Oggi mi va di divagare e di lasciarmi trascinare dallo sgangherato e affascinante racconto del mondo. Già ieri sera ero stato preso dalla meraviglia per quelli che il Renzi lasciamolo lavorare. E da quanto sia stravagante accettare lo stesso prodotto solo perché cambia il venditore. Ma questo è niente: già in mattinata ho appreso che il super garantista Alfano quello per il quale a suo tempo Berlusconi avrebbe dovuto godere di dieci gradi di giudizio e di dieci generazioni prima di dargli del ladro, ha svelato ai media che è stato trovato l’assassino di Yara, prima ancora che il gip convalidasse l’arresto. Davvero un ottimo ministro degli interni, molto dinamico come si conviene di questi tempi.
Si tratta però solo di antipasti, la cosa straordinaria, inarrivabile sono gli economisti. Davvero di fronte a loro, come davanti agli spettacoli imponenti della natura, sei portato a credere che una ottusità così perfetta non possa essere frutto del caso, ma debba essere stata creata da un dio onnisciente. Figuratevi che per giustificare le mancate previsioni di crescita negli Usa nei primi tre mesi dell’anno erano ricorsi all’argomento meteorologico: l’inverno troppo freddo aveva rallentato l’economia. Ma per motivare le previsioni sballate in Europa dove la brutta stagione era stata mite non hanno trovato di meglio che constatare come le temperature insolitamente alte abbiano ridotto il consumo di gas e di energia elettrica.
Vabbè hanno detto una cazzata, erano un po’ frastornati, ma poi studieranno e troveranno delle ragioni più plausibili. Niente affatto invece: siccome anche il secondo trimestre si annuncia assai poco brillante, ecco che la colpa è del Niňo, ossia di quel rialzo delle temperature nel sud pacifico che provoca diverse perturbazioni climatiche. Per fortuna che almeno su questo non tutti sono d’accordo: l’economista Tyler Cowen, molto popolare negli Usa e seguace con appena qualche dissenso del più reazionario dei liberisti storici, ossia Friderich von Hayek, ha un’opinione molto diversa, espressa a chiare lettere sul New York Times: ciò che frena la crescita è la mancanza di guerre. Badate bene, Cowen non si sogna nemmeno di dire che le guerre sono benefiche perché portano alle stelle gli investimenti pubblici, sarebbe un eresia keynesiana e potrebbe indurre un qualche debole di mente a credere che forse investire in welfare e in benessere potrebbe avere il medesimo effetto. No Cowen vuole allontanare da sé anche il minimo sospetto di intelligenza e si rifugia e nel vago e nel fanciullesco: “la possibilità stessa di una guerra focalizza l’attenzione dei governi su alcune decisioni fondamentali e tale attenzione finisce per migliorare le prospettive a lungo termine di una nazione”.
Quali decisioni e quali prospettive? La frase non vuole dire nulla. Ma insomma perché mai scartare questa ipotesi? Proviamolo e poi ne parliamo.
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