A leggere le ultime evoluzioni, l'accordo del Nazzareno non
solo sembra tenere, ma si potrebbe addirittura affermare che si stia
consolidando.
È di ieri la raggiunta intesa con la Lega, ma anche la parziale soddisfazione del dissidente Chiti per il riavvicinamento della riforma ad alcune previsioni contenute nel ddl costituzionale da lui presentato. Una proposta alternativa, il ddl Chiti, incomprensibilmente divenuto la bandiera per buona parte dell'opposizione.
L'aspetto insolito di quest'ultimo riavvicinamento, infatti, è costituito da un evidente peggioramento della riforma in discussione.
Il numero dei senatori viene ulteriormente ridotto e portato a 100, così come auspicava il ddl Chiti.
Visti i bassi numeri a disposizione per ogni Regione, avremo quindi un Senato blindatissimo, rappresentativo delle sole 2, o forse 3 forze politiche maggiori (dipende dagli equilibri regione per regione), e questo anche se si decidesse di procedere con l'elezione diretta da parte degli elettori e con proporzionale puro.
La forte riduzione dei senatori rende pertanto in buona parte inutile lo scopo che Chiti ed altri dicono di voler perseguire, in quanto il Senato diverrebbe un finto Organo di riflessione e garanzia, perché nelle sole mani di un circolo ristretto di beneficiari.
Peraltro, il ddl Chiti prevede una forte riduzione dei componenti anche per la Camera dei Deputati, un dimezzamento secco, in questo sostenuto anche dal Movimento 5 Stelle che chiede lo stesso.
Ma considerate le leggi elettorali in discussione, non solo l'Italicum, ma anche il Toninellum M5S, fortemente penalizzanti per le forze politiche minori, il dimezzamento dei Deputati contribuirebbe all'ulteriore blindatura della Camera dei Deputati, a tutto vantaggio dei capi bastone, ancor più di quanto abbiamo visto negli ultimi 20 anni.
Fosse già stato in vigore il patto del Nazzareno, con gli auspici del ddl Chiti in ordine alla forte riduzione dei parlamentari, Berlusconi avrebbe tranquillamente mantenuto i numeri necessari per concludere la precedente legislatura rimanendo a Capo del Governo.
Così come avrebbe potuto godere di tutti gli strumenti necessari, che la riforma costituzionale in discussione mette a disposizione in ordine al processo legislativo (l'abuso dei decreti legge, da parte dei Governo, viene costituzionalizzato con l'introduzione della ghigliottina permanente), per imporre al Parlamento, ancor più di quanto già fatto, gli interessi "personali" del suo Governo.
Il patto del Nazzareno può peraltro navigare a gonfie vele grazie anche al mutato atteggiamento del Movimento 5 Stelle.
Grillo e Casaleggio, per giustificare l'inversione di rotta rispetto alla politica del non dialogo sin qui adottata, non hanno trovato di meglio che riconoscere a Renzi una legittimazione piena a seguito del risultato delle (che ci azzecca?) europee: "Renzi è stato legittimato da un voto popolare e non a maggioranza dai soli voti della direzione del Pd".
Della serie che Berlusconi sarà stato sì pure cacciato dal Parlamento, ma al momento, tutto ciò che di peggio il berlusconismo e la vocazione maggioritaria del PD hanno seminato, sta vincendo alla grande. Un tumore che va via via estendendosi con il concorso di tutti.
Di questa legittimazione sopraggiunta, ha fatto ieri buon uso la ministra Boschi. Il patto del Nazzareno non può essere rimesso in discussione solo perché il Movimento 5 Stelle si è reso ora disponibile al confronto, questo per rispetto del Parlamento che vi lavora da mesi, ma anche e sopratutto per rispetto degli elettori che hanno "evidentemente" espresso gradimento per quanto sino ad oggi portato avanti.
Undici milioni di voti, soltanto il 22,7% degli aventi diritto, il risultato più basso mai ottenuto dalla vecchia DC, sono oggi divenuti la soglia grazie alla quale, anche per merito delle sbandate di Grillo e Casaleggio, ci si può sentire legittimati per stravolgere la Costituzione e sostituire la legge elettorale, determinata dalla sentenza della Consulta contro il Porcellum, con ipotesi che presentano le stesse criticità incostituzionali del defunto Porcellum.
Una manifestazione di arroganza che appunto non sorprende e che trae alimento da quella stessa deriva populista che avrebbe dovuto mandarli tutti a casa.
Un continuo rilanciare contro la casta che ha però finito per fare di tutta l'erba un fascio, e che non ha saputo proporre altro che soluzioni di passaggi di potere semplificati e la riduzione degli spazi di democrazia.
La legittima rabbia nei confronti di un ceto politico corrotto, via via trasformata in argomenti oggi ben utilizzati da chi sta provando, da oltre venti anni, di fare carta straccia della Costituzione.
L'assalto al Senato altro non è che l'estensione degli stessi principi che hanno già motivato l'umiliazione del ruolo istituzionalmente assegnato dalla Costituzione alle Province, il ddl Delrio appena approvato, e che ora sottendono alla loro definitiva cancellazione.
Stesse funzioni da dover adempiere, ma confusamente affidate ad organismi che non risponderanno più direttamente agli elettori.
Quale sarà, per gli elettori, la sede giusta per far valere la responsabilità politica per l'azione del Senato o di una città metropolitana, o di quella dei consorzi ora risorti nella Sicilia a statuto speciale che per prima ha abolito le Province?
Il voto per il Sindaco o quello per il Presidente della Regione?
Riduzione dei costi e semplificazione dei processi decisionali, sono queste le parole d'ordine ora da tutti utilizzate per motivare la cancellazione di organi elettivi e per sostituirli con qualcosa di più asservibile, il tutto nel giubilo generale della Gente con 3 G.
Più si viene esautorati, infatti, di quella sovranità che la Costituzione riconosce al Popolo, e più si allarga il fronte di chi gioisce per dei risparmi di spesa peraltro ridicoli ed indimostrati, quali ad esempio sono quelli prodotti dal ddl Delrio sulle Province.
E a ben vedere, è proprio questa l'opposizione che oggi più manca, quella di un Paese in grado di guardare oltre le facili grida, più di quanto manchi all'interno del Parlamento.
È di ieri la raggiunta intesa con la Lega, ma anche la parziale soddisfazione del dissidente Chiti per il riavvicinamento della riforma ad alcune previsioni contenute nel ddl costituzionale da lui presentato. Una proposta alternativa, il ddl Chiti, incomprensibilmente divenuto la bandiera per buona parte dell'opposizione.
L'aspetto insolito di quest'ultimo riavvicinamento, infatti, è costituito da un evidente peggioramento della riforma in discussione.
Il numero dei senatori viene ulteriormente ridotto e portato a 100, così come auspicava il ddl Chiti.
Visti i bassi numeri a disposizione per ogni Regione, avremo quindi un Senato blindatissimo, rappresentativo delle sole 2, o forse 3 forze politiche maggiori (dipende dagli equilibri regione per regione), e questo anche se si decidesse di procedere con l'elezione diretta da parte degli elettori e con proporzionale puro.
La forte riduzione dei senatori rende pertanto in buona parte inutile lo scopo che Chiti ed altri dicono di voler perseguire, in quanto il Senato diverrebbe un finto Organo di riflessione e garanzia, perché nelle sole mani di un circolo ristretto di beneficiari.
Peraltro, il ddl Chiti prevede una forte riduzione dei componenti anche per la Camera dei Deputati, un dimezzamento secco, in questo sostenuto anche dal Movimento 5 Stelle che chiede lo stesso.
Ma considerate le leggi elettorali in discussione, non solo l'Italicum, ma anche il Toninellum M5S, fortemente penalizzanti per le forze politiche minori, il dimezzamento dei Deputati contribuirebbe all'ulteriore blindatura della Camera dei Deputati, a tutto vantaggio dei capi bastone, ancor più di quanto abbiamo visto negli ultimi 20 anni.
Fosse già stato in vigore il patto del Nazzareno, con gli auspici del ddl Chiti in ordine alla forte riduzione dei parlamentari, Berlusconi avrebbe tranquillamente mantenuto i numeri necessari per concludere la precedente legislatura rimanendo a Capo del Governo.
Così come avrebbe potuto godere di tutti gli strumenti necessari, che la riforma costituzionale in discussione mette a disposizione in ordine al processo legislativo (l'abuso dei decreti legge, da parte dei Governo, viene costituzionalizzato con l'introduzione della ghigliottina permanente), per imporre al Parlamento, ancor più di quanto già fatto, gli interessi "personali" del suo Governo.
Il patto del Nazzareno può peraltro navigare a gonfie vele grazie anche al mutato atteggiamento del Movimento 5 Stelle.
Grillo e Casaleggio, per giustificare l'inversione di rotta rispetto alla politica del non dialogo sin qui adottata, non hanno trovato di meglio che riconoscere a Renzi una legittimazione piena a seguito del risultato delle (che ci azzecca?) europee: "Renzi è stato legittimato da un voto popolare e non a maggioranza dai soli voti della direzione del Pd".
Della serie che Berlusconi sarà stato sì pure cacciato dal Parlamento, ma al momento, tutto ciò che di peggio il berlusconismo e la vocazione maggioritaria del PD hanno seminato, sta vincendo alla grande. Un tumore che va via via estendendosi con il concorso di tutti.
Di questa legittimazione sopraggiunta, ha fatto ieri buon uso la ministra Boschi. Il patto del Nazzareno non può essere rimesso in discussione solo perché il Movimento 5 Stelle si è reso ora disponibile al confronto, questo per rispetto del Parlamento che vi lavora da mesi, ma anche e sopratutto per rispetto degli elettori che hanno "evidentemente" espresso gradimento per quanto sino ad oggi portato avanti.
Undici milioni di voti, soltanto il 22,7% degli aventi diritto, il risultato più basso mai ottenuto dalla vecchia DC, sono oggi divenuti la soglia grazie alla quale, anche per merito delle sbandate di Grillo e Casaleggio, ci si può sentire legittimati per stravolgere la Costituzione e sostituire la legge elettorale, determinata dalla sentenza della Consulta contro il Porcellum, con ipotesi che presentano le stesse criticità incostituzionali del defunto Porcellum.
Una manifestazione di arroganza che appunto non sorprende e che trae alimento da quella stessa deriva populista che avrebbe dovuto mandarli tutti a casa.
Un continuo rilanciare contro la casta che ha però finito per fare di tutta l'erba un fascio, e che non ha saputo proporre altro che soluzioni di passaggi di potere semplificati e la riduzione degli spazi di democrazia.
La legittima rabbia nei confronti di un ceto politico corrotto, via via trasformata in argomenti oggi ben utilizzati da chi sta provando, da oltre venti anni, di fare carta straccia della Costituzione.
L'assalto al Senato altro non è che l'estensione degli stessi principi che hanno già motivato l'umiliazione del ruolo istituzionalmente assegnato dalla Costituzione alle Province, il ddl Delrio appena approvato, e che ora sottendono alla loro definitiva cancellazione.
Stesse funzioni da dover adempiere, ma confusamente affidate ad organismi che non risponderanno più direttamente agli elettori.
Quale sarà, per gli elettori, la sede giusta per far valere la responsabilità politica per l'azione del Senato o di una città metropolitana, o di quella dei consorzi ora risorti nella Sicilia a statuto speciale che per prima ha abolito le Province?
Il voto per il Sindaco o quello per il Presidente della Regione?
Riduzione dei costi e semplificazione dei processi decisionali, sono queste le parole d'ordine ora da tutti utilizzate per motivare la cancellazione di organi elettivi e per sostituirli con qualcosa di più asservibile, il tutto nel giubilo generale della Gente con 3 G.
Più si viene esautorati, infatti, di quella sovranità che la Costituzione riconosce al Popolo, e più si allarga il fronte di chi gioisce per dei risparmi di spesa peraltro ridicoli ed indimostrati, quali ad esempio sono quelli prodotti dal ddl Delrio sulle Province.
E a ben vedere, è proprio questa l'opposizione che oggi più manca, quella di un Paese in grado di guardare oltre le facili grida, più di quanto manchi all'interno del Parlamento.
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