra­sfor­ma­zione). In que­sto riper­cor­rere l’opera mar­xiana, Mez­za­dra usa crea­ti­va­mente Michel Fou­cault e autori poco fre­quen­tati in Ita­lia (Stuart Hall è sem­pre sullo sfondo), il mar­xi­smo inquieto atlan­tico (David Har­vey e Göran Ther­born) e quello altret­tanto ete­ro­dosso di Toni Negri, Michael Hardt, Paolo Virno, Mau­ri­zio Ric­ciardi e Ade­lino Zanini. Senza che però il volume risulti appe­san­tito da que­sti, tanti e ete­ro­ge­nei rife­ri­menti. Quel che è certo è che la let­tura di que­sti «can­tieri mar­xiani» costi­tui­sce una scom­messa teo­rica e dun­que poli­tica da rac­co­gliere. Senza appunto nostal­gia per i bei tempi andati, né abiure di quei tempi andati. Ma come una entu­sia­smante avven­tura teo­rica e dun­que poli­tica che vale la pena vivere. In fondo, non c’è niente altro da per­dere che le catene del pre­sente sfruttamento.
BENEDETTO VECCHI
da il manifesto

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