giovedì 12 giugno 2014

La farsa della democrazia di Il Simplicissimus

14382459384_cf483c79fa_zSe il Pd avesse preso il 30 per cento le elezioni europee, guarda caso, sarebbero state solo elezioni europee e non la consacrazione spuria di un premier mai eletto da nessuno. Ma è proprio in questo modo che si manifestano i sintomi di un cambiamento di regime e che segnano il declino della democrazia nel Paese. Prima è stato Berlusconi ad asserire la prevalenza del voto sulle istituzioni e la legge, ma almeno erano suffragi effettivamente e direttamente presi per governare. Renzi incorpora senza darlo a vedere questa tesi da populismo sudamericano, anche chiamando a raccolta un voto indiretto e lo sposta in avanti: non vuole più essere solo il padrone di un partito azienda, di un sistema di consenso sostanzialmente personale, ma il padrone di un partito nazione autorizzato a scassare la Costituzione per rivoltarla in senso autoritario. E difatti l’espressione partito nazione è quella ricorsa più volte in questi giorni, come se nulla fosse, mentre essa è chiaramente ascrivibile alla teoria fascista dello stato.
Naturalmente Renzi ( e probabilmente la gran parte dei suoi elettori, simpatizzanti e sicofanti) non avverte a pieno il senso di questa direzione dei suoi comportamenti, il suo è il guappismo innato di un notabile di paese, la tracotanza di un prestanome, anzi di un prestafaccia delle classi dirigenti e dei poteri europei: non si rende conto di ciò che dice quando dalla Cina, dove è andato a pietire l’elemosina di qualche investimento, afferma ” basta potere di veto dei politici”, una frase grottesca per giustificare la cacciata di Mineo (sostituito con Zanda per 9 anni presidente del Consorzio Venezia nuova, tanto per andar sul sicuro) e di Mauro dalla commissione affari costituzionali perché si oppongono al progetto di senato burletta non elettivo, a quel pasticcio da dementi che intende imporre al Paese come irrinunciabile riforma destinata a sterilizzare il Parlamento.
Ma chi è Renzi se non un politico? E non è proprio lui che mette il veto su Mauro e Mineo? Il fatto è che pur in quell’eloquio da pubblicità progresso per acchiappa citrulli, ogni tanto salta benissimo fuori il retro pensiero principale: che il potere esecutivo non ha alcun bisogno del Parlamento il quale deve sempre assecondare il governo ed esiste giusto per salvare la forma. Anche Berlusconi la pensava così, ma Renzi è espressione di un partito articolato e non solo frutto di compravendite, di amici di merende o di nottate, di un clan messo assieme con soldi, posti e prebende: così l’arroganza del comando si fa più insidiosa e pervasiva, penetra dentro i meccanismi democratici, pretende che il partito stesso si faccia interprete come un sol uomo del progetto oligarchico. Se bisogna in qualche modo tenersi il Parlamento esso deve essere messo fuori gioco attraverso il partito e i meccanismi creati dalla nomina di deputati e senatori dall’alto affinché dicano sempre di sì. E se non basta occorre eliminare il voto segreto. E’ un grande passo avanti rispetto al leaderismo berlusconiano.
Non è un caso che con un attento calcolo di defezioni si sia mandato un chiaro messaggio alla magistratura colpevole di aver scoperchiato i vasi di Pandora dell’Expo e del Mose: perché se il principio della responsabilità dei magistrati è giusta in linea di principio, non sta né in cielo né in terra e nemmeno in Europa, il metodo assicurativo, privatistico e ricattatorio con il quale la si vorrebbe introdurre in Italia. L’Europa semmai chiede che lo stato riconosca la responsabilità giudiziaria e risarcisca in modo congruo le vittime di errori giudiziari accertati, non che chiunque abbia subito una condanna, possa inventarsi un eventuale dolo giusto per tirare in lungo e per minacciare indirettamente i magistrati grazie a qualche irrilevante imprecisione dentro un sistema assurdamente bizantino. Non è certo questa la riforma della giustizia, anzi è il cinico uso del suo contrario.
Gli stessi che vogliono sbaraccare il Senato ora, con meravigliosa coerenza, si propongono di rimediare all’errore in Senato: del resto non volevano andare fino in fondo, ma solo che passasse il messaggio. Mica vogliamo anche il diritto di veto sulla corruzione.

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