L’esame
di maturità forse bisognerebbe farlo all’intero Paese piuttosto che ai
maturandi. In primo luogo perché si chiede ai ragazzi non di esprimere
le proprie opinioni, idee, orientamenti, ammesso che esistano, ma si
domanda invece di aderire a una tesi prefabbricata. E in secondo luogo
perché si avverte il persistere di tutta una ganga di riflessioni e di
pensieri che ci trasciniamo dietro come una zavorra. Mi riferisco a quel
tema in cui si impone di parlare della “pervasività della tecnica”.
La tecnica è “pervasiva” come crede gran parte del pensiero
conservatore del ’900? E’ un modo di essere dell’Occidente, contrapposto
all’Oriente, secondo quelle visioni un po’ grottesche e coloniali in
auge ai primi del Novecento? E un’era di Saturno? O la sempre maggiore
presa di possesso degli enti da parte dell’uomo gli fa dimenticare il
senso del mondo? No di certo: l’unica pervasività che si scorge dietro
queste considerazioni che proseguono per forza d’inerzia e conformismo,
è quella di antichi riflessi nei quali il rapporto dell’uomo con il
mondo è sempre mediato da Dio o da potenze superiori che si fanno
donatori, negatori o garanti delle colonne d’Ercole che non vanno
superate. E’ una sorta di riproposizione del mito di Prometeo. E quel
“pervasivo” infatti a cosa si riferisce se non a una sorta di ideale
stato delle cose di una volta o a una specie di contro mito dello stato
di natura? Pervasivo rispetto a che, a quale regola, criterio o ideale? A
quale vita?
Il fatto è che l’accelerazione delle tecnologie dopo l’introduzione
del vapore, ovvero la capacità di convertire energia termica in energia
meccanica con tutti i successivi sviluppi, ha indotto un
certo disorientamento delle classi dominati, timorose che la
straordinaria fioritura oltre a generare profitti finisse in qualche
modo per mettere in crisi anche l’ordine sociale, il loro ordine
sociale: non è un caso che la deprecabile “era della tecnica” cominci a
dilagare nelle sue varie forme dopo la rivoluzione d’Ottobre e assuma in
Italia i caratteri di un prosaico spiritualismo. Esattamente come oggi
la consapevolezza di stare distruggendo il pianeta viene in qualche modo
deviata sulle tecnologie e non sui modelli sociali imposti dal
liberismo universale che ne determinano l’uso, come la discussione sugli
Ogm dimostra ampiamente.
Qualcosa di assolutamente insensato visto che i poveri studenti
devono condannare la pervasività della tecnica essendone assolutamente
pervasi proprio in questo compito usando strumenti tecnologici come la
penna o come la carta, usando una tecnica come la scrittura, tecniche
comunicative come la parola e derivando le loro conoscenze da oggetti
tecnologici come i libri, la rete o quant’altro. Parecchi di loro che
portano occhiali saranno ancor più orribilmente pervasi. Senza dire che
torneranno a casa, altro oggetto tecnologico, mangeranno cibi derivanti
dalle tecniche agricole e alimentari, magari faranno una puntatina su
facebook e via dicendo.
Del resto basterebbe vedere come è cambiato il mito di Prometeo tra
Esiodo ed Eschilo, ossia tra l’Atene di stampo ancora miceneo e quella
dove gli artigiani, ovvero i produttori di tecnica, erano divenuti il
nerbo della città per avere un buon parallelo. Senza citare il Protagora
di Platone nel quale la Tecnè, compresa quella politica diviene
fondamento della civiltà. Ed è ovvio: la tecnica è alla base di ogni
possibile strumento umano, sia essa la poesia, come la pietra scheggiata
dei più lontani progenitori: è il nostro modo di essere nel mondo e di
comprendere il mondo. Certo suscitare facili inquietudini sull’impatto
che ha la tecnica è molto facile, ma depista completamente dal vero
problema, ossia dall’uso della tecnica che è indirizzata e si svolge in
un quadro di rapporti produttivi, sociali e di potere che lo
determinano. Forse il capitale è assai più pervasivo. Ma mica vogliamo
farlo capire ai cittadini di domani, non è vero? Anche il depistaggio è
una tecnica.
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