Scrivevamo, qualche tempo fa, di “guerra delle monete”
commentando le decisioni della Federal Reserve o della Bank of Japan,
sempre pronte a “inondare di liquidità” i mercati. Cosa che la Bce
comincia fare soltanto adesso, e tra i mugugni tedeschi.
Uno degli aspetti fondamentali di questa “guerra”, che coinvolge
naturalmente anche lo yuan cinese, il rublo russo e le monete degli
altri paesi emergenti, è da sempre il ruolo abnorme sostenuto dal
dollaro statunitense. Allo stesso tempo moneta di scambio nazionale, dipendente dalle “decisioni sovrane” di un singolo Stato, mezzo di pagamento mondiale (in primo luogo sul mercato delle materie prime di ogni ordine e grado) e valuta di riserva tesaurizzata dalle banche centrali e dalle cassaforti private.
Per i non addetti ai lavori è difficile capire dove sia il lato abnorme di questo triplo ruolo, che nessun'altra moneta
può ricoprire. Siamo perciò costretti a dirlo in modo rozzo ma
efficace: soltanto gli Stati Uniti possono permettersi di “stampare
moneta” e farla accettare a tutti i propri partner economici (il mondo
intero, senza esclusione alcuna). Con quella moneta si possono cioè
pagare merci fisiche e servizi in tutto il pianeta.
Una volta il valore di una moneta era riferito alla quantità d'oro depositata nella cassaforte della banca centrale emittente quella moneta (il cosiddetto gold exchange standard),
e questo regime durò fin quando gli Usa accettarono di scambiare un
dollaro contro un grammo d'oro. Poi, nell'agosto del 1971, quel furbone
truffatore di Richard Nixon ruppe il vincolo tra dollaro e oro e
inaugurò l'era dello “stampaggio arbitrario” di dollari (o dollar standard).
La quotazione della moneta Usa, dopo una breve crisi, tornò ben presto
molto alto, svolgendo una funzione molteplice: far fluire negli Usa
tutte le merci e le materie prime necessarie (in cambio di “carta
stampata” dal valore incerto), controllare il prezzo di queste merci e
per tale via determinare il successo o il fallimento di altri paesi.
Ovvio che il gioco si potesse reggere soprattutto grazie all'enorme
potenza militare Usa, altamente “persuasiva” nel far accettare
l'equivalente postmoderno delle coloniali “perline colorate”.
Il gioco riuscì benissimo nel controllo del prezzo del petrolio, al punto da contribuire non poco alla caduta dell'Unione
Sovietica e del deficitario “socialismo reale” grazie – appunto – a una
lunga stagione di prezzi bassi imposta grazie alla collaborazione
dell'Arabia Saudita, che fecero sprofondare le entrate finanziarie
sovietiche.
Anche dopo la crisi finanziaria iniziata nel 2007 gli Stati Uniti hanno risposto nel loro solito vecchio modo: “iniezioni
di dollari” nel mondo, “per rilanciare l'economia” soprattutto
nazionale. Ma ha funzionato poco. Altri paesi hanno provato a far lo
stesso, come il Giappone, ma con risultati opposti (nessuna transazione
internazionale viene prezzata in yen). Contemporaneamente hanno
cominciato a far scendere il prezzo del petrolio – ancora una volta
grazie alla collaborazione saudita – e anche il prezzo dell'oro, le due
“merci fisiche” centrali: una per il mondo dell'economia reale, l'altra
per ancorare alla terra le metafisiche monetarie. La Cina chiede da
anni – inutilmente – che sia istituito a questo punto un “paniere di
monete” per sostituire il dollaro come mezzo di pagamento globale.
Ovviamente gli Usa si rifiutano, perché perderebbe l'unico vero
“vantaggio competitivo” sul piano finanziario (mentre anche quello
militare va scemando, da una cirsi all'altra).
Situazione bloccata, dunque? Niente affatto. Il mondo “unipolare” sotto il dominio Usa è un'invenzione della propaganda,
specie se si parla di affari. E quel che non si riesce ad ottenere col
consenso si può sempre cercare di ottenerlo con delle scelte politiche.
Russia e Cina hanno preso altre strade.
La
notiziola poco segnalata di questi giorni è la seguente: le banche
centrali di tutto il mondo continuano ad aumentare le loro riserve di
oro. Comprensibile, si può dire. I prezzi sono così bassi che conviene comprare ora.
Certo. Ma chi lo sta facendo? E cosa ci fanno? Soprattutto Russia e Cina. Anzi, Mosca ha nell'ultimo trimestre acquistato più oro di tutto il resto del mondo messo assieme. L'interpretazione del Telegraph
è semplice: "il governo di Vladimir Putin sta ammassando enormi
quantità di oro, al punto da aver triplicato le riserve a 1.150
tonnellate cifca nell'ultimo decennio. Tali riserve potrebbero dare al
Cremlino un potere vitale per tentare di compensare i forti cali del
rublo".
Già. Il basso prezzo del petrolio (quotato in dollari) rinsecchisce le entrate russe dalle esportazioni (fino a 100 miliardi di dollari all'anno, ha detto il ministro delle Finanze Anton Siluanov),
mentre la forte svalutazione del rublo costringe a pagare molto più
care le importazioni (quotate in dollari). Il crack economico
sembrerebbe inevitabile. Ma la Russia con quei dollari ci compra oro e
suggerisce ai suoi partner commerciali di poter pagare con metallo
giallo invece che con dollari; e ovviamente pretende di essere pagata nell'identico
modo per le sue forniture di gas e petrolio, anche dai paesi
occidentali; anche da quelli che decidono “sanzioni” e pensano di aver
fatto un grande acquisto con il golpe in Ucraina.
Un “baratto”
prezzato in oro invece che in dollari? E cosa cambia? Cambia che il
dollaro esce di scena in buona parte delle transazioni internazionali.
Cambia che l'oro fisico
esce dalle banche centrali occidentali ed entra il quelle russe e
cinesi. Cambia che il petrolio o il gas non vengono “regalati” in cambio
di pezzi di carta o righe di codice, ma in solidissimo oro. Cambia che
anche la Cina "cesserà di aumentare le riserve
auree e valutarie denominate in dollari" (tradotto: trasformerà ogni
entrata in dollari in altre monete o in oro, smettendo al tempo stesso di
acquistare titoli di stato Usa).
Nell'era
del virtuale e del denaro elettronico, la fisica delle cose riprende il
posto di comando, svuotando rendite di posizione pluridecennali,
cambiando la struttura delle relazioni globali.Le cose essenziali - a
partire dall'energia - non possono più essere pagate con "perline",
bitcoin o dollari scritti sul computer.
Non è una buona notizia per l'egemonia statunitense. È lecito attendersi risposte isteriche. Sarebbe però auspicabile
che quanti – anche nella “sinistra radicale e antagonista” - guardano
alle cose del mondo attraverso i media mainstream cominciassero a tener
d'occhio “i fondamentali”, invece che dichiarazioni retoriche o le
bandierine.
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