giovedì 19 giugno 2014

L’esame di immaturità tecnica Di ilsimplicissimus


archimedeL’esame di maturità forse bisognerebbe farlo all’intero Paese piuttosto che ai maturandi. In primo luogo perché si chiede ai ragazzi non di esprimere le proprie opinioni, idee, orientamenti, ammesso che esistano, ma si domanda invece di aderire a una tesi prefabbricata. E in secondo luogo perché si avverte il persistere di tutta una ganga di riflessioni e di pensieri che ci trasciniamo dietro come una zavorra. Mi riferisco a quel tema in cui si impone di parlare della “pervasività della tecnica”.
La tecnica è “pervasiva” come crede gran parte del pensiero conservatore del ’900? E’ un modo di essere dell’Occidente, contrapposto all’Oriente, secondo quelle visioni un po’ grottesche e coloniali in auge ai primi del Novecento? E un’era di Saturno?  O la sempre maggiore presa di possesso degli enti da parte dell’uomo gli fa dimenticare il senso del mondo? No di certo: l’unica pervasività che si scorge dietro queste considerazioni  che proseguono per forza d’inerzia e conformismo, è quella di antichi riflessi nei quali il rapporto dell’uomo con il mondo è sempre mediato da Dio o da potenze superiori che si fanno donatori, negatori o garanti delle colonne d’Ercole che non vanno superate. E’ una sorta di riproposizione del mito di Prometeo. E quel “pervasivo” infatti a cosa si riferisce se non a una sorta di ideale stato delle cose di una volta o a una specie di contro mito dello stato di natura? Pervasivo rispetto a che, a quale regola, criterio o ideale? A quale vita?
Il fatto è che l’accelerazione delle tecnologie dopo l’introduzione del vapore, ovvero la capacità di convertire energia termica in energia meccanica con tutti i successivi sviluppi, ha indotto un certo disorientamento delle classi dominati, timorose che la straordinaria fioritura oltre a generare profitti finisse in qualche modo per mettere in crisi anche l’ordine sociale, il loro ordine sociale: non è un caso che la deprecabile “era della tecnica” cominci a dilagare nelle sue varie forme dopo la rivoluzione d’Ottobre e assuma in Italia i caratteri di un prosaico spiritualismo. Esattamente come oggi la consapevolezza di stare distruggendo il pianeta viene in qualche modo deviata sulle tecnologie e non sui modelli sociali imposti dal liberismo universale che ne determinano l’uso, come la discussione sugli Ogm dimostra ampiamente.
Qualcosa di assolutamente insensato visto che i poveri studenti devono condannare la pervasività della tecnica essendone assolutamente pervasi proprio in questo compito usando strumenti tecnologici come la penna o come la carta, usando una tecnica come la scrittura, tecniche comunicative come la parola e derivando le loro conoscenze da oggetti tecnologici come i libri, la rete o quant’altro. Parecchi di loro che portano occhiali saranno ancor più orribilmente pervasi. Senza dire che torneranno a casa, altro oggetto tecnologico, mangeranno cibi derivanti dalle tecniche agricole e alimentari, magari faranno una puntatina su facebook e via dicendo.
Del resto basterebbe vedere come è cambiato il mito di Prometeo tra Esiodo ed Eschilo, ossia tra l’Atene di stampo ancora miceneo e quella dove gli artigiani, ovvero i produttori di tecnica, erano divenuti il nerbo della città per avere un buon parallelo. Senza citare il Protagora di Platone nel quale la Tecnè, compresa quella politica diviene fondamento della civiltà. Ed è ovvio: la tecnica è alla base di ogni possibile strumento umano, sia essa la poesia, come la pietra scheggiata dei più lontani progenitori: è il nostro modo di essere nel mondo e di comprendere il mondo. Certo suscitare facili inquietudini sull’impatto che ha la tecnica è molto facile, ma depista completamente dal vero problema, ossia dall’uso della tecnica che è indirizzata e si svolge in un quadro di rapporti produttivi, sociali e di potere che lo determinano.  Forse il capitale è assai più pervasivo. Ma mica vogliamo farlo capire ai cittadini di domani, non è vero? Anche il depistaggio è una tecnica.

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